Lo sport è vita.
Lo sport è indispensabile.
Lo sport ti da la carica per affrontare la vita con grinta.
Lo sport ti aiuta a crescere e maturare.
Lo sport sviluppa le endorfine, gli ormoni corresponsabili della felicità.
Lo sport ti mantiene in forma.
Fin qui, tutte affermazioni più che assodate… che si scontrano tuttavia con la mia esperienza personale. Esperienza che si riassume con un’unica frase: lo sport è fatica. Una insopportabile, fastidiosa e snervante fatica.
Già, perché io sto allo sport come Voldemort al Premio Nobel per la pace. E chi ha letto “Harry Potter” capirà subito il confronto…
Ecco una breve carrellata del mio palmares sportivo, che vanta innumerevoli approcci con diverse discipline.
Danza: testimoni narrano di una prova di danza moderna fatta con mia cugina Federica (nota per leggiadria e grazia) alla tenera età di 6 o 7 anni. Una disfatta totale.
Lei sembrava la Cuccarini, io Pippo Baudo.
Lei Heather Parisi, io Marisa Laurito.
Lei Carla Fracci, io una lottatrice di sumo.
Un’ora di calvario al termine della quale mia mamma e nonna, presenti allo sfacelo, fecero credere agli altri genitori di essere parenti solo di mia cugina.
Io relegata al ruolo di trovatella.
Nonostante il trauma, continuo a rivolgere la parola a mia mamma e a pranzare il lunedì con la Fede.
Equitazione: approccio iniziato con qualche lezione in montagna (avevo sì e no 13 anni) a cui seguirono delle cavalcate estive in Calabria, complice una vacanza estiva dalla famiglia della Cri, una delle mie più care amiche. Peccato che a Pippo, il simpatico equino, io non fossi particolarmente simpatica. Alla quinta lezione, il buon Pippo decise di partire al galoppo trascinandomi con se e, prima di avermi disarcionato, mi fece fare qualche metro attaccata solo per una staffa.
Risultato: botta alla testa e all’osso sacro e carriera da fantina finita prima ancora di iniziare. In compenso, grazie a Pippo oggi mangio la carne di cavallo senza rimorso. Tiè.
Camminate in montagna: un incubo durato fino alla tarda adolescenza. Quando, pur di non andare in montagna d’estate, mi facevo rimandare in tutte le materie possibili per poi poter stare a casa a studiare.
Cosa c’è di peggio che nascere in una famiglia di sportivi? Nascere in una famiglia di montanari… Un incubo. Avversione totale per la montagna d’estate: le camminate che mi obbligavano a fare i miei genitori, lungo sentieri impervi, erano una vera via crucis. La corona di spine era sostituita da enormi vesciche sui piedi che mi guarivano giusto il giorno prima della camminata successiva.
Le stigmate di Padre Pio?! Nulla, in confronto.
Gli scarponi erano uno strumento di tortura.
Non capisco perché non mi abbiano fatto santa subito. Step: praticato in età adulta. Io ero quella che, quando tutti andavano da una parte, andava dell’altra. Quando le altre terminano la coreografia, io ero ancora al primo passo per capire se partire con il piede destro o sinistro. Non ho mai capito come fare. Incredibile. Sembravo un salmone che andava controcorrente.
Un disagio che mi ha portato presto ad abbandonare lo step. Sorvolo su altri corsi provati in palestra… Ho una dignità anch’io!
Piscina: fatemi nuotare, fatemi fare qualsiasi cosa in acqua. E’ il mio elemento, forse perché non ci sono coreografie o balletti da improvvisare. O forse perché non lo trovo così faticoso come altre discipline.
Pallavolo: ci giocavo a scuola ed ero pure bravina, grazie anche al fatto che, quando battevo, le compagne si nascondevano come dei soldati in trincea durante la prima guerra mondiale. Ok, l’elasticità e l’agilità non sono mai state il mio forte, ma il braccio da muratore non mi è mai mancato!
Corsa: leggende narrano che, quando corro io, dall’altra parte del mondo arriva il terremoto. Uno sport che non riesco a praticare. Dopo cinque minuti di camminata veloce (troppo pretenzioso chiamarla “corsa”) vedo già tutti i santi del Paradiso e la Madonna che mi suggeriscono di smettere per evitare di avere un infarto e raggiungerli prima del dovuto. Da quando sono diventata mamma, santi e Madonna sono stati sostituiti da una fotografia dei miei figli con la seguente didascalia: “corri piano, pensa a noi”. Non voglio farli diventare orfani anzitempo.
Ciclismo: ogni tanto mi capita di salire sulla bici di mio fratello e fare qualche pedalata in solitaria.
In questo caso me la cavo meglio della corsa. C’è anche il vantaggio di potersi godere il paesaggio senza temere l’intervento di un defibrillatore.
Il fatto che io sia una dilettante si capisce da un particolare: odio i ciclisti. Li odio quanto passano con il rosso (sempre), li odio quando fanno conversazione affiancati anziché in fila indiana, li odio quando sfrecciano sui marciapiedi, suonando il loro campanellino per farti scansare.
Poi, of course, ci sono ciclisti e ciclisti… Ma andrebbe scritto un capitolo a parte.
Lascio per ultima l’unico sport che amo follemente e che non smetterei mai di praticare: lo sci!
Sciare è la mia grandissima passione, e con gli sci ai piedi sono molto più agile di quando cammino.
La montagna d’inverno è l’unica ragione per cui dovrebbe esistere la montagna… Orsù, proponiamo l’abolizione delle vacanze montanare d’estate!
Alla passione per lo sci, già manifestata sin da bambina, seguì ben presto quella nei confronti dello sciatore per eccellenza: Alberto Tomba. Un amore non corrisposto, solo perché Lui, il Divino, non ha avuto modo di conoscermi, eccezione fatta per una foto scattata ormai 10 anni fa in una discoteca in Sardegna… Io non proprio sobria e lui non proprio felice di farsi fotografare… Com’è ingiusta la vita, a volte. Con gli uomini non sono mai stata fortunata.
A proposito di Tomba, non ditelo a nessuno… Mio papà si chiama Alberto. Lui è convinto, o forse fa finta di esserlo, che mio figlio si chiami Alberto in suo onore.
Sono una figlia infame, lo so.