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    STRALCI

    Oggi è più dura del solito, la voglia di farmi mi entra dentro; giunge alle sinapsi e le formicola con strane idee per far l'amore con lei, la bimba. Trapana il cervello, ci provo a distrarmi: ascolto musica, ballo, gioco alla play, pulisco casa, ma nulla. L'idea oggi è presente come Berlusconi in politica...credo non se ne andrà mai. Pensieri bui, non voglio altro che quello, desidero s... Altro...
    Oggi è più dura del solito, la voglia di farmi mi entra dentro; giunge alle sinapsi e le formicola con strane idee per far l'amore con lei, la bimba. Trapana il cervello, ci provo a distrarmi: ascolto musica, ballo, gioco alla play, pulisco casa, ma nulla. L'idea oggi è presente come Berlusconi in politica...credo non se ne andrà mai. Pensieri bui, non voglio altro che quello, desidero sentirmi cadere e poi tornare su, godermi quella sensazione di discesa e risalita in mezzo secondo...le voglio...entrambe. Voglio cucinare, voglio sentire lo sfrigolio sulla carta stagnola, quell'odore di ammoniaca che precede il "crack" della fumata.  Insomma, oggi è il 15° giorno e io sento di essere arrivata al limite della sopportazione. Pensieri cupi, atmosfera pesante, tempo immobile, ticchettio dell'orologio nelle orecchie come una tarma che rosicchia il legno. Giro e cammino per casa con le mani sudate e i capelli che seguono l'altalenarsi del capo. Le voci cupe che sento nelle mia testa possono essere fermate solamente in un modo e io so benissimo qual è.  Vorrei allenarmi un pochino per distendere i nervi, ma la tensione è così potente da immobilizzarli. 15 giorni senza toccare nessun tipo di sostanza. Un record, dopo aver passato gli ultimi 5 anni a usare quella "merda" quotidianamente. 15giorni. Sono più forte io, mi dico, ma poi arriva il pensiero di quella sensazione di pace dopo l'uso che , ecco, è più forte lei. Le domande si susseguono impetuose come fosse un gioco a premi e io dovessi rispondere in velocità: "Vado?" "Non vado?". Ripetute di continuo, infinitamente, velocissime, assillanti, importune...UN'OSSESSIONE - in uno sprazzo di lucidità mi metto a cantare a squarciagola "Nuova ossessione" -, ma questa è una vecchia ossessione, una vecchissima e putridissima ossessione. ...e poi...STOP. Come un dardo lanciato durante la Guerra dei cento anni, un pensiero sfreccia tra le mie facoltà psichiche e intellettive.  14 giorni fa mi trovavo in psichiatria per un wash out dalle sostanze, il ricovero è stato duro, impegnativo, volontario. Ed è l'ultimo aggettivo che blocca i pensieri. "VOLONTARIO". Sono stata io a voler una possibilità che mi permettesse di cambiare vita. Ora avrei dovuto mandarsi tutto a farsi fottere per una voglia simile a quella della Fiesta dopo aver mangiato solo un panino? Oh, NO! Signori miei, io resisto.Io combatto. Io esisto senza le bimbe. Io sono forte e intelligente - forse poco umile -, ma ce la farò.  IO RESISTO. 16 GIORNO DI ASTINENZA.

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    Camera anecoica. 2.

    il mio antenato, quello divorato intendo, viveva seguendo altri ritmi e non certo le scadenze e le bollette e le menate dei ritardi e degli anticipi: il sole sorge, mi alzo; il sole cala, accendo il fuoco, costruisco un riparo; si mostra la volta stellata, dormo.  all'alba, cammino e inseguo la mia preda, stando attento a non divenire io la preda. non come noi, nevrotici, in fila al supermerc... Altro...

    il mio antenato, quello divorato intendo, viveva seguendo altri ritmi e non certo le scadenze e le bollette e le menate dei ritardi e degli anticipi: il sole sorge, mi alzo; il sole cala, accendo il fuoco, costruisco un riparo; si mostra la volta stellata, dormo.  all'alba, cammino e inseguo la mia preda, stando attento a non divenire io la preda. non come noi, nevrotici, in fila al supermercato: la preda inscatolata, imbustata e pesata.  il prezzo della sua conquista lo scontrino e il denaro da sborsare. la fila si allunga e la nostra pare ferma. proviamo quel perenne senso di frustrazione da cassa del supermercato, mi dico io, dato dalla memoria atavica tradita di esserci ancora una volta dimostrati incapaci di procurarci del cibo, alla pari, lottando contro le belve? il mediocre nostro sopravvivere, ricordatoci, a scorno, dalle buste della spesa? se non il saldo più conveniente, nessun trofeo resta del mio antenato che scuoterebbe la testa in segno di disapprovazione, magari frastornato dai colori delle confezioni e dagli odori artificiali dei cibi. la tigre però non mi pare una alternativa poi così allettante, mio caro antenato! guarda che fine hai fatto! privi del super udito per la tua distrazione! e che ne sarà stato della linea genetica di coloro i quali si immolarono, ingenui o temerari, per assaggiare piante, animali e qualsiasi cosa avesse parvenza di nutrimento? i sommelier e i gourmet sono forse gli eredi di coloro i quali sopravvissero? ne rimane traccia nel loro DNA? dovremmo ben pensare a una sorta di riconoscimento, magari una bella statua: AL SACRIFICIO PER LA COMMESTIBILITA'. non ci pensa mai nessuno? ma quanti rami anche qui potati per garantire un futuro alle future generazioni? e senza pensare ad altro che al proprio (preistorico) stomaco vuoto! il massimo egoismo vantaggioso per i discendenti. non è forse così che è proceduto il mondo? l'ottimizzazione del proprio bisogno che, a cascata, porta vantaggio a chi verrà? e così appare come se vi fosse una richiesta dalla vita: che si proceda. che si continui. inesorabilmente. come è crudelmente ovvio, davanti alla scomparsa di qualcuno di caro, rendersi conto che per il resto del mondo, quello che ci pareva essere un prezioso dono, ora a noi sottratto, insostituibile, nella sua assenza, non scalfisca nulla. guardavo spesso le foto, i filmati, i quadri delle generazioni passate e non potevo non osservare quanta vita vi fosse in quegli occhi, ora svaniti. ma la traccia del loro passaggio restava e ancor più me li rendeva cari, vicini a me. quello sguardo avrebbe potuto essere il mio e quel sorriso, quella posa: non forse erano i miei? sarebbe accaduto anche a me: svanire, divorato nel gorgo del tempo. ma rimettendomi a questa sensazione che la vita vuole solo la vita, che procederà perché in se stessa trova la sua giustificazione e la sua ragion d'essere, al di là dell'individuo. pensai che, un giorno, il più lontano possibile, ovviamente, pur avendo concluso il mio ciclo vitale, capendone meno di quanto avrei voluto, qualcosa permarrà. intrecciata la serie di cause e conseguenze quale sono io, avrò portato avanti un frammento  di questa necessità. idea o concetto non del tutto consolante o risolutivo , ma si sa che la paura dell'oblio compete soltanto all'ego. e di ego ne possediamo a sufficienza per riempirci le ampolle sulla Luna di ariostesca memoria. per garantirci una parvenza di identità, di nucleo fondante e, invece, è un nonnulla: un grumo di passioni e di ricordi, per lo più travisati dalla memoria, così fallace, così ricostruttiva di senso a posteriori da diffidarne! ma a noi piace raccontarci per quel che fummo e che vorremmo essere, in nome di chissà quale insieme di idee che ci siamo fatti per vivere e per sopravvivere davanti al mondo. bisogna essere delicati davanti ai racconti di vita altrui: ricostruiscono non chi, ma come avrebbe voluto essere quell'io narrante. ed è lì che ogni parola e ogni immagine acquisiscono un valore per quel che rivelano nella loro scelta. siamo lo storytelling delle nostre vite. e quante ne ho raccontate io e quanti ricordi mi sono inventato, senza saperlo, senza volere: è così disarmante dire di sé. per quanto sia, inconsciamente, sfalsato dal reale! immagini e percezioni e poi una sorta di filo conduttore esistenziale: chi ha scritto la mia sceneggiatura? chi ha scelto che io dovessi preferire i lamponi alle more? e chi ha piantato in me il seme del dubbio e dell'entusiasmo? perché odio il western e mi appassiona la fantascienza? risposte nulle. se non un finto ritrovare ricordi a loro conferma: camaleonti del reale immaginato, questo sono gli esseri umani!  intanto batteva il cuore: l'istinto di preservazione è parte essenziale della vita e il mio stomaco gorgogliava, quale quello del mi antenato. allora, mi riavvicinavo alla porta, scrutando in cerca di un altro essere umano che venisse a salvarmi. e dopo tutte quelle riflessioni, mi domandai se non mancasse qualcosa al mio pensare. un concetto più ampio.  la domanda. anzi il domandone. Ma non era ancora il momento. La porta andava aprendosi ai suoni del mondo. 

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    Camera anecoica. 1.

    ..ero al buio. in quello strano silenzio riempito dai suoni del mio corpo. potevo immaginare che vi fosse qualcun altro, al di là e oltre: il mondo esisteva ancora in me, come immagine cui mi volevo ricongiungere. ma ero, lì. disperatamente solo. in quell'ovattato crepuscolo sonoro. una condizione che raramente sperimentiamo, non fosse altro per il rumore di fondo che ci accompagna, inascol... Altro...

    ..ero al buio. in quello strano silenzio riempito dai suoni del mio corpo. 

    potevo immaginare che vi fosse qualcun altro, al di là e oltre: il mondo esisteva ancora in me, come immagine cui mi volevo ricongiungere. ma ero, lì. disperatamente solo. in quell'ovattato crepuscolo sonoro. una condizione che raramente sperimentiamo, non fosse altro per il rumore di fondo che ci accompagna, inascoltato ma udibile, della città o della natura. e poi c'è sempre qualcosa che si muove nei pensieri, nella mente. e la mente, infatti, si agitava. riottosa a calmarsi, una proiezione impazzita 24/7: fotogrammi e parole che si accavallavano privi di una logica e di un criterio di definizione su cosa volessi io proiettare, libera e selvaggia. io ero diventato una sorta di identità isolata e messo faccia a faccia con me stesso, in quella stanza: non solo preso  dai miei pensieri, ma anche e soprattutto a contatto intimo con il mio corpo. un prodigio a pensarci bene: organi e sistemi che in autonomia ci mantengono in vita senza la nostra partecipazione. in quei momenti, chissà come, seppur sia comprensibile, mi si presentava alla mente la struttura dell'orecchio interno. che pensiero assurdo: la sua immagine, vista chissà quando e dove, e memorizzata, evidentemente, a mia insaputa, mi si proponeva costantemente e io la ruotavo nella fantasia, sospeso in quel tempo che scorreva piano e denso.  vedevo chiaramente le parti dell'orecchio interno. come si erano formate, in quanto tempo e seguendo quale legge di selezione naturale... erano  nate o si erano evolute, per prove e funzionalità, in quel modo? il che mi portava a pensare che ci fosse, che dovesse esistere un qualcosa all'origine che, con la potenza infinita e strabordante della sua immaginazione, con la sua capacità di valutare cosa sarebbe andato meglio per vivere sul pianeta sul quale posiamo le nostre orme, ci avesse dotato di un qualcosa di così sofisticato, progettato per garantirci una forma di sopravvivenza  tramite il suono captato del mondo esterno. attenzione però: entro una determinata fascia di frequenze e non più ampia o più limitata, per non confonderci e renderci vulnerabili.  forse un nostro antenato poteva udire ben oltre noi, ma la sua capacità lo aveva posto davanti a un problema di sovraesposizione che non lo aveva avvantaggiato: la tigre dai denti a sciabola se lo era divorato, d'un balzo, incredula per quella scarsa attenzione al pericolo della sua preda, ed era lui, il nostro antenato potenziato, distratto dal cinguettio voluttuoso di qualche uccello e dall'impetuoso gorgoglio di un rivolo d'acqua: selezione naturale immediata e così ci siamo persi la possibilità di udire l'attuale inudibile. andata! addio al super udito! e mentre il mio antenato diveniva un ramo evolutivo brutalmente potato, permaneva la domanda sulla possibilità e la probabilità del nostro pur semplice esistere.  e io mi chiedevo, in quel mostruoso monologo interiore, che tutti noi abbiamo provato e che ci inonda con il suo flusso incoerente le menti generalmente prive di una qualsiasi forma di argine, ma come era possibile essere divenuti quali siamo? perché non altrimenti? perché poi così differenti fra noi? il contesto ci aveva plasmato e un ordine interno, autoregolamentato da differenti tipi di "tigri dai denti a sciabola" , pronte a selezionare, a scremare  e a ottimizzare.  una efficienza quasi paradossale nella sua varietà infinita di forme animali e vegetali... intanto il tempo trascorreva e pareva aver preso una sua dimensione tangibile. avrei potuto afferrare un minuto e stringerlo tra le mie mani, la trasposizione materiale di sessanta secondi che scorrevano tra le mie dita: in quel momento il tempo era allineato con me. ero nel e del tempo. uno, due, tre e quattro e via così.  fisso nell'istante. provavo una pace in quel ritmo che si affiancava al mio, a quello dei battiti del mio cuore. che pace, in quel preciso istante... poi ritornavo al confuso apparire e svanire del film 24/7. la sensazione mi aveva sconcertato: noi siamo sempre un po' sfalsati rispetto al tempo: quello della storia, della società e del mondo. ci portiamo un po' in avanti: ecco ci sporgiamo sul futuro. un po' indietro e precipitiamo nel passato. in bilico su una sfera di ore e giorni e anni, confusi e precari quali siamo. poi, magicamente, accade. entriamo nel tempo e ci ricolleghiamo al suo ritmo: il nostro cuore incontra la follia di un altro essere, sfalsato anch'esso, che gli risponde. il prodigio! come si fa a sapere se si è innamorati, se si è un più vivi, se non quando il tempo acquisisce una sua temporanea sospensione che ci immerge nel tempo del mondo e libera quella nostra follia, relegata in un angolo, a ricomporci nel presente? a reinserirci nel tempo, a farci abitare un tempo che è un luogo dell'anima, finalmente, presenti e vivi... mi sembrava un pensiero profondo: ne provavo una sorta di commozione, quella che accompagna le grandi scoperte. quelle verità che forniscono ossatura alla nostra esistenza. mi ci sarei anche voluto soffermare, per coglierne le sfumature e i rimandi ai miei giorni, ma la mia mente si era rimessa in azione. il moto implacabile dei pensieri, in quel silenzio, pareva assurdo a dirsi: in quella condizione di isolamento, mi sentivo come quegli speleologi che si fanno rinchiudere per mesi nelle grotte e poi, tornati in superficie, credono di aver guadagnato un giorno o due. il tempo interno si è dilatato ed espanso, privo com'è di riferimenti. tic tac tic tac... 

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    Aforisma

    Sii sempre la meta del tuo viaggio 

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