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    AMORE AL MACELLO (parte 2)

    Quello che succede quando Liam Van Heerden è online su Gayza è la metafora di ciò che era accaduto giorni prima nel vicino Zimbabwe, teatro di un tracollo economico-finanziario epocale.Nel Paese, definito fino al 2000 “Granaio d’Africa” o “Svizzera del Sud”, un camion carico di bestiame si ribalta per una manovra distratta.Un gruppo di affamati spettatori sulla strada assalta le vacch... Altro...

    Quello che succede quando Liam Van Heerden è online su Gayza è la metafora di ciò che era accaduto giorni prima nel vicino Zimbabwe, teatro di un tracollo economico-finanziario epocale.Nel Paese, definito fino al 2000 “Granaio d’Africa” o “Svizzera del Sud”, un camion carico di bestiame si ribalta per una manovra distratta.Un gruppo di affamati spettatori sulla strada assalta le vacche e le scuoia vive a pugni e mazzate contendendosi le carni macellate a mani nude. Uno scenario splatter degno di un b-movie, di una tragedia greca o di una chat per incontri fra allupati.Nella tragica, metaforica calca di affamati di carne di vacca, si identifica un conoscente…

    Lo attendo in pausa pranzo sul prato della facoltà di discipline sportive. I rugbisti del college si allenano al sole regalandomi una panoramica notevole. Liam arriva a piedi reggendo i roller con le mani.Si siede sull’erba e accenna un sorriso vacuo.

    Io sospiro intuitivo “Lo sapevo…spara.”

    “Avevi ragione, sei riuscito a trovare un soggetto peggiore di me.”

    “Quanto peggiore?”

    “Si chiama Isak, non Joshua. Ha 42 anni. Non è di Sandton, vive a Kymberly con sua moglie, hanno una figlia di dieci anni. Si sbatte un biondino minorenne che va al liceo di Fichardt Park. Tira coca e non è nuovo al bareback. L’unica cosa vera è il suo lavoro, i diamanti.”

    “Però! Quanto chiacchierate al Romeo…”

    “Mi dispiace Fax.”

    “Mi ha detto ti amo al secondo appuntamento, dovevo immaginarlo.”

    “Già, non credere mai alle parole di un maschio sulla sogliadell’ orgasmo. Io Sabato ho ansimato una proposta di matrimonio al fattorino della pizzeria.”

    “E non lo sposerai?”

    “Per ora no, si è arrabbiato.”

    “Perché?”

    “Credo c’entri il fatto che Lunedì ho scopato il tipo che dà i volantini per la promozione quattro formaggi.”

    Scuoto il capo. Liam incalza “Fottitene Fax, fatti un giro su uno di quei rugbisti. Ti presento io qualcuno.”

    “Si fa un biondino del liceo? E vuole convincermi a cavalcarmi a pelo!”

    “Se vuoi lo faccio pestare. Conosco un ex carcerato sempre pronto ad aiutarmi…”

    “Sei dolce, però no, devo affrontarlo io.”

    Stavo da schifo, una latta di carne in gelatina, così mi sentivo. Uno scarto di macello in lattina sottoprezzo esposto sugli scaffali di un discount, mentre un accattivante fast food offre hamburger, patatine dorate e gadget. Mi tormentavo immaginando Joshua (ora Isak) scoparsi quell’adolescente, odiandomi per non essere biondo e per essere tutto quello che ero. La richiesta del sesso non protetto poi, accompagnata da un’infilata di stronzate sul completamento di un sentimento mai provato prima, che avrebbe consolidato il nostro rapporto da un vincolo di complicità…Izak ignorava fosse caduta la maschera di Joshua, ma ignorava soprattutto quanto pericoloso e vendicativo fosse un ventenne umiliato che indossa la maschera dell’ingenuo, rassicurante, bravo ragazzo.

    “Una serata memorabile”, questo gli avevo promesso.Dall’anta dell’armadio nel dormitorio lo specchio mi riflette sobrio ed elegante.Prelevo i due biglietti dalla cassettiera alla testa del letto.Li custodisco separati, uno nella tasca destra dei pantaloni, l’altro nella sinistra. Quei cartoncini riveleranno “qualcosa” nel memorabile appuntamento.Ho scelto io il ristorante esclusivo in Brand Street, dove, casualmente (?) quella sera si riuniscono le Dame Boere della Carità Afrikaner, una congrega di borghesi razziste che alterna l’hobby della filantropia alle kermesse stagionali.Joshua mi preleva con il suo coupé fuori dal campus.Commenta quanto i pantaloni mi disegnino bene il culo.Mentre guida preme la mia mano sul suo pacco per farmi sentire quanto sia duro all’idea di scoparmi dopo cena (finalmente senza guaine di lattice). Dice che sarà come una nuova prima volta, liberi, pelle contro pelle. Schiocca le dita sul ritmo della musica pop in un patetico eccesso di giovanilismo ostentato.È sensuale, spavaldo, di ottimo umore, solo mi domanda perché abbia scelto un locale così pretenzioso. Imbocchiamo il viale alberato di Brand Street.Mi imbarazza quando nel parcheggio lancia le chiavi dell’auto al posteggiatore armato di mitra “Ti affido la bambina!”Il parcheggiatore in divisa non può saperlo, ma dentro di me gli prometto “Tranquillo, lo distruggo prima del dessert.”

    Il ristorante è un edificio nederlandese di fine 1800, con soffitti alti dai pannelli dipinti e pavimentazione in legno, un ampio camino in arenaria e un proverbiale utilizzo delle luci soffuse. Alle pareti, sequenze di dipinti del Great Trek e scene di vita nell’ Oranje Vrijstaat. Un presidio della resistenza segregazionista che non si è arresa alle trasformazioni occorse al di là delle siepi potate chirurgicamente. Gli unici “non bianchi” presenti sono dei subalterni relegati alle mansioni meno esposte. Il pianista suona qualche inno, probabilmente tratto dal repertorio della Banda nazionalsocialista.Joshua si incupisce un poco quando il maître ci conduce al tavolo centrale nella sala.A pochi metri da noi la moglie del sindaco, adorna di una parure sufficiente a sanare il debito pubblico del Malawi, pronuncia un’arringa al convivio delle Dame Boere della Carità Afrikaner.

    Ci accomodiamo. Lui, scruta la sala diffidente “Avrei preferito un posto più intimo…”

    Io, ingenuo “Non ti piace?”

    “Certo, è carino, ma è lo stile formale che frequento per i meeting di lavoro.”

    “Scusa, non lo sapevo…”

    “Quante cose devo insegnarti.”

    Io, malizioso “Che ne sai? Magari stasera scopri che ho imparato qualcosa di nuovo…e che so fartelo bene.”

    Geme sommesso “Mmmh, non fare così o ti porto via subito…Ti va? Saltiamo la cena!”

    “Scordatelo! Sulla carta dei dolci c’è il pudding alla malva e lo voglio!”

    Gioca sui doppi sensi tra il dolce e le farciture che mi offrirebbe al posto del pudding. Nuovi avventori occupano i tavoli circostanti. Controlla il tono della voce sussurrando.Gli sferro il primo colpo quando il sommelier versa l’assaggio dello Château d’Yquem.Mentre lui sorseggia il vino io incalzo “Allora, IZAK, com’è?”

    Esplode un colpo di tosse nervoso, nebulizza il vino dalle narici e si tampona con il tovagliolo.

    Il sommelier, preoccupato “Qualcosa non va signore?”

    Lui si ricompone e lo congeda.

    “Perché mi hai chiamato così?”

    Io, candido “Così come? Ti ho chiamato col tuo nome…”E tracanno il primo calice.

    Sembra sospettoso. Dissipo i suoi dubbi avviando una vivace conversazione di aneddoti sulla vita al college, lui parla della frenesia di Johannesburg e delle ingerenze capitaliste di un magnate cinese nel settore minerario locale. Monopolizzo la bottiglia da cui attingo generose porzioni. Prima di assaggiare l’agnello glassato allo zenzero la mia lingua è sufficientemente sciolta da schioccare le sferzate “Quell’industriale pechinese dovrebbe sapere che non si può prendere tutto senza riguardi. Digli che se trovasse il cadavere di una balena nel Colinshire, sarebbe obbligato a consegnare la testa e la coda ai Sovrani di Buckingham.”

    “Ah, ah, sul serio?”

    “Certo! Spesso ignoriamo la legge senza saperlo. Ci pensi mai?È importante conoscere le consuetudini del posto in cui vivi. Per esempio, tu sapevi che in Kenya è vietato fumare tabacco per le strade?”

    “No, non lo sapevo.”

    “Ecco, vedi? E magari non sai che l’età minima per un rapporto sessuale in Sudafrica è 16 anni per gli etero mentre 19 per i gay. Non si capisce perché i gay debbano pensarci tre anni più degli etero prima di darlo via! Ma è questa è la legge.”

    “Perché parliamo di questo?”

    Io, pacato “Perché forse ti sei distratto, forse non sai che scoparsi un quindicenne in questo Paese è un reato!”

    Lui, gelido “Ma cosa dici?”

    Dimentico di sussurrare “Dico che tu, fottuto bastardo, vuoi montarmi senza sella quando raccatti chiunque in chat e fuori dai licei!”

    “Cristo di un Dio, vuoi abbassare la voce? Ti sentono!”

    “E allora? Tu sei un protagonista dominante, però ti dò una notizia, a volte i ruoli secondari ti sorprendono e ti fottono la scena! Nelle tasche dei miei pantaloni ci sono due biglietti, in uno c’è il numero di tua moglie a Kimberly, nell’altro quello della famiglia del biondino che ti sbatti. Chi chiamerò prima?”

    (continua...)

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    AMORE AL MACELLO (parte 1)

    La prima volta non si scorda mai, purtroppo.La mia prima volta con Liam, il pattinatore dai glutei stellati, la volevo dimenticare.Per questo, matricola al college in Sudafrica, creai un profilo su una chat gay. La necessità di essere amati spinge a commettere delle scelte confuse. Dovevo essere davvero confuso per cercare l’amore in un sito che misurava le probabilità di trovarlo sui centimet... Altro...

    La prima volta non si scorda mai, purtroppo.La mia prima volta con Liam, il pattinatore dai glutei stellati, la volevo dimenticare.Per questo, matricola al college in Sudafrica, creai un profilo su una chat gay. La necessità di essere amati spinge a commettere delle scelte confuse. Dovevo essere davvero confuso per cercare l’amore in un sito che misurava le probabilità di trovarlo sui centimetri in dotazione.L’amore passava poi da un questionario che chiedeva se fossi attivo, passivo, versatile nelle gang bang, all’aperto o da interni, disponibile al pissing, bukkake, fisting, quanto amassi masticare i capezzoli o pressare i miei con le pinze, farmi legare, appendere, impalare, sostare al crepuscolo nella piazzola dei tir davanti al fast food per camionisti di Edemburg, frustarmi i testicoli con un fascio di ortiche del Limpopo o con un rovo del Karoo…Decine di varianti per tracciare il profilo della vacca ideale, pronta a condividere le sue carni, PER AMORE. Sembrava che tutti gli utenti collegati cercassero il principe azzurro, ma in attesa di riconoscere lo strepito degli zoccoli del cavallo bianco non disdegnassero rovistare l’arsenale di qualche arciere di passaggio.Aprii un profilo moderato e funzionò.La parvenza del pudico ventenne da alfabetizzare all’eros suscitava una fila di pulsioni hardcore quanto quelle dichiarate platealmente. Districandomi nell’umida giungla di erezioni rigogliose giunsi al profilo di “ForEverHard”.Una brillante strategia di emancipazione dal superficiale pattinatore tatuato.Dietro al sempre duro nickname si celava Joshua, 35 anni da Sandton, azionista nel settore minerario, spesso in trasferta nel Free State, sicuro di sé, realizzato professionalmente, gli occhi azzurro algidi, una fantastica fossetta sul mento e quella voce virile dalle proprietà orgasmiche.C’era qualcosa di nuovo nel gioco dei ruoli che si era creato fra me e Joshua. Lui esperto e fascinoso, io acerbo in fase di collaudo.L’idea di frequentare un uomo più grande di quindici anni, sfidare la mia immaturità sessuale facendo di lui un mentore, mi poneva nel costante bilico tra il timore e l’eccitazione per il rischio.Da neofita del sesso assumeva un’aurea trasgressiva anche quello che non lo era, ma riponevo in Joshua la fiducia nel farmi guidare dove prima avrei dubitato di giungere.Fiducia che si stemperò alla sua richiesta di sesso senza preservativo. Declinai. Fu il primo “NO” e i turgori svigorirono. Avevo infranto il gioco di accondiscendenza, l’ombra di un mio rifiuto rendeva per lui meno eccitante il nostro rapporto. Affrontai la questione apertamente. Avrei accettato se entrambi ci fossimo sottoposti al test hiv e mi avesse garantito che escludeva amplessi con altre persone. Mi accusò di essere diffidente, si dichiarò deluso e tradito.Mi chiedevo come un sudafricano potesse concepire la leggerezza meditata del sesso non protetto. Come poteva essere certo che io fossi a posto? Ero iscritto in un ateneo internazionale dove frequentavo il Drama Department e abitavo nel residence del campus, tutti i requisiti per una cittadinanza onoraria a Sodoma.I dati sulla diffusione di Aids e Hiv nell’Africa australe raccontano uno sterminio silenzioso che si compie per effetto di una guerra senza deflagrazioni. Luther, il mio compagno di corso namibiano, confermava che il business delle pompe funebri aveva reso suo padre uno degli uomini più facoltosi di Mariental.Il sagace patriarca aveva però seppellito due dei suoi figli sieropositivi. Nonostante l’hiv sia diffuso gli africani provano molta vergogna a parlarne. Nelson Mandela, sulle pagine del Sunday Times condivise la scomparsa del suo secondogenito “Lo dico pubblicamente, perché il virus non sia un tabù, mio figlio è morto di Aids”.Il nostro maestro di danza contemporanea biasimava la molliccia campagna di prevenzione sessuale programmata dal College. Preferiva condurci la Domenica mattina nel reparto di malattie infettive dell’ospedale civile e imporci come aiutanti agli infermieri.Un confronto pratico con le conseguenze delle scopate disinvolte.Ma è anche una realtà che milioni di persone hiv+ in Sudafrica e nel mondo conducono vite longeve e prive di limitazioni.Appena giunto nel luminoso Free State dal fosco Colinshire ero uno straniero diffidente tormentato dall’ombra dell’epidemia.Dopo sette giorni le ombre diventarono persone, nomi, storie, amici, compagni di corso, vita.Detestavo ammetterlo, ma per la faccenda del bareback con Joshua avevo bisogno della valutazione di uno scopatore seriale…LIAM, il pattinatore dai glutei stellati che mi aveva tradito con il barista del Romeo nei cessi del locale.

    Sono le 8.10 del mattino. Liam è in ritardo. Seduto al dehor di una tavola calda boera fingo di memorizzare le battute di un monologo per conferire all’attesa un distacco disinteressato. La cameriera indossa un costume tradizionale afrikaner rabberciato.È irritata perché occupo il tavolino senza ordinare, io quanto lei perché comincio a temere l’umiliazione di un bidone all’appuntamento.Dal pergolato pendono i glicini che disperdono petali viola sul mio copione. Un polveroso pick-up con il cassone carico di pecore lamentose inchioda davanti al locale. Sgusciano dall’abitacolo due giovani farmer con fucile a tracolla seguiti da un cane.Distraggono la cameriera con lusinghe ruvide che lei non disprezza. Ordinano frittata di funghi saltati, speck e birre.Poi lo scorgo librare sui roller appena svoltata la collina dei girasoli. Plana sull’aria sfiorando il lastricato con il portamento di un atleta ellenico in slim shorts e canotta fluo. Mi odio perché lo penso, ma penso che non ricordassi quanto fosse bello.Incurante della panoramica luminosa che sembra studiata da un team pubblicitario per celebrare il suo ingresso, Liam frena davanti al dehor. Ha colorato con striature smeraldo i capelli biondi.Il cane lo circuisce con latrati rabbiosi. Gli allevatori lo richiamano severi ma fissano Liam sprezzanti.

    Guardo il cane ringhiare mentre lui si accomoda -“È il comitato di accoglienza che ti meriti…”-

    Sorride smagliante -“Sono in ritardo!”-

    Io, nervoso -“Certo che lo sei, ti avevo scritto che ho lezione alle nove.”-

    -“Scusa! Ma lasciami parlare prima che mi spieghi perché siamo qui, ho pensato a un discorso. Farei qualunque cosa per farmi perdonare Fax. Sono stato pessimo, tutte le bugie, il tradimento. So di aver fatto sanguinare il tuo cuore.”-

    -“Beh mica solo quello, visto che ti sei preso la mia verginità!”-

    I due farmer ci osservano dal loro tavolo.Io mi schiarisco la gola e modero il tono della voce, ma continuo ad aggredire Liam -“E poi piantala di parlare come in una soap opera.”-

    -“Volevo dare un tocco teatrale al discorso, pensavo ti facesse piacere.”

    -“Non è teatrale, mi dà sui nervi! Sembri la caricatura di un episodio di Egoli.”-Una tensione fastidiosa si concentra sulla mia epiglottide, respiro per combattere il reflusso di rancori e ammetto -“Però un tocco teatrale c’è …”- Gli mostro la coincidenza nel titolo del copione che sto memorizzando, “Il ragazzo dai capelli verdi” di Betsy Beaton. Lui, divertito lisciandosi il ciuffo smeraldo con la mano -“Wow! Sono già diventato leggenda!”-

    -“Sicuro, se i cessi del Romeo potessero parlare…”-

    -“Comunque Fax sono contento del tuo messaggio, non pensavo di risentirti.”-

    -“Neanche io, ma ho un secondo fine.”-

    -“Spara!”-

    -“Prima ordiniamo, rischio due ore di training a stomaco vuoto con quell’invasato di Kosta.”-

    -“Quel tipo balcanico che vi addestra come militari?”-

    -“Lui!”-

    La cameriera ci porge caffè e waffel con i bricchi di sciroppo d’acero e cioccolata fusa. Dal tavolo dei farmer si leva un rutto, lei sghignazza complice.

    Mentre annego il mio pasto sotto una colata iperglicemica dico a Liam -“Ho visto il tuo profilo sulla chat Gayza, scrivi che cerchi l’amore.”-

    -“Beh, è la verità!”-

    -“E come mai le pose della tua gallery sembrano la fase preparatoria di una colonscopia?”-

    -“Per mostrare le stelle! Che senso ha tatuarsi il culo se nessuno può vederlo?”-

    -“Sei una vittima dell’altruismo. Ma non temere, in quelle foto si vedono le stelle, i pianeti  e un buco nero.”-

    -“Cosa avrei dovuto fare? Non hai più voluto saperne di me.”-

    -“Devi prestarmi il tuo culo Liam, ecco cosa devi fare!”-

    -“Non credevo lo volessi ancora!”-

    -“Non voglio scopare con te, idiota!” (Mentivo, volevo eccome). “Devi contattare un tipo che frequento dal tuo profilo Gayza, per capire che intenzioni abbia.”-

    -“Sei fuori? Scordatelo!”-

    -“Oh, ma dai! Hai detto che faresti qualunque cosa per farti perdonare. Mi trovo in una situazione spiacevole e in parte sei responsabile.”-

    -“Io?”-

    -“Dovevo dimenticarti e forse nella fretta sono riuscito a trovare un soggetto peggiore di te.”-

    -“Ti tradisce?”-

    -“No! Non lo so. Mi ha proposto sesso condom free.”-

    -“Non lo hai fatto?”-

    -No. Gli ho chiesto il test hiv e si è offeso.”-

    -“È un idiota!”-

    -“Capisci perché ho bisogno di te?”-

    -“Ma non puoi aprire un profilo fake con la foto di un concorrente del Big Brother svedese come fanno tutti?”-

    -“Io non rubo le foto di uno svedese, e poi nessun reality ha mostrato il culo come fai tu in quella gallery.”-

    -“Mi descrivi come una puttana senza morale!”-

    -“Liam, non costringermi a essere amaro…Da quando hai le stelle sul didietro ricevi più visite del planetarium di Naval. Provocalo un po’ online e fai qualche domanda su di lui, i tuoi amici del Romeo sono un comitato di comari del gossip.”-

    I due allevatori si dirigono al pick up seguiti dal cane, uno di loro sputa per terra nella nostra traiettoria, l’altro mugugna -“moffie.”- (frocio in afrikaans).Liam ha le labbra lucide di sciroppo, le ripulisce con un giro di lingua, mi diventa duro.Accetta la missione -“Va bene, ti aggiorno fra una settimana.”-

    -“Ti dò quattro giorni. Devo rivederlo nel week end!”-

    Aspetto che passi l’erezione, mollo conto, mancia e fuggo via verso il campus. Kosta mi farà vomitare il waffel di corsa a salti e piegamenti in serie da 20, secondo uno schema di allenamento che chiama “suicidio”.

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    I bersaglieri di Cannes

    https://images.app.goo.gl/8qEad8xiZe2qiauR7PrologoCome in ogni pomeriggio di tutti i giorni lavorativi della settimana ridotta a quasi cinque con orari ed impegni indirizzati al primo pomeriggio del venerdì,i signori delle burocrazie del dovere degli altri si riunivano al Black Friday da museo delle cere,grazie al permesso concordato precedentemente dai colletti bianchi anch'essi in doppie funzio... Altro...

    https://images.app.goo.gl/8qEad8xiZe2qiauR7

    PrologoCome in ogni pomeriggio di tutti i giorni lavorativi della settimana ridotta a quasi cinque con orari ed impegni indirizzati al primo pomeriggio del venerdì,i signori delle burocrazie del dovere degli altri si riunivano al Black Friday da museo delle cere,grazie al permesso concordato precedentemente dai colletti bianchi anch'essi in doppie funzioni nello stesso sistema di sistemi allargato.La confraternita così riunita presente nel piccolo atrio di un palazzo storico appartenente al demanio pubblico ma adibito ad altri utilizzi in ambito privato,si prendeva il tempo per così dire liberato dalle possanze eroiche delle mansioni già scritte nei testi aramaici ritagliandosi il personale record delle recensioni nel giocare a dama,allestendo per lo scopo ludico nel grande tavolo della sala posto proprio vicino alle grandi finestre oscurate da finissime tende di tessuti pregiati,una grande scacchiera in legno che riempiva una buona fetta del lungo tavolo dove di lato veniva posto anche un vassoio con delle bevande per ristorare tutti i giocatori dall'arsura incombente della grande stanza riscaldata come una sauna.Quanto abbiano visto passare nell'alzata centrale di una stanza adibita a vetrina quegli occhi rivolti a rendicontare spezzoni di bilanci stratosferici senza alcun riferimento conseguente al mancato rispetto delle risorse umane,in quanto proiettate esclusivamente al guadagno lo spiega esaustivamente il silenzioso distacco in cui gli istrionici finanzieri nel capitolo selezionato: la parte di sicurezza nei luoghi di interesse all'evoluzione umana, mettevano tra le spiate di corte i quali con tecnologie raffinate in modalità edonistica ma nello stesso tempo orgogliosamente consapevoli di voler sadicamente spezzare le storie delle persone mai conosciute per davvero tra l'altro,in quanto la perversione bendata programmata sembrava che nel tabellone aziendale suscitasse lo stupore del proprio ego lasciato libero dalle tacite regole della convivenza insieme ad una stola di borghesia traghettata dalla vecchia e scombinata generazione dei professionisti del secolo d'oro vissuto per troppi atti ripetuti nella stagione come prima prova dell'opera.Protagonisti di un melodramma sfigurato di tanta ottocentesca villania incastonata in perfette realtà per così dire moderne,dove alla nota di contemporaneità mancante alla battuta del piccolo schermo risultava assente non solo la testimonianza attendibile ma persino la controfigura a portare le staffe su una qualsiasi minuetto del balletto del Bolscioi Vicissitudini dettate al vento del malcostume, circondanti da angosciosi tabù mai superati,i signori di fatto perbenisti e in pratica libertini alquanto ridicoli nello stato di grazia consumato nello spazio comune allo sbaraglio,per nulla schifati di maneggiare le vite di pover cristi cresciuti e radicati nei valori,ma considerati meri individui pescati per sbaglio nel paludoso pozzo,intercettati con pervicacia ottica della mercificazione.La mole di trovatori a padroneggiare con impeto ogniqualvolta si puo' intuire un'informazione per raggirare la macchina amministrativa ai propri tornaconti,anche se questo modo impediva ed impedisce in ogni epoca considerata evoluzionistica a procedere con garbo alla tavolozza del grande telero da presentare al mondo.

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    La casa dei miei sogni

    Mentre tornava a casa, Carla ancora non ci credeva, ma quel piccolo bigliettino scribacchiato in fretta quella mattina, rendeva il tutto perfettamente reale. Finalmente la casa dei suoi sogni era stata messa in vendita e sarebbe potuta diventare sua. Tutto era iniziato un giorno di sei mesi prima. Carla aveva un importante colloquio di lavoro e si sentiva molto agitata. Uscì  di casa con lar... Altro...

    Mentre tornava a casa, Carla ancora non ci credeva, ma quel piccolo bigliettino scribacchiato in fretta quella mattina, rendeva il tutto perfettamente reale. Finalmente la casa dei suoi sogni era stata messa in vendita e sarebbe potuta diventare sua. Tutto era iniziato un giorno di sei mesi prima. Carla aveva un importante colloquio di lavoro e si sentiva molto agitata. Uscì  di casa con largo anticipo. Parcheggiò la macchina e fece una passeggiata a piedi. Ottobre stava regalando ancora delle belle giornate assolate. La zona era signorile, fatta di case singole e piccole palazzine attorniate da giardini e piante ornamentali. Erano tutte molto belle ma gli occhi di Carla si soffermarono su di una in particolare. Era la terzultima casa verso la fine del viale. Sembrava disabitata e trascurata. La casa si reggeva su tre piani l’ultimo dei quali era una grande mansarda. C’era poi un bel giardino dove Carla già immaginava i suoi tre figli giocare. Quel giorno Carla ottenne il lavoro, e quella strada, una volta a lei sconosciuta, divenne un’abitudine, una piacevole abitudine. Aveva instaurato un buon rapporto coi colleghi ma soprattutto, aveva la possibilità ogni giorno, di ammirare quella che era diventata la casa dei suoi sogni. Una sera, a Carla parve di vedere un’ombra uscire da una porta del piano terra, ma era buio e pioveva a dirotto e Carla concluse che molto probabilmente si era sbagliata. Se l’autunno era stato generoso di sole, ad aprile inoltrato faceva ancora freddo e Carla era ancora costretta ad indossare la sua classica divisa invernale: cappotto, guanti, sciarpa, ed un delizioso cappellino blu regalatole a Natale dai suoi figli. Anche quel mattino  era vestita così. Era nervosa e stanca di indossare quegli abiti invernali, ma d’un tratto, notò un cartello affisso proprio dentro la casa dei suoi sogni. Improvvisamente Carla smise di pensare al freddo e a quanto si sentisse impacciata, invece prese velocemente dalla borsa la sua agenda e scrisse il numero di telefono che molto probabilmente apparteneva a qualche agenzia immobiliare. Appena Carla arrivò in ufficio ebbe subito l’impulso di fare quella chiamata ma pensò di rimandare fino al suo rientro a casa. Fortunatamente le ore trascorsero velocemente con mille cose da fare. Quando arrivò il momento di andarsene, Carla si diresse velocemente a casa e prima di farsi sfiorare dai dubbi, prese il telefono e fece il numero. L’appuntamento fu fissato per il pomeriggio del giorno dopo così anche suo marito avrebbe potuto vedere la casa. La mattina successiva passando da lì, Carla si sentì il cuore in gola al solo pensiero  che quel pomeriggio sarebbe finalmente entrata dentro quella casa che amava già tanto.

    L’interno era più o meno come Carla se l’era immaginato solo ancora più bello. Anche il marito all’inizio un po’ restio, rimase favorevolmente colpito, lui amava dipingere e aveva notato un angolino perfetto per il suo hobby. L’agenzia che trattava la vendita aveva fretta di concludere e il prezzo era ragionevole. I due ragazzi che si presentarono assieme all’agente, volevano vendere velocemente. Vivevano all’estero e la loro partenza era imminente. Era chiaro che desiderassero definire il tutto nel più breve tempo possibile. Avevano ereditato la casa del nonno di cui non avevano più notizie da dieci anni. Forse non era morto ma nessuno lo aveva più visto né sentito. Il notaio, al momento dell’atto, dichiarò che tutto era regolare e l’affare fu concluso. Circa un mese dopo iniziarono dei piccoli lavori di manutenzione. A metà luglio tutto era pronto e così Carla e la sua famiglia utilizzarono le vacanze per traslocare. Tutti erano felici, ognuno di loro aveva scoperto qualche angolo particolare dove poter star solo con se stesso. Organizzarono anche una gran festa per inaugurare la  nuova abitazione. Carla lo fece solo come compromesso, in quanto non desiderava avere troppa gente in giro per casa. Voleva assaporare lentamente quel suo sogno che da poco era divenuto realtà.

    I mesi estivi stavano volando via molto velocemente, ormai anche l’esterno della casa era stato ripulito. Dalla strada i passanti potevano ammirare un impeccabile prato inglese, arricchito da due giovani alberi d’ulivo e con l’aggiunta di alcuni vasi dove furono piantati un ibisco, un buganvillee e una passiflora, i fiori che Carla amava di più. Un altro vantaggio, era quello di avere il lavoro a portata di mano, questo significava avere più tempo da poter dedicare alla sua numerosa famiglia. I bambini erano felicissimi della loro nuova casa e suo marito aveva già trovato l’ispirazione giusta per un nuovo quadro. Tutto sembrava perfetto ma un giorno accadde qualcosa di strano. Ottobre era arrivato, ma a differenza dell’anno precedente era molto piovoso. Quel mattino, Carla uscendo di casa notò delle impronte sul vialetto che portava al cancello. Quel giorno decise di non dire niente a nessuno, ma il giorno seguente di buonora scese le scale e andò in cucina, fu molto attenta a non fare rumore, si affacciò alla finestra e… i loro occhi s’incontrarono. Lui fece per scappare ma lei fu più veloce e lo raggiunse. Carla si sentiva molto indignata con quel barbone anche se qualcosa in quegli occhi la colpì. Erano occhi tristi, sofferenti, disperati… Per qualche strana ragione Carla lo fece accomodare dentro casa. Stava per fargli il terzo grado ma lui se ne uscì con una frase che la lasciò sbalordita: “Io conosco molto bene questa casa, tanto bene che potrei elencarle pure i difetti perché l’ho costruita io.”  “Il nonno scomparso!” disse Carla incredula. “Già” E per la prima volta quell’uomo malconcio, sorrise. Notando l’imbarazzo di Carla, si affrettò a dire: “So cosa pensa e  non si deve preoccupare perché la casa è sua. I miei nipoti hanno fatto la cosa giusta. Sono scomparso dalla circolazione dieci anni fa. Non ho una storia triste da raccontarle, mia moglie non è morta, anzi… se la sta spassando col suo nuovo marito chissà dove. Ma vede… sarò un sentimentale ma… senza di lei qua dentro non riuscivo più a stare, così me ne andai all’estero. Dopo qualche anno però, decisi di tornare, solo che, non me la sentivo più di vivere qua dentro. A poco a poco, senza rendermene conto iniziai a vivere per strada. Nessuno mi cercava, ma nemmeno io cercavo loro. Da circa un anno però il desiderio di tornare diventava sempre più forte, cosicché ogni tanto entravo quasi furtivamente e vi passavo le notti, quelle più fredde almeno. Poi di giorno dovevo uscire. Ogni cosa qua dentro parlava di lei e allora scappavo. A volte non lo so, mi sento un vigliacco…” Poi, come ricordandosi di qualcosa di importante disse: “Comunque non si preoccupi, perché io non mi introdurrò più in questa casa che ormai è soltanto sua e di mia moglie ormai non c’è più nemmeno l’ombra.” Carla era senza parole, aveva ascoltato molto attentamente tutto ciò che quello sconosciuto le aveva detto, e lei sempre così scettica e diffidente, sentiva che poteva fidarsi, sapeva che quell’uomo le aveva raccontato la verità. E adesso? Cosa avrebbe potuto dire? Carla si sentiva a disagio, ci fu un momento di silenzio tra i due poi improvvisamente Carla ebbe un’idea così disse: “Venga, faccia colazione con me, abbiamo ancora circa un’ora di tranquillità prima che il resto della mia famiglia si svegli e finisca la pace.” L’uomo un po’ esitante si alzò e la seguì. Mentre Carla porgeva una tazza di caffè fumante al suo ospite e una generosa fetta di torta, disse qualcosa che sorprese lei stessa per prima: “Vede, i genitori di mio marito non ci sono più e i miei abitano molto lontano, perciò i miei tre figli non hanno praticamente nessun nonno con cui giocare…” A questo punto Carla si fermò un attimo ma riprese quasi subito: “Che ne direbbe di fare loro da nonno?” Questa volta fu l’uomo ad essere sorpreso e senza parole. Carla proseguì: “In questo modo continuerebbe a vedere la sua vecchia casa che ama ancora molto, lo capisco, solo che vi entrerebbe da invitato e non furtivamente e di nascosto, e perché no… farebbe le veci di un nonno che non c’è”. Poi Carla continuò un po’ fuori dal suo solito stile timido e riservato: “Suvvia, la vita le sta offrendo ancora qualcosa: la nostra amicizia per esempio, non la butti via, dica di si.” L’uomo le sorrise poi disse: “La ringrazio per la sua gentilezza e le prometto che ci penserò su.” poi aggiunse: “Grazie ancora per l’ottima colazione.” Detto questo se ne andò. Carla era rimasta lì sola nella sua nuova cucina a riflettere su quello strano incontro. Era un po’ delusa, avrebbe voluto che quel signore di cui non ricordava neanche il nome, le dicesse subito di sì. Perché buttare via anche soltanto l’idea di ricominciare? Quel giorno Carla non disse niente a nessuno nemmeno a suo marito, non avrebbe saputo neanche da dove cominciare. Il pomeriggio passò e anche la sera ma lui non si fece vedere e Carla andò a letto scontenta. Il giorno dopo verso le cinque del pomeriggio il campanello di casa suonò e Carla affacciandosi, vide che al cancello c’era un uomo di mezza età ben vestito che appena la vide la salutò cordialmente. Carla stava per dire: “Desidera?” ma la parola le morì in bocca perché improvvisamente lo riconobbe, era lui, il nonno scomparso, solo che adesso sembrava uscito dalle pagine di una rivista di moda. Come aveva potuto trasformarsi così? O meglio, come aveva fatto un uomo così di classe a diventare un barbone quasi inavvicinabile? Carla preferì lasciare per il momento, quelle domande senza una risposta e si precipitò a farlo entrare. “Ho seguito il suo consiglio.” disse l’uomo, poi proseguì: “sono venuto per fare il nonno.” “Ha fatto la scelta giusta” disse Carla, “vedrà non se ne pentirà, venga le faccio strada, i ragazzi sono in salotto.” ma poi Carla ricordò e si corresse subito: “che sbadata, dimenticavo che la casa l’ha costruita lei…” Il ghiaccio non era ancora stato rotto ma… quello era già un buon inizio.

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    Perché gli alberi perdono le foglie?

    Tratto dal romanzo breve Perché gli alberi perdono le foglie? (Dialoghi Edizioni) 2021.

    https://www.edizionidialoghi.it/perch%C3%A9-gli-alberti-perdono-le-foglie

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    Donna nuda

    Frammenti di vita, lottata, abbracciata e compresa, quanto ripudiata e schiaffeggiata ma sempre offerta in tutta la sua brutale bellezza dalla voce dell'autrice. Sono frammenti, schegge di uno specchio in frantumi, quello di una donna in carriera che dall'oggi al domani si ritrova orfana della vita che conosceva e straniera in una terra sconosciuta: paesaggi e passaggi, filtrati con gli occhi dell... Altro...

    Frammenti di vita, lottata, abbracciata e compresa, quanto ripudiata e schiaffeggiata ma sempre offerta in tutta la sua brutale bellezza dalla voce dell'autrice. Sono frammenti, schegge di uno specchio in frantumi, quello di una donna in carriera che dall'oggi al domani si ritrova orfana della vita che conosceva e straniera in una terra sconosciuta: paesaggi e passaggi, filtrati con gli occhi della poesia e velati di un leggero ma persistente misticismo che aiuta a trovare un cammino anche dove i passi si sono smarriti.

    - Ludwig Conistabile -

    Un libro per chi si cerca nelle impervie strade dell'esistenza... Un libro per tornare a vivere, Nudi e Liberi..."Tanto muta era l’anima da negarmi la percezione di ogni realtà fisica, la scoperta dell’erba irritante mi fu da apripista nell’indagine del mio sopore indotto dal fiume sporco nel quale ero annegata. Gli istanti incastrati nelle ore dei giorni che mi sono passati addosso non mi hanno fatto molto male, il male tangibile, il dolore fisico. No, hanno disegnato solchi nei quali sono cresciuti disegni, non cose, disegni. Solo l’anima è stata in grado di vedere, ha seguito i ritmi giorno-notte, lavoro-riposo. Solo l’anima. Fui per un periodo indefinibile nel tempo dell’anima, e fu più potente del percorso umano della vita. Visitai zone sconosciute e rivisitai tutta la mia esistenza come nel lungo flash che vive l’uomo nell’atto del passaggio da vita a morte, ma lo feci da viva. Vissi la morte nell’ultimo cunicolo che ci separa dalla vita e tornai indietro dopo aver intravisto la luce. La rubai la luce, come scia di un abito da sposa la portai con me, attorno a me, nel percorso di vita che ancora non avevo vissuto." 

    per prenotazioni: annamariavezio@yahoo.itctleditorelivorno@gmail.com

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