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    Accampati!

    Ci stringemmo attorno al fuoco appena acceso, le fiamme iniziarono a lambire il ceppo alla base mentre consumava i rametti più sottili e il fumo permeava l'aria.Intanto un calderone pieno di aromi e verdure, si trovava in attesa di cuocere sopra di esso.《 Ne è passato di tempo dall'ultima volta... 》bisbigliai malinconico, era da quando il mio villaggio era stato spazzato via assieme ai suoi ... Altro...

    Ci stringemmo attorno al fuoco appena acceso, le fiamme iniziarono a lambire il ceppo alla base mentre consumava i rametti più sottili e il fumo permeava l'aria.

    Intanto un calderone pieno di aromi e verdure, si trovava in attesa di cuocere sopra di esso.

    《 Ne è passato di tempo dall'ultima volta... 》bisbigliai malinconico, era da quando il mio villaggio era stato spazzato via assieme ai suoi abitanti che non mi accampavo in compagnia e accendevo un fuoco.

    Una gomitata al fianco mi ridestò e mi fece sfuggire un lieve lamento.

    《 Pensieri indecenti umano? i miei preferiti! 》mi sussurrò la succube melliflua, accarezzando con una mano uno dei suoi corni che spuntavano appena dalla sua chioma rossastra.

    《 Già affamata Irania? preparo le vivande 》cercai di svincolarmi dal suo sguardo magnetico, l'ultima volta che mi ero soffermato troppo sulle sue triplici iridi per occhio, a malapena ero sopravissuto.

    Sentii il cuore accellerare appena e il petto ardere come se avessi tracannato in un unico sorso tutto il liquore della cerimonia d'iniziazione.

    《 Mi piace già cosa sto assaporando adesso, Dreik! 》mi pungolò accentuando il messaggio sottinteso e sfiorando con uno degli artigli le sue labbra.

    Riuscii a girarmi dall'altra parte, serrando le palpebbre come se dei tizzoni ardenti fossero finiti nei miei occhi.

    Quella fune invisibile che sembrava tirarmi con forza crescente verso di lei scomparve di colpo.

    Come se del cotone avesse invaso le mie orecchie, i suoni arrivavano ovattati, ma seppur lentamente tornarono con la stessa velocità con cui erano scomparsi.

    《 ... sempre a rovinare tutto, voi colombelle! 》la sentii lamentarsi con quel tono falsamente innocente e vagamente infantile.

    《 e smettila di puntarmi quelle tre paia di ali, sarebbe un peccato rovinare quel brodo con quelle piumaccie. Mi irriterebbero la gola! 》si lamentò il demone goliardicaménte verso il serafino.

    《 Probabilmente ti piacerebbe pure, demone. 》disse con un certo disgusto Elanor, la durezza dell'ultima parola cozzava con la gentilezza usuale che trasmetteva la sua voce.

    《 Perchè non proviamo, boccoli d'oro! 》continuò ad istigarla non nascondendo che si stesse divertendo.

    L'angelo non reagì alla provocazione e la vidi incrociare le braccia di fronte al seno, le ali si ripiegarono però mantenendo le penne remigranti irte come in attesa di un attacco imminente.

    Mi diressi verso la borsa da cui tirai fuori alcune striscie di carne essiccata assieme a della carne fresca, avrebbe contribuito a migliorare il brodo.

    Consegnai le striscie di carne secca a loro due, mentre io tagliai a cubetti la carne da cuocere e mordicchiavo la mia striscia.

    《 Dammene un paio... 》mi chiese Irania indicandomi con un dito la carne appena tagliata.

    Guardai la carne un pò perplesso ma la consegnai senza proferir parola anche se nel mio volto era ben visibile il dubbio.

    Lei prese la coppia di cubetti ridacchiando tra sè e li infilzò in un rametto che trovò accanto al suo fianco.

    Guardandomi ancor più divertita, mise la carne vicino al fuoco e l'altra estremità la conficcò salda nel terreno.

    《 Proprio come fate per i Marshmallows! 》mi disse come se fosse una cosa abbastanza ovvia, spalancando gli occhi e indicando con entrambe le mani il bastoncino.

    《 È inutile, neanche ricordano i draghi d'acciaio che li spostavano rapidamente o le immense zattere di ferro che usavano per navigare. Figuriamoci se conosce un dolce riscaldato sul fuoco! 》si intromise nella discussione Elanor.

    Le guardai entrambe con sgomento senza comprendere come potessero esistere simili cose.

    《 Magia degli antichi. Il ferro non può galleggiare ed un animale fatto di metallo non l'ho mai visto! 》pensai, liquidando la cosa come una delle tante cose inspiegabili del passato.

    《 Prevedibile in una specie con una vita tanto corta, Vesna me lo ripeteva per decadi fino alla nausea. 》mi canzonò la succube.

    《 Ok, allora devi essere un demonietto molto vecchio per conoscere bene gli antichi. E questa Vesna lo è probabilmente più di te! 》andai al contrattacco, ma dovevo rimanere cauto poichè non potevo fare sempre affidamento sul serafino.

    《 Veramente ho soltanto un paio di migliaia di anni, un diavoletto appena apparso praticamente! 》mi rispose allargando le braccia ed enfatizzando maggiormente dispiegando le ali.

    Le fiamme creavano strani riflessi in quelle ali nere come la notte, la membrana elastica che le componeva era ipnotica e letale quanto la loro proprietaria.

    《 E mia madre Vesna era giovanissima quanto lo sono adesso io quando mi ha avuto... se lo desideri posso chiamarla! 》l'ultima parte me lo disse passandosi la lingua tra i denti in maniera suadente e non era difficile pensare a ciò che potesse pensare continuamente una succube.

    《 Avrei preferito che il concilio ci avesse mandato Belfagor, lui avrebbe provato a squarciarci un paio di volte la gola ma una volta che gli avessi reciso qualche arto avrebbe smesso! 》si lamentò Elanor sospirando rumorosamente.

    《 Quando la dea ti generava doveva essere di cattivo umore, ali d'argento. 》proruppe Irania con un sorrisetto cattivo, ma continuo a parlare senza dare il tempo di replicare all'angelo.

    《 Probabilmente neanche sai che giorno è oggi, vero ossa fragili? 》mi chiese conoscendo già la risposta.

    《 Gli antichi festeggiavano questo giorno dandogli il nome di Halloween, é il giorno in cui la distanza tra le nostre dimensioni è talmente sottile che basta un graffio per unirli ed entrare nel vostro mondo. 》mimò con gli artigli quanto detto prima e gesticolando come se strisciasse dentro un tunnel.

    《 Un portale naturale che dura una sola notte. 》tagliò corto il serafino.

    《 Tu mai una gioia eh... a parte apatia e ira vero? 》la rimbeccò il demone, fu un attimo e si rigirò nuovamente verso di me per continuare la sua spiegazione.

    《 La notte in cui i cuccioli umani si vestivano per imitarci e chiedere i dolcietti agli umani adulti. 》disse raggiante più del solito, doveva essere stato un periodo felice per lei.

    《 Se vuoi ti mostro qualcosa, vuoi vero? 》quasi mi supplicò ed io non potei far altro che abbassare il capo in segno di assenso.

    Uno schiocco di dita ed il paesaggio attorno a noi fu invaso da strane palle arancioni con diversi volti intagliati su di esse.

    Una fiamma dentro le cavità di quei volti sorridenti o ringhianti, fluttuava sospinta dal vento e creava l'illusione che fosse animata.

    Alcune figure che assomigliavano ad esseri umani, erano legati a dei pali e rimanevano immobili.

    Alcuni avevano la pelle verde decadente con alcune parti del corpo mancanti, mentre altri portavano uno strano mantello nero e con i denti più aguzzi di Irania.

    Ora, sicuramente chi tra di voi mi segue da quando sono caduto da quella torre senza tramutarmi in una gelatina rossa dovrebbe sapere che ne ho viste di zanne... ma quelle di questi esseri in mantello sono veramente esagerate!

    Dei strani fuochi comparvero in mezzo ai rami degli alberi, ognuno di loro emetteva luce di colore diverso e si affievoliva per rinvigorirsi subito dopo, creando una danza estasiante.

    Sotto di essi delle piccole figure evanescenti si muovevano intorno a noi in cerchio, con delle maschere con lineamenti distorti a nasconderne il volto e nella mano stringevano un cestino penzolante.

    Una musica allegra invase le nostre orecchie, un coro di voci dicevano qualcosa nella loro lingua sconosciuta ma rimanevano gradevoli accompagnando la melodia.

    Mi sentii rapito da quella scena apparsa dal nulla, la succube aveva perfettamente ragione a ritenere divertente questa usanza.

    《 wow, questo allora è Halloween! 》esclamai eccitato da una festa di questo tipo, da noi il massimo del divertimento era una battuta di caccia proficua oppure uno scherzo al sarto del villaggio.

    Un sorriso estasiato mi si incollò sulle labbra senza che potessi evitarlo, durò appena un istante ma morì altrettanto rapidamente perchè qualcuno mi afferrò le spalle e mi ritrovai rapidamente a terra.

    Un odore fetido e pungente mi raggiunse le narici, qualcosa cercava di sovrastarmi e sulle spalle sentivo qualcosa di liquido che si muoveva sul corpo.

    Riuscii a girarmi su me stesso più per mera fortuna che sovrastando il mio nemico a livello di forza.

    Sbarrai gli occhi appena vidi quell'essere composto da fanghiglia spalancare la bocca, non erano presenti denti però al loro posto delle pietre aguzze li sostituivano egreggiamente.

    In una frazione di secondo, l'essere fu colpito di piatto dalla lama del serafino allontanandolo da me e una palla di fuoco si infranse su di esso senza lasciargli scampo.

    Mi girai verso le mie salvatrici con la tacita domanda nel mio sguardo che richiedeva una spiegazione.

    《 Ottima mira, vero? 》mi disse ammiccando con l'occhio e soffiando sulla punta dell'indice proteso che era attorniato da del fumo scuro.

    Qualunque cosa volesse dire non gli badai molta attenzione poichè la mia attenzione fu rapita dal calderone rovesciato, e questo poteva significare soltanto che anche oggi non avremmo cenato.

    《 Bene, scordiamoci della cena ed anche di un sonno ristoratore. Hai soltanto indicato la nostra posizione a tutte le creature di questa foresta! 》redarguì l'angelo al demone e ripose la sua spada nel fodero.

    《 Adesso l'umano andrà a riposarsi che domani ripartiremo per l'assemblea dei caduti. 》ordinò il serafino, la succube cercò di proferir parola ma un occhiataccia da parte di Elanor la zittì.

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    Nuovo Mondo!

    Racconto partecipante al contest "il personaggio misterioso" del gruppo Facebook "Scrittori in Gioco". Linee guida, 2000 parole massime e utilizzo di un personaggio proveniente da qualsiasi piattaforma e opera che comunque sia famosa. Senza nominare il personaggio. Link: https://www.facebook.com/events/1885724178438150/permalink/1885750358435532/Leggi qui il testo completo di quasi 2000 parol... Altro...

    Racconto partecipante al contest "il personaggio misterioso" del gruppo Facebook "Scrittori in Gioco". Linee guida, 2000 parole massime e utilizzo di un personaggio proveniente da qualsiasi piattaforma e opera che comunque sia famosa. Senza nominare il personaggio.

     Link: https://www.facebook.com/events/1885724178438150/permalink/1885750358435532/

    Leggi qui il testo completo di quasi 2000 parole!

    Tutti i personaggi sono di proprietà Square e Square enix appartenenti alle saghe videoludiche come Final Fantasy e Dissidia.

    Tale racconto può essere considerata una fanfiction a tutti gli effetti e vuole mettere in correlazione i mondi di tali videogiochi a seguito della compressione temporale avvenuta durante la trama di Final Fantasy 8.

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    UN NATALE SENZA…

    La neve era scesa tutta la notte e aveva imbiancato l’intero circondario, ma d’altra parte a Rovaniemi la faceva da padrona. Quella vigilia l’aria era diversa però, vento di novità soffiava sulla Lapponia, atmosfera frizzante, di quelle che predicono una grande notizia. Mamma Natale stava ultimando le ultime leccornie per il classico cenone della Vigilia. Ogni anno, prima di partire, il... Altro...
    La neve era scesa tutta la notte e aveva imbiancato l’intero circondario, ma d’altra parte a Rovaniemi la faceva da padrona. Quella vigilia l’aria era diversa però, vento di novità soffiava sulla Lapponia, atmosfera frizzante, di quelle che predicono una grande notizia. Mamma Natale stava ultimando le ultime leccornie per il classico cenone della Vigilia. Ogni anno, prima di partire, il marito degustava, insieme a tutti i suoi elfi, piatti da tutto il mondo, preparandosi al grande viaggio con una bella abbuffata. Questo lo rendeva più umano, riusciva ad immergersi nei sentimenti di chi lo aspettava tutta la notte. Il grande salone era già pronto, gli elfi e tutti gli abitanti di Rovaniemi trepidavano per la cena, molto affamati dopo aver passato l’ultimo mese ad incartare regali più disparati per bambini di tutto il mondo. Grandi ghirlande ornavano le finestre, mentre l’enorme sempreverde illuminava la stanza con le sue mille lucine. Colori sgargianti, oro, rosso, argento, blu…Le decorazioni della famiglia Natale esulavano dalla moda del momento, da sempre amavano utilizzare tutti i colori disponibili. Sul grande tavolo i segnaposti erano sistemati, Babbo Natale amava chiamare per nome – e li conosceva tutti – ogni suo aiutante. Ghirlande anche sulle sedie, sparso ovunque vischio per permettere a chiunque di diffondere amore durante quella grande festa. Quella mattina Babbo Natale aveva radunato tutta la famiglia, mamma e figli Natale, elfi e folletti e fatine, e aveva comunicato:  “Questa sera ci sarà una grande novità per tutti voi, quello che vedrete non si ripeterà per anni. State in guardia miei cari Elfi, resterete esterrefatti”.  Si guardarono tutti, allibiti, non c’era mai stato spazio per le novità a Rovaniemi, tutto era dominato dalla tradizione, ogni anno. Il primo dicembre si iniziava l’incartamento, il 24 si sellavano le renne e la sera si cenava alla grande mensa, a mezzanotte tutti salutavano il vecchio Natale, mentre Mastro Tempo rallentava il grande orologio per permettere al signore in rosso di consegnare ogni regalo. L’aria era frizzante, tutti parlottavano tra loro immaginandosi il grande annuncio.  “Secondo me va in pensione”  ”NON andrà mai in pensione, i figli non sono ancora pronti per sostituirlo” Insomma un gran vociare di idee, ognuno aveva la propria.                                                                           DRIIIIN la campanella della cena aveva suonato. Tutti presero posto rapidamente, le pesanti tende cremisi si aprirono e lui uscì col volto coperto da un foulard rosso come il suo abito. Si sedette a tavola, a capo tavola, sorrise con gli occhi a tutti i suoi commensali e calò un silenzio tombale. Trepidazione, ansia e curiosità dominavano l'atmosfera del grande salone. Ma Babbo Natale non aveva fretta. "Salve a tutti cari commensali, vi starete chiedendo come mai porto questo sciallè intorno al mento. Presto lo scoprirete!" "Dai Babbo Natale, parlaci della novità, siamo tutti in attesa del grande annuncio" "Non è un annuncio quel che devo farvi, cari miei. Quel che vedrete vi stupirà, renderà questo Natale memorabile e vi farà comprendere una grande lezione: spesso, per migliorarci, dobbiamo sottrarre e non aggiungere" Mamma Natale e gli elfi cuochi iniziarono a servire il pasto, ma Natale restava a volto coperto. Serviti tutti si pronunciò nuovamente: "È giunto il momento di svelarvi questo segreto". Pian piano si tolse il velo che gli copriva il mento, con movimenti lenti e perentori…Un grande “ooooooooohhhhhhhhhh” invase la sala Babbo Natale si era tagliato la barba e mostrava a tutti il suo viso nudo.

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    felini e spiriti

    Runa ronfava tranquilla. Runa era un gatto femmina. era grigia e tigrata con il dorso bianco. Egli aveva la mente che gli ronzava,ma,non riusciva a ronfare o russare tranquillamente quella notte. pensieri ossessivi gli si muovevano tra le sinapsi. pensava a Genni come alle altre donne! pensava ai suoi rapporti con le donne e tirò le somme:la sua fortuna con le donne lo spingeva,con fare molesto,v... Altro...

    Runa ronfava tranquilla. Runa era un gatto femmina. era grigia e tigrata con il dorso bianco. Egli aveva la mente che gli ronzava,ma,non riusciva a ronfare o russare tranquillamente quella notte. pensieri ossessivi gli si muovevano tra le sinapsi. pensava a Genni come alle altre donne! pensava ai suoi rapporti con le donne e tirò le somme:la sua fortuna con le donne lo spingeva,con fare molesto,verso l omosessualità. 

    i suoi affetti più intimi risiedevano nei gatti e gli andava bene cosi. conviveva con due bellissimi felini ed si sentiva più che compensato affettivamente… era la vita sessuale che Egli sentiva eccessivamente triste e solitaria.

    Runa,prima di riaddormentarsi e non dare più segni di vita per altre sei ore, alzò lo sguardo e lo poggiò su di Egli,giudicandolo con fermezza e cognizione di causa. Egli si senti giudicato ed ando a riempire le ciotole. 

    Egli sapeva che Runa non lo stava giudicando per le ciotole semi vuote. (Egli sapeva che Runa sapeva,ma,Egli era conscio di ignorare cosa Egli stesso avrebbe dovuto sapere,dopotutto,Egli pensò:soldi e non sapere direbbe oggi Socrate.) Runa sapeva e giudicava,mentre Tike probabilmente avrebbe potuto applicarsi di più. Tike giudicava veramente male Egli soltanto quando la ciotola era vuota. 

    la sua vita sentimentale era traboccante di gatti ! aveva anche qualche buon amico con cui parlare. aveva altri amici con cui parlare di gatti. talvolta capitava che Egli parlasse ai gatti dei suoi amici . 

    Runa si alzò dalla sedia ed andò in cucina,fece uno spuntino dalla ciotola piena e si mise a fissare il suo coinquilino umano che stava facendo i piatti , la gatta provava quasi compassione per quel umano che la aveva fatta sterilizzare . 

    Tike entro placido e sicuro e si diresse verso la ciotola . 

    Runa e Tike miagolarono ad una figura che Egli non vide,ma,dalla quale si senti sia abbracciato con calore che inquietato. 

    la figura inquietante era quella di un certo Fabio,un amico di Egli quando era in vita. Fabio è una delle tante vittime della economia moderna ed è morto suicida. il morto si faceva spesso vivo,nel suo piccolo sceglieva le canzoni dallo spotify di egli,spegneva le luci,faceva cadere e rompere oggetti fragili…piccoli gesti d affetto.

    Fabio era uno spirito inquieto ed arrabbiato. quando era in vita è stato anche un valido artista ed artigiano…fatto sta che infestava , con la sue essenza inquieta ed arrabbiata, alcuni oggetti prodotti in vita ed ora in possesso ad Egli. 

    i felini erano molto sensibili a queste presenze e,nonostante gli sforzi del padrone di casa ( poiché,nonostante gli sforzi dei felini, Egli era il padrone di casa e non un semplice coinquilino ) era sempre affollata. i felini erano molto sensibili ed abbastanza socievoli con queste presenze,di fatti giocavano spesso con queste e talvolta le cacciavano. 

    Egli era una persona relativamente sociale . lo definisco “relativamente sociale” perche non era un misantropo ma nemmeno una persona particolarmente aperta. socializzava con i gatti più che con le persone . con le persone vive , per dirla tutta , aveva qualche inibizione e timidezza , mentre , con le persone morte riscontrava spesso il loro mal umore sotto varie forme : lampadine che esplodevano , fiamme delle candeline alte fino al soffitto , incensi che si accendevano da soli , gatti che partivano in monologhi miagolando al muro , oggetti che si sbriciolavano da soli … per non parlare dei tentativi di possessione od almeno le sensazioni cinestetiche . 

    Egli preferiva di gran lunga la compagnia animale a qualsiasi forma di compagnia umana . gli umani avevano manie di protagonismo (anche i gatti) , gli umani sono approfittatori ( anche i gatti ) , gli uomini si fanno la guerra ( i gatti ne fanno decisamente meno ) , gli esseri umani spettegolano del prossimo ( probabilmente lo fanno anche i gatti , ma , Egli non li capiva cosi bene ) … 

    Fabio,il morto,come molti altri suoi colleghi defunti,andava spesso a rompere le pall…,andava spesso a manifestarsi con i vivi. il nostro fantasma si era specializzato in lampadine. riusciva a fare sbalzi corrente cosi intense e ripetitive da fare saltare anche le lampadine alogene ed al neon , con le lampadine al led si adoperava fino a che non saltava qualche filo e , questo virtuosismo , gli era di vanto tra i defunti della casa. il nonno di Egli (defunto anche esso) era un burlone e “viveva” la competizione con Fabio … Il nonno Orgio faceva dissaldare i fili degli elettrodomestici , e faceva telescrittura usando Egli come mezzo per scrivere lettere d amore ad ignote. 

    la vita di Egli era già sovrafollata . più che socializzare con amici avrebbe dovuto conoscere più psichiatri od esorcisti . 

    Runa tornava dalla sua ronda alle quattro passate quella notte. si mise a miagolare alla porta di entrata ed Egli . svegliandosi , andò ad aprirle . Runa salutò Egli ed entrò in casa. lui la sgridò facendole notare che l altra porta era aperta e poteva fare a meno dei svegliarlo e , Tike venne in cerca di uscire dalla porta dalla quale Runa era appena entrata . 

    Egli, carico di sonno si innervosì e,Fabio cercò di cogliere l occasione per entrare nel varco di rabbia ed entrare nel padrone di casa . Fabio , da morto , imparò presto ad usare la propria energia emotiva preponderante per manipolare la concretezza dei vivi ed i vivi stessi. il fantasma sfruttava la propria inesauribile rabbia per manipolare la materia, facendo esplodere anche le lampadine ,e, per entrare in risonanza con la rabbia dei vivi. entrare in risonanza con le emozioni dei vivi significava essere immersi in tale onda emotiva e riuscire a sfruttare se stessi come onda e di conseguenza l emotività stessa…lo spirito diventava “rabbia senziente” e riusciva a manipolare le persone vibrando nella rabbia di queste. immaginatevi il potenziale"posseduto" come un contenitore di liquidi,come un secchio. al fantasma comune non basta riempire il secchio,non gli sarebbe sufficiente per influenzarlo. al  fantasma comune,per influenzare concretamente il secchio od almeno la sua temperatura , serve influenzarne il contenuto. i fantasmi più bravi riescono a manipolare i canali come burattini; non solo entrano in risonanza con i fili dei loro burattini”armonizzandosi con il contenuto del secchio”e le emozioni,ma,li manipolano a proprio piacimento. 

    hai mai posseduto una persona? 

    rabbia e rancore era la forza di Fabio che da vivo camuffava da ostinazione. un virtuoso artista ostinato in vita quanto un esperto della rabbia e del rancore da morto,Fabio,si fece subito strada come “spirito infestante” sfruttando le energie che lo hanno accompagnato in vita e scortato alla fine,le energie che sfruttava per manipolare la vita da morto,di fatti,erano il rancore e la rabbia che gli hanno fare quel nodo scorsoio. 

    Fabio era veramente incazzato,ma,non me la sento di dargli torto. aveva i suoi buoni motivi per avercela con vita,anzi,direi che era persino bravo ad andare avanti nel ultimo periodo. altri potrebbero dire”non me lo aspettavo che proprio lui…”,io,invece,non ne sono rimasto sorpreso. la mia mancanza di sorpresa mi ha fatto sentire in colpa ma io stesso ho sorvolato,non sono responsabile della sua morte;ammetto che avrei potuto fare di più quando era in vita,avrei potuto farlo stare un po meglio,ma,non lo ho fatto stare peggio. 

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    Galatea

    Jack era in una fumeria d oppio assieme a Blasfer, i due stavano svuotando pipe come se queste riempissero i loro stanchi animi, i due, in silenzio in mezzo al caos e soli in mezzo alla folla, tenevano accese le loro pipe come se queste fossero il bracere delle proprie speranze.Jack, in realta, stava fumando solo dell ottimo tabacco. Jack non sapeva l origine del mal umore di Blasfer, ne,tra ... Altro...

    Jack era in una fumeria d oppio assieme a Blasfer, i due stavano svuotando pipe come se queste riempissero i loro stanchi animi, i due, in silenzio in mezzo al caos e soli in mezzo alla folla, tenevano accese le loro pipe come se queste fossero il bracere delle proprie speranze.

    Jack, in realta, stava fumando solo dell ottimo tabacco. 

    Jack non sapeva l origine del mal umore di Blasfer, ne,tra l altro, conosceva l origine del proprio oscuro, profondo ed abissale stato d animo. Non stava bene Jack quella sera, si sentiva in lutto e non voleva neppure scoprire per cosa, in quel momento voleva solo alzare una nebbia sull abisso delle proprie emozioni e quindi era nel posto giusto, al momento giusto e con la compagnia giusta.

    Jack ebbe un erezione mentre socchiudeva gli occhi tristi ed iniziava a sorridere...gli stavano affiorando alla mente dei bei ricordi riguardanti una sua affezionata amica sacerdotessa di un tempio che frequentava, il culto di quel tempio era rivolto all amore per la vita, l universo e tutto quanto! Tutto è bellezza e, se la bellezza non è tutto, è, in ogni caso, in tutto.

    L amore fisico, per quel tempio, era ESPRESSIONE d amore e bellezza al pari di coltivare un fiore prezioso come dipingere un quadro... Come in ogni religione, ci sono sono fanatici! Le sacerdotessa di quel tempio non era fanatica ne di giardinaggio ne di arte, e, con grande dispiacere di molti suoi discepoli, non era sufficientemente fanatica in modo attivo neppure nell amore fisico. Tuttavia sapeva farsi amare col puro e semplice suo esistere, e, Jack non le nascondeva aperta ammirazione.

    Quella Sera jack socchiuse gli occhi per pochi secondi e vide la sua amica al di la di due palpebre stanche. La vide sulla riva di un laghetto.

    Lei lo aspettava scalza, quando jack arrivo e la abbraccio quasi in lacrime.. Lui era triste e non capiva il perche, era felicissimo di vederla!

    La abbraccio a lungo ed in fine le disse, allentando l abbraccio, "ciao amica mia", Lei rispose sorridendo "sono tua amica, ma, sono Galatea, la protettrice del tempio. Ho bisogno di farti una domanda : tu affermavi che esistono persone che sentono i pensieri e le loro energie, mi spieghi?

    Jack e Galatea stavano passeggiango nei pressi del laghetto, era una tiepida mattinata primaverile, "tu che affermi di sentire le energie emesse dai nostri pensieri, spiegami..." disse Galatea.

    Jack si fermo in Riva al piccolo lago meditabondo , si mise scalzo, prese per mano Galatea e la accompagno al centro dell acqua.

    Le vedi le onde? Chiese Jack indicando le piccole onde circolari che si formavano attorno alle ginocchia immerse della dea, "immagina che le onde siano I tuoi pensieri e che questa pozza d acqua sia l universo" Jack si mise di fronte alla deipara, "le onde che io creo sono I miei pensieri, pensieri che interagiscono con I tuoi e che toccano anche te"... Cadde un sasso dall alto che fece muovere uleriormente l acqua la quale si stava lentamente calmando, "qualcuno ti sta pensando" riprese Jack, non si sa da dove venga questo pensiero/energia, ma, questo pensiero si sta muovendo in questo universo e tocca l origine dei tuoi pensieri, te, oltre a modificare le onde che tu crei. "

    Jack si mise a pochi centimetri dalla dea e le riprese la mano, stava sfiorando con le proprie labbra le labbra di lei.

    LA stava guardando nei suoi divini occhi e le disse" li senti I miei pensieri ora? La mia energia che condiziona la tua e che desidera sfiorarti in questo universo di infinite possibilita ed Infiniti pensieri?in realta non ti posso influenzare, ma, essendo noi due, come tutto il resto, fatti della stessa sostanza :l acqua, l universo, il pensiero divino come... Come la semplice esistenza... Essendo noi fatti della stessa sostanza, se uno dei due si muove, si muove tutto anche nell altra.

    Non importa quanto distanti si sia col corpo, se si e vicini nell universo dei pensieri, anche l altrui pensiero si muove.

    Galatea disse: i pensieri sono tutti sulla stessa superfice?

    Jack le diede un dolce bacio sull angolo della bocca, poggio le proprie labbra dove terminava il suo sconfinato sorriso, poi, fece un passo indietro e si inginocchio appoggiandosi col ginocchio destro al fondo del lago. Era immerso fino all ombelico nell acqua tiepida mentre il sole la scaldava non timido, ma, presente e discreto.

    Jack immerse le mani dell acqua e le diresse con forza verso i piedi della dea formando un onda subacquea che glieli accarezzava, "i pensieri vanno molto in profondita... Toccano tutto cio che siamo" con le mani vicinissime a sui piedi comincio a fare onde sempre piu vicini a questi,arrivando ad accarezzargliene uno, "i pensieri, come ogni energia, ha varie profondita e varie densita", le diceva finche le proprie mani salivano piano le caviglie, "in questa acqua scorrono I nostri pensieri e noi siamo fatti anche di pensiero: nella nostra identita, nelle nostre idee, nel nostro emettere e ricevere in relazione al tutto". Le mani forti e gentili di Jack Chuck Mc Pachiock le stavano ancora accarezzando le gambe ed ormai stavano per uscite dall acqua. Le stava accarezzando la parte interiore delle ginocchia a pelo dell acqua mentre la guardava negli occhi, e, continuando a scorrere verso l alto con le proprie mani arrivando alle cosce, ricomincio a parlare fermando le mani, "il tuo essere, al di fuori del pensiero ed al di la dei pensieri, si" muove "con meno freni e meno contaminazioni, come puoi sentire e anche piu sensibile e ricettivo... Ascolta, ora, la mia essenza che scorre sulla tua senza piu alcun filtro".

    Jack, con un dolce sorriso sulle labbra e con gli occhi illuminati da una visione senza paragoni, le stava accarezzando ora gli interno coscia .

    LA dea gli sorrideva ascoltando la voce del suo interlocutore e le mani del suo ammiratore.

    Jack scorse ancora piu su con le proprie mani, con esse arrivo fino a quasi l inguine e poi viro all esterno sui fianchi di Galatea, ora erano in piedi l uno di fronte all altra.

    Le mani dell insegnante improvvisato salirono lente sfiorandole la schiena quasi abbracciando la dea, le accarezzarono il collo e poi il volto.

    Jack Chuck avvicino la propria bocca all orecchio li Lei, soffio con delicatezza Sul suo lobo e le suggeri all orecchio, "il pensiero non e tutto, esiste anche qualcosa di piu forte e... Questo qualcosa scorre in me come in te ed e l essenza di tutto l esistere, non so dare un nome a questo qualcosa, ma, piu del pensiero, questo qualcosa, ci spinge a vivere ed agire.

    Le bacio l orecchio, le bacio la guancia, le bacio la bocca, la abbraccio. 

    Jack Chuck Mac Pachock apri gli occhi e vide l espressione serena del suo amico che lo guardava avvolto nella fitta nebbia del fumo origine della sua serenità. 

    Blasfer disse a Jack : ora sono un altro, ora sono un uomo rilassato e consapevole,penso libero come l aria che respiro densa attorno a noi ora. ma, anche tu, amico mio, sei diventato una altra persona tra quando hai chiuso a quando li hai aperti...

    Devi dirmi qualcosa? Dove sei stato al di là dei tuoi occhi chiusi? Dentro di te o al di fuori del cielo? 

    Il Pachock rispose con espressione triste e tono deciso : sono stato in una parte di me al di là del cielo. E devo dirti che devo andare. È successo qualcosa. 

    Blasfer disse con una serenità che sembrava essergli appartenuta da sempre ma che non aveva mai visto nessuno in lui, nemmeno egli stesso : verrò con te, se posso esserti utile. Ora la nebbia è al di fuori della mia mente ma all interno di questo luogo. 

    Andarono. Jack sapeva dentro di sé, ma, non voleva sapere, tuttavia, non poteva ignorare che voleva fare qualcosa al proposito di ciò. 

    Andarono al tempio con passo deciso della cara amica apparsa in sogno . Un passo che da dell occhio tra la folla che si muove veloce ma non altrettanto. Un passo che trovo un solo ostacolo, una signora matura che fermo JackChuck mettendo gli la mano sul petto e chiedendogli, con la calma ed il flemma e la sicurezza di se di chi crede di essere l unica ad avere capito qualcosa dalla vita, disse : dove corri giovanotto, é inutile che corri per strada, magari intralci la strada a qualcuno con le tue corse, non ci hai pensato? Chi ti credi di essere, giovanotto? Guarda che siamo tutti sulla stessa barca e tutti moriamo! 

    Blasfer si mise tra la diversamente simpatica signora e ed il capo fila ed amico Jack rispondendo :lei, simpatica e bendisposta signora... Vada pure a morire lentamente, noi corriamo a vivere. 

    La spinse e riprese più forte la corsa male dicendola ad alta voce e bestemmiando. 

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    clichè

    La solita, decadente, umanità, pensò, e prese posto nell’ultima fila in fondo alla sala d’attesa del dottore. Gli uscieri alle porte scorrevoli, la segretaria con le unghie laccate di smalto, l’infermiera con i capelli ossigenati, la luce pallida del neon, il bianco smorzato delle pareti, le sedie di plastica rossa, la finestra con le tapparelle abbassate, la distributrice automatica… tu... Altro...

    La solita, decadente, umanità, pensò, e prese posto nell’ultima fila in fondo alla sala d’attesa del dottore. Gli uscieri alle porte scorrevoli, la segretaria con le unghie laccate di smalto, l’infermiera con i capelli ossigenati, la luce pallida del neon, il bianco smorzato delle pareti, le sedie di plastica rossa, la finestra con le tapparelle abbassate, la distributrice automatica… tutto, tutto la disgustava. Si sistemò sulla sedia e prese un libro dalla borsa di tela nera. Davanti ai suoi occhi comparve l’immagine di un sasso.

    Come ogni volta aspettava il proprio turno seduta dietro a tutti e con le spalle alla finestra, le gambe accavallate e un sorriso insuperbito sulle labbra, e in quei minuti di attesa trovava sempre modo di compiacersi tenendo il libro sollevato a mezz’aria, sacerdotessa che ostenta l’oscurità di un volto non toccato dal bagliore dei display telefonici. L’infermiera pronunciò un numero e un uomo dal volto rubizzo uscì dalla stanza; una coppia anziana si sedette davanti a lei; una ragazzina riccia ne occupò la sedia accanto. Uno sguardo veloce e tutto divenne dettaglio- il chiodo di pelle rosso, i jeans strappati sulle ginocchia, le scarpe da ginnastica con la zeppa, il volto nascosto dietro gli occhiali rotondi- lei da giovane- e all’improvviso provò nostalgia per i disegni che faceva da bambina, quando tutto poteva ancora avere una trama e uno sviluppo, per quelle principesse allegre che occupavano il centro vuoto della pagina con le loro linee raffinate, per quel pezzo di sole che sbucava sempre in qualche angolo, gli alberi con i fusti marrone e le chiome verdi, le case con il comignolo fumante…. interi paesaggi archeologici si sollevarono in lei, campi di grano dopo la mietitura e fiorellini viola sul verde smeraldo di piante di tabacco, rimbaud e il camino acceso nella cucina della casa in cui era nata; un’ombra sola venne a turbarla, l’impressione che a quelle principesse mancassero gli occhi, ma con un battito veloce delle palpebre cacciò via quell’immagine. 

    E mai si chiese se quelle principesse avessero gli occhi precipitati indietro e all’interno, e non provò mai lo stupore di riconoscersi in quell’immagine paralizzata dall’angoscia.

    Controllò l’ora sul telefono, l’attesa è l’agonia degli insicuri patologici, pensò, la perdita che occhieggia da troppo vicino; il ritardo, che è l'attesa umiliata, è pura cattiveria, ed ebbe paura che una palpitazione uscita dalla profondità del silenzio potesse divenire pianto. Uno scarafaggio può fingersi morto per 23 minuti, una libellula può simulare la caduta fatale e restare immobile a terra finché non si sente di nuovo sicura, pensieri confusi le vorticavano in testa, non stava bene, dubitava di esistere, no, non sto bene. Un aereo ronzò minaccioso nel calore del cielo primaverile, un uccello lì fuori volò via dal ramo di un albero; ripose il libro e ne prese un altro, distrattamente lesse l’indice e la quarta di copertina e poi lo rimise in borsa.

    Quel senso di frenetica inutilità che la avvolgeva come fosse una pelle, la sensazione costante di essere la copia di un originale assente.

    Ciò che ricorda è ciò di cui non può fidarsi, ciò che le appare è ciò di cui si fida.

    Aveva letto tanti libri, si cercava tra le righe e nei dettagli dei personaggi, nel tono dei filosofi e negli aforismi dei poeti, cresciuta ibrida tra realtà e finzione con il tempo aveva sviluppato la convinzione che esiste solo ciò che la parola può esprimere, solo ciò che ha forma. Era costantemente occupata a volere o non volere essere quella che era e perciò concedeva poca attenzione alle cose, nulla sembrava in grado di mettere radici in quel terreno limaccioso e oscuro che giaceva in fondo alla sua intimità, non sapeva e non provava nulla. 

    Sono sempre stata io, chi sono stata e chi avrei potuto essere? è mai possibile un istante di identità senza psyche, non c’è mai la possibilità che tra ciò che si è e ciò che si è già stati la coscienza si smarrisca- e vi si infili magari la coscienza di uno scarafaggio? 

    Perdo di continuo il filo della narrazione.

    Si era sempre sentita diversa dagli altri esseri umani, come se una specie di dissonanza tra lei e l’armonia del mondo fosse la sua vera essenza, e fu per questo che all’università decise di studiare archeologia e di specializzarsi sui culti funebri. Forse nel mondo dell’incorporeo cercava la compiutezza che il suo corpo le negava;  forse nella fissità della morte cercava un conforto alla mutevolezza della vita. Forse avrebbe solo dovuto vivere. 

    Pesco un suo ricordo e pensavo venisse dopo invece eccolo qua, sua madre che le porge una lettera, le sue mani tremanti che la aprono: la partenza, iconografia di un tempo che non passa e diviene lutto. E poi lei che piange in una città sconosciuta con la schiena appoggiata ad una parete gialla nell’oscurità di una notte d’estate, il cielo senza stelle e le voci dal terrazzo di fronte. E nella tasca di un cappotto chiuso nell’armadio un mucchietto di bustine di plastica rettangolari, sottili e sigillate: piccoli bisturi con lame acuminate, come quelle che vorrei affondare sulla pelle ogni volta che un grido mi si spegne nella gola asciutta.

    E poi la mattina quel messaggio- Ciao come stai?- Semplice e informale, non troppo distaccato però, sindrome dell’abbandono colpita e affondata. -Male-  sensazione di sentirsi a casa solo nella forma definita e circoscritta della parola, nella fissità sempre mortuaria dell’immagine, nella lotta continua tra ciò che la parola nomina e ciò che i suoi occhi vedono. Si, era di nuovo naufragata in se stessa, di nuovo cercava le forze per raggiungere la zattera della medusa

    - posso tornare?-

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    funerei mnestici

    Ci mettemmo in cammino da sole che era buio, faceva freddo e forse c’era la nebbia, la luce giallastra dei lampioni illuminava a malapena la strada e il rumore dei nostri passi sul selciato riempiva l’aria di quelle strade  deserte e solitarie- Avevamo il passo spedito, lei camminava più avanti di me muovendo il bacino e  le braccia, io come sempre le arrancavo dietro. Arrivammo dav... Altro...

    Ci mettemmo in cammino da sole che era buio, faceva freddo e forse c’era la nebbia, la luce giallastra dei lampioni illuminava a malapena la strada e il rumore dei nostri passi sul selciato riempiva l’aria di quelle strade  deserte e solitarie- Avevamo il passo spedito, lei camminava più avanti di me muovendo il bacino e  le braccia, io come sempre le arrancavo dietro. Arrivammo davanti la grande casa che si ergeva sulla collina, il vialetto alberato e il cancello con la scritta attenti al cane- ma io sapevo che non c’era da avere paura perché il cane era morto,  forse  anche il suo padrone era morto, forse erano morti tutti e io e mia madre eravamo le uniche sopravvissute. Si dice che in caso di attacco nucleare sopravvivano solo gli scarafaggi. Forse ci eravamo metamorfosate in scarafaggio. Dove stavamo correndo da sole nel cuore della notte? Come in un sogno che la mattina si fa fatica a rimettere insieme nei vari pezzi, e di tutto ciò che ci ha tenuti svegli  resta solo una vaga sensazione, un sapore dolce-amaro di perdita, così non riesco a ricordare la scena precedente, forse non sono io quella che corre nel buio della notte.. Forse io non sono io, forse è un sogno dimenticato e troppo spesso raccontato,  forse non è  nemmeno  un sogno, ma è l’inizio di un racconto che potrebbe ancora svilupparsi in un trama, forse … oltrepassammo le casupole popolari che si estendevano sul versante opposto della collina avvertendo una tensione sempre più profonda,  come una scossa tellurica intermittente, il fiato sempre più corto, il cuore in gola, la testa che girava e soprattutto non sapere dove andare,  l’arrivo lontano come la partenza; stavamo percorrendo la strada che ci avrebbe portate al cimitero, di questo potevo essere abbastanza sicura, ma per quale motivo? qualcosa di grave era accaduto, o forse qualcosa si era fermato per sempre, era rimasto congelato in una  traccia onirica e aveva preso a vivere da solo nella storia di un racconto che ancora non è stato scritto, un paesaggio silenzioso di macerie e  rovine millenarie, ossa bianche sulle quali scrivere il proprio nome per ricordarsi chi siamo stati nel giorno del giudizio- stavamo andando a registrarci per il giorno dell’apocalisse? Era necessario iscriversi nei registri ufficiali della vita per partecipare all’apocalisse?  E se non lo avessimo fatto, ci sarebbe stata negata ogni possibilità di riscatto? Qualcosa era andato distrutto, quel posto esisteva solo nel racconto della nostra fuga iniziata prima dell’inizio di questa storia, sul muretto del cimitero annunciato dalle luci tremolanti dei lumini ci aspettava una civetta dalle piume bianche. Non osavamo rivolgerci parola, niente sembrava capace di fessurare quel silenzio eterno che ci calò addosso come piombo fuso quando arrivammo davanti ai cancelli e li trovammo chiusi. Non pronunciammo parola nemmeno quando vedemmo passare l’unico tram che avesse mai percorso quelle strade. Girò la curva e andò via prima che potessi svegliarmi.

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    Il vecchio che guardava il fiume

    Il cielo era carico di un azzurro così intenso da far male agli occhi. Non una nuvola nel cielo era rimasta dopo il forte temporale e il sole faceva capolino ad est dietro le vette appenniniche che incornavano la vallata verde oro, tempestata di alberi di giuda e rocce sedimentarie. Dabbasso, il fiume scorreva gonfio, biondo, pieno della pioggia caduta nei giorn... Altro...
    Il cielo era carico di un azzurro così intenso da far male agli occhi. Non una nuvola nel cielo era rimasta dopo il forte temporale e il sole faceva capolino ad est dietro le vette appenniniche che incornavano la vallata verde oro, tempestata di alberi di giuda e rocce sedimentarie. Dabbasso, il fiume scorreva gonfio, biondo, pieno della pioggia caduta nei giorni addietro. Le effimere, con le loro ali trasparenti e i corpi cangianti, saltellavano insistentemente sul pelo dell’acqua. Erano migliaia e stavano deponendo le uova; fragili e ignare, esse erano fonte di nutrimento delle trote e, ogni tanto, il balzo di una grossa iridea apriva uno squarcio nella superficie del fiume e, afferrata la preda, ricadeva in acqua tra schizzi e scialacqui.  Sulla sponda ovest del fiume, si alternavano vecchie canapine riconvertite in orti a campi in disuso pieni di sterpaglie e boschi di rovi di more. In uno di quegli orti, sostava un vecchio uomo perso nei suoi pensieri a guardare lo scorrere del fiume. L’uomo aveva trascorso almeno ottanta delle sue primavere, la pelle era color della sabbia e i segni sul volto e sulle mani erano profondi solchi similialla terra arata che tanto aveva battuto sotto i suoi piedi. Aveva corti capelli bianco candido in un taglio militare che denotava la cura per l’ordine ma la pocaimportanza alle apparenze. Gli occhi erano di un profondo verde del tutto identico ai numerosi lecci intorno a lui. Il corpo era ancora forte e nerboruto, ritorto dall’artrite come un bastone d’olivo ma possente come il tronco di una quercia. Indossava una camicia a scacchi dai colori stinti e un paio di pantaloni che in un epoca lontana dovevano esser stati color cachi. Viveva da solo ormai da più di trent’anni. Sua moglie, stanca della vita umile di vallata, lontana dalle grandi città, aveva deciso di andarsene a cercar fortuna chissà dove, o almeno così lui giustificava l’assenza, ma la realtà spesso è dura da accettare e la mente trova soluzioni più accomodanti. Non avevano figlioli e persero subito i contatti; fu l’uomo a non cercarla mai, non presentandosi neanche alle udienze. Non cercò mai neanche una nuova compagna; la solitudine che tanto poteva far paura ad altri, con il tempo, per lui divenne una taciturna amante. Il vecchio sedeva su di una sedia in legno, poco meno che sua coetanea, con la seduta impagliata ormai piena di trecce sciolte che pendevano a destra e a manca; avrebbe dovuto cambiarla già da un po’ ma trovava sempre una scusa per lasciarla lì dov’era: la nostalgia oscura i buoni propositi. Quella mattina si era svegliato più presto del solito, quando la notte non aveva ancora lasciato spazio al giorno. Ricordava solo vagamente gli agitati sogni che lo avevano svegliato e ora, quel piacevole frusciare delle acque del fiume e il suono melodico e ripetitivo del codirosso spazzacamino appollaiato su qualche ramo non lontano, lo cullavano con una ninna nanna antica.  «Vedere l’acqua che scorre inesorabilmente nella stessa direzione nel letto del fiume, mi dà la misura dello scorrere del tempo» Il vecchio, preso di soprassalto da quella voce, barcollò sulla sedia malconcia e riuscì a mantenere l’equilibrio correggendo il peso su di essa. Doveva essersi addormentato, ma chi mai era quella ragazza seduta a terra a fianco a lui? Si stropicciò gli occhi e schiarì la voce con un suono cavernoso «Devo essermi addormentato, tu chi sei? Che ci fai nel mio orto?»  La ragazza continuava a guardare fisso il correre del fiume «Chi sono io non ha importanza. Piuttosto direi, chi sei tu? Te lo sei mai chiesto?» Il vecchio rimase interdetto. Doveva essere una ragazzina di quelle dei paesi limitrofi che per evadere un po’ dalla routine della vallata si faceva di qualche droga. Aveva lunghi capelli biondi sciolti e lisci come seta filata, incarnato era molto chiaro, gli occhi brillavano di luce intensa e intelligenza, non certo uno sguardo imbambolato reso passivo dagli allucinogeni. Indossava una maglia bianca decisamente più grande della sua taglia che gli faceva da tonaca e a occhio e croce dimostrava tra i quattordici e i sedici anni. A dirla tutta il vecchio non era neanche sicuro fosse una femmina. I capelli lunghi e la voce squillante avevano fatto si che fosse catalogata nell’universo femminile ma uno sguardo più attento al volto duro, con zigomi alti e pronunciati e labbra dure e sottili, fecero sorgere dei dubbi all’uomo che pensava che i giovani di oggi non avessero più la cura di indossare abiti che, come una volta, non lasciassero dubbi sull’entità di genere. «Perché dovrei mai chiedermi chi sono io. Io so perfettamente chi sono e ora lasciami in pace ho da lavorare al mio orto. Ho già perso troppo tempo.» «E dove avresti perso il tuo tempo?» domandò la ragazzina «ricordi dove? Perché io potrei aiutarti a ritrovarlo. Io non perdo mai nulla. In realtà ho perso qualcosa solo una volta, e l’ho pagata cara, ma vedo tanti come te che perdono di continuo qualcosa: il tempo, l’amore, le persone, la pazienza e spesso, più di tutto, la speranza. Sono quelli che mi fanno più tenerezza e che decido quindi di aiutare: quindi vuoi che ti aiuti a ritrovare il tuo tempo? Ma poi sei sicuro di averlo perso? O hai perso qualcos’altro?» «A breve avrò perso la pazienza!» tuonò il vecchio «e la ritroverò solo quando te ne andrai, quindi smamma! Vattene e non prenderti gioco di un vecchio come me.» «Quindi vuoi veramente che io me ne vada? Sei sicuro sicuro? Quello che ti sto chiedendo è: che cosa vuoi veramente?» e la ragazza questa volta si girò a guardarlo e lui ne rimase come folgorato.  I suoi occhi brillavano come gelide stelle incandescenti e il vecchio rimase a fissarli come ipnotizzato. Rivide in quelle luci tutta la storia della sua vita che girava come la pellicola di un vecchio film. Si rivide in fasce coccolato da sua madre, rivide se stesso correre con la cartella verso la scuola, vide il ragazzo che era mentre lavorava la terra, rivide sua moglie il giorno del matrimonio e infine vide un uomo che invecchiava solo e amareggiato.  Il film della sua vita si interruppe e gli occhi della ragazza tornarono normali occhi  ma di un azzurro ineguagliabile. «Te lo ripeto. Cosa vuoi veramente?» «Vorrei tornare indietro nel tempo» disse il vecchio, appoggiando i gomiti sulle coscie, mettendo la testa tra le mani e coprendosi il viso «vorrei non essere stato un egoista per tutta la mia vita. Ho pensato sempre e solo a me stesso. Ho pensato che il lavoro venisse prima di tutto. Ho creduto che, guadagnando abbastanza soldi per una esistenza rispettabile mia moglie non avesse bisogno di altro. Non ho capito nulla e non mi sono mai preoccupato di capire chi mi circondava. E adesso, vecchio come sono ho perso la speranza. Ormai per me non c’è più nulla da fare. Morirò solo, perché è questo che mi merito.» «Bene» disse la ragazzina «finalmente parli con il cuore e non con la testa. Non è mai tardi per la speranza e io posso aiutarti a trovarla come ti avevo detto. Ricorda però di non perderla di nuovo, siamo d'accordo?» Quando il vecchio smise di piangere e tolse le mani dal volto per prendere un fazzoletto ed asciugare le lacrime, vide che la ragazzina era scomparsa. Un attimo prima era lì con lui e un attimo dopo non c’era più. «Ehi, vecchio ubriacone! Sta mattina batti la fiacca o sbaglio?» disse un signore anziano che passava sulla vecchia strada ferroviaria che divideva gli orti dalla costa rocciosa. «Mai quanto te!» disse il vecchio, vagamente sorpreso, rbrigandosi a nascondere fazzoletto e lacrime «Ma dico, hai visto per caso passare una ragazzina dai lunghi capelli biondi, occhi azzurri,  vestita di bianco?» «Ma no» rispose il passante «vengo dal ponte e nessuno è passato. Dico, non sarà mica che hai bevuto davvero e hai sognato Nera?»  «Chi è Nera?» domandò il vecchio, incuriosito. «Ooo, questa è bella! Sei qui da quasi un secolo e non conosci la leggenda della Ninfa Nera?» rispose il passante che si accinse a scendere gli scalini di terra e sassi per raggiungere il vecchio, e continuò a raccontare «Si narra che la Ninfa Nera venne trasformata nel fiume che vediamo per un amore proibito con un umano. Da quella volta, solo quando vede un umano triste per amore che guarda il fiume, ella possa tornare in forma umana per aiutarlo. Dalla tua descrizione sembra proprio lei! Bionda come il fiume in piena, occhi azzurri come il fiume calmo, veste bianca come gli spruzzi e la schiuma quando si infrange sulle rocce!» «Cosa ti fa pensare che io sia triste per amore, impiccione?» rispose il vecchio. «Ah, io non so se sei triste per amore ma triste lo sei di sicuro da quando ti conosco e la Ninfa mi è venuta in mente perché c’è la tua ex moglie che ti sta aspettando di fronte casa da un po’. Ero appunto venuto ad avvertirti.» Il vecchio spalancò la bocca come se la mandibola fosse caduta dai suoi perni. Si alzò in piedi e disse «Cosa aspettavi a dirmelo, sciocco che non sei altro a parlar di ninfe e leggende!» «Che cosa le dirai dopo tutti questi anni, vecchio ubriacone?» Disse il passante. «Le dirò che ho ritrovato la speranza!» e si incamminò con passo sicuro.     8

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    LA PIUMA DELL'AQUILA

    Un giorno, la piuma di una giovane aquila cadde accanto ad un uomo bello ma arrogante; lui la vide, la prese, la guardò solo “un attimo” e la gettò via pensando fosse la piuma di una gallina… più avanti un uomo ignorante ma dall’anima bella, vide la stessa piuma a terra, la prese e la tenne con sé.Di lì a poco… giunse la regina dei cieli “una meravigliosa Aquila” che guardò l... Altro...

    Un giorno, la piuma di una giovane aquila cadde accanto ad un uomo bello ma arrogante; lui la vide, la prese, la guardò solo “un attimo” e la gettò via pensando fosse la piuma di una gallina… più avanti un uomo ignorante ma dall’anima bella, vide la stessa piuma a terra, la prese e la tenne con sé.

    Di lì a poco… giunse la regina dei cieli “una meravigliosa Aquila” che guardò l’uomo sorridendo e gli disse: volo, volo così tanto che lascio sempre qualche piuma per terra e tu ne hai raccolta una, tenendola con te. Grazie!

    Beato te, uomo che non solo hai guardato... ma hai contemplato e hai conservato con te la bontà e la bellezza, imparando il segreto del mio volo.

     

    Morale della favola: Non sono le tiepide amicizie o i falsi amori ad elevare il nostro spirito ma le passioni forti scoprono la vera essenza del Bene e dell’Amore. Come aquile assetate di senso cerchiamo e sfioriamo il cielo e il tempo, e sgretoliamo con le ali le montagne pur di afferrarlo e poter mostrare a tutti, quanta fierezza c’è nel canto nella vita.

     

    Teresa Averta

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    IL CONTADINO SUPERBO

    C’era una volta un uomo superbo...che lavorava la terra, nel campo di famiglia.La terra dava i suoi frutti, e lui diceva sempre che era merito suo perché arava, zappava, potava le piante e via dicendo...Ogni giorno faceva a gara con i contadini vicini per avere sempre il migliore orto, i più bei vigneti, gli alberi più fioriti, i campi più verdeggianti.I poveri vicini lavoravano in silenzio ... Altro...

    C’era una volta un uomo superbo...che lavorava la terra, nel campo di famiglia.

    La terra dava i suoi frutti, e lui diceva sempre che era merito suo perché arava, zappava, potava le piante e via dicendo...

    Ogni giorno faceva a gara con i contadini vicini per avere sempre il migliore orto, i più bei vigneti, gli alberi più fioriti, i campi più verdeggianti.

    I poveri vicini lavoravano in silenzio e raccoglievano ciò che la terra donava in ogni stagione.

    Il contadino superbo, nonostante avesse il paradiso, continuava a maltrattare i vicini e diceva loro che erano dei fannulloni, incapaci di utilizzare i metodi moderni di lavorazione, e che non avrebbero mai raggiunto il suo livello.

    Lui si sentiva il migliore, il più bravo, ma ahimè era anche il più egoista. Perché quando arrivavano le feste ricordate, i contadini buoni e onesti regalavano i frutti della terra ai poveri mentre lui si beava di tutto quel ben di Dio e non dava niente a nessuno. Diceva che era tutto opera sua, e che era lui il mago delle meraviglie, della ricchezza che donava la "sua" terra, e gli altri non potevano godere dei suoi beni. E in cuor sapeva di mentire, perché il merito era della terra che ogni stagione puntualmente dava i suoi frutti. Ogni campo arato e seminato, aldilà del metodo di lavoro dei suoi operai, offriva i suoi frutti. Nessuno si dava delle arie, ma umilmente faticavano e si aiutavano a vicenda. Non è un caso che i contadini siano quasi sempre persone dal carattere umile. Chi si confronta ogni giorno con la bellezza e la grandezza della Natura, non può che sentirsi piccolo ed essere rispettoso.

    Morale della storia

    Quindi se vi capitasse di conoscere una persona superba, non mandatela a quel paese, mandatela in campagna: potreste salvarla. Semina impegno, raccoglierai risultati. Semina onestà, raccoglierai onore. Semina gentilezza, raccoglierai gratitudine. Semina amore, raccoglierai felicità. E ricorda: anche se non dovessi raccogliere niente, non stancarti mai di seminare.

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    CARISSIMO PINOCCHIO…

    FATINA: -Mio carissimo Pinocchio lo sai che se dici bugie ti cresce il naso e diventi nuovamente un burattino… ahahaha… che cosa mi combini!PINOCCHIO: -Innanzi tutto non dico solo bugie, molte volte dico bugie, che non è la stessa cosa, poi io, a mio avviso, sono l’uomo (anche se non sono un uomo ma un burattino) più trasparente del mondo.FATINA: -In questo periodo non sei stato il massimo... Altro...

    FATINA: -Mio carissimo Pinocchio lo sai che se dici bugie ti cresce il naso e diventi nuovamente un burattino… ahahaha… che cosa mi combini!

    PINOCCHIO: -Innanzi tutto non dico solo bugie, molte volte dico bugie, che non è la stessa cosa, poi io, a mio avviso, sono l’uomo (anche se non sono un uomo ma un burattino) più trasparente del mondo.

    FATINA: -In questo periodo non sei stato il massimo della trasparenza!

    PINOCCHIO: -Hai ragione fatina mia, con gli altri forse…non so…ma con te che mi vuoi bene….

    FATINA: -Ricorda piccolino mio: prima vengono i sorrisi, poi le bugie… “Bontà di vita e onestà di bocca, assai vale e poco costa.”

    PINOCCHIO: -Alcune volte dico bugie per timidezza, perché non ho il coraggio di dire le cose come stanno… in questi casi non mi sembra che la bugia sia propriamente un peccato.

    FATINA: -si si vabbè… Beh, l’ottavo comandamento recita: non dire falsa testimonianza, questo non si può negarlo, inoltre dire una bugia è sempre una mistificazione della realtà. E ti ricordo ancora: non sfidarmi con il tuo orgoglio, e malafede, perché in questi casi l’indifferenza sarà da parte mia la medicina più amara e acerba.

    Con immutato affetto dalla tua fatina!

    MORALE DELLA FAVOLA: “La fiducia nella bontà altrui è una notevole testimonianza della propria bontà.”

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    CARA VITA

    Cara vita, oggi sono qui, nel mio angolo di cielo, dove posso ancora aprire le mie ali stanche; si è vero, lo so, le ho consumate queste ali volando in territori difficili, affascinanti, vibranti. In alcuni momenti ho percorso le strade tortuose dell'esperienza umana, senza mai respirare, ma buttando il cuore sempre oltre le apparenze, oltre la “normalità”, in nome di quel senso di verità e... Altro...

    Cara vita, oggi sono qui, nel mio angolo di cielo, dove posso ancora aprire le mie ali stanche; si è vero, lo so, le ho consumate queste ali volando in territori difficili, affascinanti, vibranti. In alcuni momenti ho percorso le strade tortuose dell'esperienza umana, senza mai respirare, ma buttando il cuore sempre oltre le apparenze, oltre la “normalità”, in nome di quel senso di verità e giustizia che mi hanno trasmesso i miei genitori. 

    Sono caduta molte volte, come un soldato in battaglia che non si lecca le ferite, ma le conserva come distintivi di vita vissuta.  Ho conosciuto il dolore forte non solo quello fisico ma anche quello dell’anima, sono scesa come Dio agli inferi e in quel profondo abisso, ho ritrovato la luce. Ho amato e sono stata molto amata. Sempre accompagnata da quell’inquietudine che tende uno sguardo oltre le apparenze e che ricerca nei pertugi della sofferenza, la voce stanca di quel mondo degli “invisibili”, e non mi sono intimidita dalle forme disegnate dalla caducità delle nostre esistenze, ma ho alzato la voce contro l’odio e la guerra. Non riesco a girarmi davanti alle ingiustizie, e non riesco a fare grandi mediazioni. 

    Ho saputo, però, lavorare con sacrificio e pazienza e ho trovato rari rifugi, dove poter sostare e osservare; molto spesso per curare insolite ferite e scoprire nuove vitalità. Un atteggiamento caratteriale che mi porta a stare al fianco degli ultimi con assoluta semplicità e istintività. Impossibile fare sodalizi con l’indifferenza, anche quando le necessità richiedono tempo solo per noi stessi. Questa esigenza etica che sento così forte, è il frutto del lavoro testimoniale della mia famiglia. Una grande fortuna, penso, è stata il non aver perso la visione di nessuno di questi rifugi dove conserviamo beni e valori preziosi che vivono sulla linea dell’idealità e di una profonda spiritualità. Rappresenta, per me un autentico toccasana quando le difficoltà della vita hanno riempito le notti buie abitate da fantasmi impudenti. 

    Certo, in questo cammino, si guarda avanti, senza però, dare per scontato nulla. Spesso mi faccio trascinare dal cuore, dalle sensazioni, dalla voglia di vita, dalle passioni; a volte, però, lascio al silenzio e allo sguardo, le ali per girovagare, perché entrambi hanno le loro grammatiche, i loro segreti e le loro rivelazioni. Ma ritrovo sempre la vita con le sue narrazioni disegnate con una bellezza a volte bizzarra ma sempre entusiasmante, e si ritrova a volte uno squarcio di vita anche nei ricordi più tristi, in pezzi di dolore non digeriti ma sapientemente conservati per sentirci ancora vivi. 

    E allora caro angelo che sei lassù... ti ho scritto davanti alla vita perché tu capisca che ancora la sento e mi ascolto; mi ascolto nel cuore, dove ti cerco, e ti trovo ancora nell’aria e nelle stelle, nei segreti della mia anima e fra la gente. Ho cercato, tra i ricordi più belli, questa foto vecchia e ingiallita, fotogramma non di una vita finita ma di un felice pezzo di storia. Non importa con quali abiti e con quali colori ti porgevo un fiore ma pensavo a te, al profumo della vita che mi hai lasciato addosso. In quel fiore c’era impresso il segno dell'Amore che hai seminato nella nostra esistenza donata alla terra, e se cerchi di guardare o spiare nel cuore per vedere, ancora ci sono intatti i segni delle carezze donate, delle sofferenze e della vita germogliata, ancora ci sono i segni delle tue amorevoli braccia.

    -Poche parole per la conquista del bene, la vita merita di essere vissuta solo se crediamo nei valori, perché questi rimangono, anche dopo la nostra morte- erano queste le tue parole nella quiete del tempo. Se frughiamo tra le ferite con l’amore nelle mani, le cicatrici son tante, e la lotta è stata dura e lo è ancora ma hai vinto tu, hai donato fino all’ultima goccia del tuo sangue per un martirio di salvezza. 

    E ora così, sommessamente, in punta di piedi, "togliendomi i calzari", mi son permessa di bussare alla tua porta; forse per un bisogno del cuore, per dirti che posso camminare ancora nuda nella tua anima; per scoprire la bellezza della luce, sì, di quel raggio di sole che mi lasciasti e che non va più via, ma è nascosto fra le righe della mia poesia. 

    Ti scrivo ogni giorno... ti scrivo perché la vita va vissuta e scritta per non dimenticare i momenti, la meraviglia, il dolore e la gioia di sapere che nulla è per sempre, e che solo un ricordo, una lettera mai scritta, un verso accorato può accompagnarci nella solitudine e aprire la porta all’anima verso orizzonti senza fine. 

    Cara vita Grazie per avermi donato un respiro in più che difficilmente restituirò al cielo.

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    RACCONTO DI UN PROFUGO

    Un medico di nazionalità curda, ricorda ancora le bombe, gli aerei di guerra sempre in volo, la paura di suo padre che non andava a lavorare ma si nascondeva perché temeva di essere reclutato per andare a combattere contro l’Iran, in una guerra senza senso. Dice che i bambini non la capiscono mai, la guerra, ma imparano a combatterla, a loro modo, prima sopravvivendo, poi impegnandosi in qualc... Altro...
    Un medico di nazionalità curda, ricorda ancora le bombe, gli aerei di guerra sempre in volo, la paura di suo padre che non andava a lavorare ma si nascondeva perché temeva di essere reclutato per andare a combattere contro l’Iran, in una guerra senza senso. Dice che i bambini non la capiscono mai, la guerra, ma imparano a combatterla, a loro modo, prima sopravvivendo, poi impegnandosi in qualche causa. Ed è vero, il dottor Goder parla della sua terra e della sua gente con l’orgoglio di chi non si tira indietro: in questa nuova devastante guerra, i curdi combattono il terrorismo dello Stato islamico in nome di tutto l’occidente. Goder, combatte questa guerra a modo suo: attivandosi per la pace e la salvezza dei suoi fratelli. Attende che il fato gli affidi un pezzo di campo profughi dignitoso, dove le persone possono almeno nutrirsi e dormire. Un angolo anche buio e sporco ma pur sempre un posto dignitoso per quei bambini costretti al nomadismo e alle privazioni, un momento di scuola dove trovarsi, e volersi bene.

     

    "Non posso dimenticare il pianto di bambini migranti... lì sul limbo serbo dopo aver attraversato la rotta balcanica.

    Ho visto adulti e bambini ammalarsi, e morire di fame e di freddo.

    Ho fatto migliaia di chilometri a piedi, per arrivare sino a qui, con quei pochi soldi risparmiati in tutta una vita: denaro raccolto facendo le collette davanti alle chiese; ho venduto la casa che mi aveva lasciato mia madre e gli animali.

    Ora non ho più paura, il freddo è il meno che mi possa capitare.  

    Voglio andare avanti, come gran parte dei profughi afghani e pakistani accampati dentro le stazioni, ho attraversato mari e montagne in Iran e Turchia, mi sono fermato nei centri di accoglienza greci, bulgari, macedoni, prima di raggiungere Belgrado.

    Vorrei che qualcuno mi aiutasse, e aiutasse la nostra gente.

    In verità io penso che la gente non sia così stupida, ha solo bisogno di verità la gente come me...

    Mi sento completamente disarmato di fronte a tanta sofferenza.

    Siamo poveri e spogli di tutto e tanto sporchi di fango, ma quello che mi fa più male è il fango della loro indifferenza. L’indifferenza di chi sta meglio di noi, di chi non capisce e non può capire perché ha avuto una vita più facile della nostra.

    Oh Dio, quanto vorrei trovare un pezzo di terra! Un pezzo di campo profughi dignitoso, di attesa, dove le persone possono almeno nutrirsi e dormire. Un angolo anche buio e sporco ma pur sempre un posto per questi bambini costretti al nomadismo e alle privazioni, un momento di scuola dove trovarsi.

    Cammino dentro la Storia. Una parte di Storia che non avrei mai voluto vivere.

    Dio, come sono straordinari quei bambini sfortunati, e nei loro occhi s’intravedono ancora le fiamme dell’inferno. Hanno ancora i segni di quelle fiamme, li portano anche sul viso, sulle braccia, sui piedini scalzi.

    Le mie parole si perdono oltre la sconfinata vallata.

    Perché è facile parlare di guerra senza averla mai vista, senza saperne nulla, senza conoscerne gli effetti devastanti sulla vita – ma quando ti ci trovi davanti, capisci che le parole giuste, in realtà, non esistono.

    Esistono, al più, silenzi giusti, e forse, in taluni casi, neanche quelli.

    Decine di centinaia di famiglie siriane sono fuggite dal clamore della guerra, nascoste in silenzio in casolari, stalle, garage abbandonati di questa splendida, meravigliosa città di frontiera.

    Rifugi abbandonati da chi, prima di loro, è fuggito dal fragore dei missili, dalla certezza della morte.

     Da questo confine sono verosimilmente passati più di quattro milioni di profughi.

    Un'intera generazione di bambini siriani sta crescendo senza avere mai conosciuto la pace.

    Non c’è stata pace per noi. La mia infanzia era scandita da bombe e morti, mio padre restava nascosto in casa per non essere preso e mandato a combattere contro gli iraniani in una guerra non nostra.

    La mia, era una bella famiglia, ricca delle cose essenziali, amore e cultura; amavo la musica e i miei mi fecero studiare pianoforte.

    Non potendo mai uscire da casa per la guerra, suonavo tutto il giorno la pianola... poi un giorno, decisi di scappare.

    Ben presto, però l’invasione irachena spezza ogni sogno e ci costringe a un esodo biblico: tra le colonne interminabili che s’inerpicano sulle montagne desertiche, c’è anche il mio piccolo fratello Omar.

    L’arrivo in campo profughi, il freddo, la calca tra bambini per afferrare cibo e acqua dai camion di aiuti rende la nostra casa, un sogno lontano, pensavo alla mia pianola, che non l’avrei più rivista... eravamo nudi e senza niente.

    Ho sofferto come un cane, per non poter donare il mio aiuto agli altri, cosa potevo dare ai miei sfortunati fratelli se io stesso non avevo nulla... neanche il fiato per respirare, e neanche più gli occhi per piangere.

    È stato allora che, decisi di diventare medico.

    Volevo offrire qualcosa al mio popolo innocente e disgraziato. Noi curdi chiedevamo solo pace, ma nei secoli siamo sempre stati aggrediti e martoriati.

    Anche oggi, siamo in guerra contro Isis. Sono stati anni duri, a causa dell’embargo e della nuova guerra tra Usa e Iraq; mancava la corrente e studiavo con la boccetta di petrolio accesa sui libri, ma non demordevo, e i miei genitori fecero di tutto perché io e mio fratello minore avessimo un’istruzione.

    Avrei voluto conquistare almeno la dignità di essere riconosciuto come un essere umano e il diritto di sognare un futuro per me e per gli altri. Che poi è l’unica ragione che muove il mondo, e lo rinnova.

    Il mondo è abbastanza grande da accogliere tutti quanti noi, apriamo le porte, costruiamo i ponti, edifichiamo la pace. Perché malattie e morte ce ne sono state abbastanza... e non serve solo odiare e condannare.

    Bisogna trovare la forza per unirsi contro la barbarie e la violenza, non solo per garantire e difendere la democrazia, minacciata da forze oscurantiste d’inusitata mostruosità.

    È da condannare ogni silenzio nei confronti di queste tragedie e bisogna invece sostenere chi da sempre è impegnato in prima linea per il dialogo tra le religioni e le culture e per lo sviluppo dei principi di pluralismo e rispetto della libertà.

    È stata una giornata molto intensa.

    Affiora la stanchezza e sono tanti i sentimenti che ho accumulato in tutte le visite che ho fatto. Davanti ai miei occhi scorrono gli occhi di tutte le bambine e i bambini che ho incontrato, abbracciato e ascoltato.

    Gli occhi appassionati degli operatori sanitari che ho ammirato.

    Qualcuno di noi cede e da spazio alle lacrime: è giusto così, non si riesce a tenere tutto dentro, non è umano. Come è disumana questa guerra, anche se è, voluta da uomini.

    Oggi Sento forte l'orgoglio di lavorare per chi ha bisogno.

    Oggi sono un medico del mondo, sono il soccorritore dei poveri e dei miseri.

    Il lavoro che faccio sul campo è indispensabile ed efficace allo stesso tempo.

    Sì, perché... mentre tu hai una cosa, può esserti tolta. Ma quando tu dai, ecco, l’hai data. Nessun ladro te la può rubare.

    E allora è tua per sempre.” Il silenzio e l’indifferenza, certe volte, fanno più danno delle bombe.”

    Teresa Averta

     

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    STORIA DI UNA LACRIMA

    Ti sei chiesto che cosa è una lacrima, che fine fa, dopo che nasce e muore... e muore veramente una lacrima?E quello che mi sono chiesta anch’io, fino a che, un meraviglioso giorno di questa fantastica vita, ho avuto il coraggio di chiederlo direttamente a Lei.Mia cara lacrima, so, quanto sei bella e sacra, e quando hai voglia di nascere, non guardi niente e nessuno; ma so che quando arrivi, bu... Altro...

    Ti sei chiesto che cosa è una lacrima, che fine fa, dopo che nasce e muore... e muore veramente una lacrima?

    E quello che mi sono chiesta anch’io, fino a che, un meraviglioso giorno di questa fantastica vita, ho avuto il coraggio di chiederlo direttamente a Lei.

    Mia cara lacrima, so, quanto sei bella e sacra, e quando hai voglia di nascere, non guardi niente e nessuno; ma so che quando arrivi, bussi, educata e fragile come sei, luminosa e pulita come non mai.

    Il mio cuore Ti ama e ti trattiene perché sa che servi, sei necessaria. È vero, sei solo acqua, ma sei Acqua pura, piena, e vera; acqua di sale, di dolore, di rabbia, acqua di emozione, di sofferenza, di gioia e di allegria, acqua e sempre acqua che ci libera, da tutto, da noi stessi, dalla prigione degli errori, dalla gabbia degli orrori, dalla guerra di quelli che si “credono” grandi, dalle battaglie quotidiane per un tozzo di pane e un briciolo di giustizia, acqua che ci inonda come un fiume e porta via tutti i detriti del peccato e delle vanità mondane.

    Mia cara lacrima, sei un dono. Un dono che non ha prezzo, gratuito, ma non tutto ciò che è gratuito è apprezzato. Per questo ti concedi a pochi, e fai bene, le lacrime non si consumano per niente. Le lacrime sono i fiori che sbocciano quando l’anima scoppia e rinasce a nuova vita, ed è una meraviglia ai nostri occhi, quando questo avviene!

    Ti voglio bene cara lacrima, perché sei spontanea e sincera e sei di tutti: uomini, animali e cose... piangono gli uomini, piangono i bambini e purtroppo piangono anche le cose e noi non ce ne accorgiamo. E sì, “piangono le cose” quando le dimentichiamo, quando le abbandoniamo, quando le maltrattiamo, quando le usiamo senza chiederci il vero senso del loro esistere. E quante volte abbiamo confuso persone e cose, lacrime e canzoni, soldi ed emozioni, titoli e falsità, miseria e nobiltà, vita e morte per uno spicciolo di eternità.

    È la vita... mia dolce lacrima, compagna cara e stretta delle mie notti insonni, amica fervente e devota nelle mie preghiere quando non riuscivo ad abbracciare nessuno, neanche chi mi stava accanto, con una calda tisana e un cuscino di piume.

    Lacrima, acqua santa che nasci da miei occhi innocenti, e solchi il mio viso passando delicatamente fra le rughe della mia esistenza, quanta strada hai fatto prima di attraversarmi, e finalmente eccoti qui, non ti asciugherò perché le lacrime non si asciugano, non ti berrò perché le lacrime non vanno ingoiate, ma devono sgorgare fuori, come acqua che zampilla di nuova vita, di felicità, di gioia senza fine.

    Cara lacrima, sei importante e meravigliosa: per amore nasci e per amore muori.

    E oggi... che so quanto vali, ti prego non morire sulla mia bocca, ma arriva dritta al cuore, una lacrima non va buttata via perché è un pezzo di noi, un pezzo di storia che non si può dimenticare.

    Teresa Averta

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