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    LUCE M’È CARA

    CELEBRANDO LA MAMMA NEL MONDOLa Festa della Mamma è un momento molto speciale, nel mondo, in cui si festeggia l’amore e la dedizione delle madri verso i propri figli. Tuttavia, molte persone sono costrette a celebrare questa giornata senza la propria madre, che purtroppo è deceduta o ancora vive malata e sofferente.La malattia o la morte di una madre è un dolore immenso, e può sembrare diffi... Altro...

    CELEBRANDO LA MAMMA NEL MONDO

    La Festa della Mamma è un momento molto speciale, nel mondo, in cui si festeggia l’amore e la dedizione delle madri verso i propri figli. Tuttavia, molte persone sono costrette a celebrare questa giornata senza la propria madre, che purtroppo è deceduta o ancora vive malata e sofferente.

    La malattia o la morte di una madre è un dolore immenso, e può sembrare difficile trovare le parole giuste da utilizzare in questa occasione. Nonostante tutto però la letteratura e la poesia ci vengono incontro e ci aiutano a commemorare la propria mamma e celebrare l’amore che ci legava e ci lega. Sì, perché la Mamma è celebrata in ogni contesto e luogo sociale: nella musica, nel cinema ma anche nella poesia e nella letteratura. La mamma è.… la Mamma. Chi lo può negare! È vero, la sua festa è tutti giorni, ma oggi ancor di più!

    Una poesia della scrittrice e autrice calabrese Teresa Averta, la canta in versi emozionanti e sinceri come il cuore di una Mamma.

    LUCE M’È CARA

    Sulle mie labbra il cielo ha scritto il tuo nome

    e nel tuo ventre il mare m’ha costruito il nido

    emersi dal fondo del sonno come seme

    virgulto crebbi nel palmo della tua mano,

    il vento è nei tuoi occhi o prima primavera,

    dolce principio dei miei puri affetti,

    cui forse oblio non porterà mai sera,

    teco una volta sola i miei diletti.

    Hai incendiato i miei crepuscoli

    con le fiamme del tuo amore

    ho raccolto tutte le mie notti

    sotto la luce del tuo cuore.

    Io ero terra, ma anche bimba lattante,

    succhiavo da te la pioggia d'inverno,

    ero sposa chiusa nel serraglio battente

    anima desiosa di uscire dall’urna.

    Porterò su di me la tua bellezza grande

    e il sorriso delle tue labbra o mamma mia

    poiché fuori è la folgore, una folgore potente

    il lampo di luce sommerse la vita mia…

    E tu sai con certezza, di essere fra i dolori

    solo un lungo silenzio che conforta…

    ti custodirò per sempre nel campo dei miei fiori,

    che si inginocchieranno davanti alla tua porta.

    Tu duri sempre o madre mentre la vita muore

    tu sola, eterna, tra le nebbie e il sole

    sei musica vivente, ti prego, lasciati abbracciare...

    tu battito mio forte dentro al petto.

    Mi pesano dentro i giardini che non ho attraversato

    ti cerco invano come farfalla nel vento

    ma per il mio cuore che ti ha tanto amato…

    tutto è fiorito, tutto è sentimento.

    Senti la mia voce flebile e sincera

    Come ti chiama: mamma!

    Le labbra tremano un crepito, bagliori,

    ed ecco si leva quella dolce fiamma.

    Io sono qui, nella profondità… io sono

    luce ai miei occhi per vederti o mamma mia

    ombra che mi reca il bianco giorno

    e sciogliere potrà quest'alma mia.

    Teresa Averta

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    Ti sarò vicino

    Così forte da non chiedere aiuto anche se ti cade il mondo addosso.Così fragile anche solo per un abbraccio.Ti sosterrò senza fare rumore e ti abbraccerò con braccia di seta. 

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    Paura

    Il mio incubo si chiama realtá.

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    Killer

    La vita uccide

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    Estate

    Quando la primavera porta via i colori tenui, si accende forte l’estate. Impetuosa muovi le mani fra i capelli mentre la brezza del mare, ti accoglie in un sussurro. Le caviglie si bagnano del profumo del mare, cambi colore baciando il sole,  come se fosse il tuo vero amore. Ed io ti osservo, distante un passo. Quando mostri al mondo i tuoi colori e come una stagione rivel... Altro...
    Quando la primavera porta via i colori tenui, si accende forte l’estate. Impetuosa muovi le mani fra i capelli mentre la brezza del mare, ti accoglie in un sussurro. Le caviglie si bagnano del profumo del mare, cambi colore baciando il sole,  come se fosse il tuo vero amore. Ed io ti osservo, distante un passo. Quando mostri al mondo i tuoi colori e come una stagione riveli la tua essenza. Ed io ti osservo, distante un passo  dalle tue labbra.[caption class="snax-figure" align="aligncenter" width="662"][/caption]

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    LA SAPIENZA DEL FILO

    La Poesia ci salvi dal mormorìo,dallo squadro,   dal singulto della Vita.

        

     Thea Matera ©️ 

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    ASAP

    Lo vidi sorridere solo una voltaQuando lo attraversò un odore di vanigliaLa sua corazza si era subito come scioltaE i suoi occhi cercavano una famigliaD'un sol colpo però si svegliòIl freddo che temeva ormai lo circondavaAbbassando gli occhi tutto d'un tratto ricordòDi essere solo e che a nessuno gli importavaLa rabbia lo muovevaprima urlava e poi piangevaDiviso per la vita da chi prima lo cre... Altro...

    Lo vidi sorridere solo una volta

    Quando lo attraversò un odore di vaniglia

    La sua corazza si era subito come sciolta

    E i suoi occhi cercavano una famiglia

    D'un sol colpo però si svegliò

    Il freddo che temeva ormai lo circondava

    Abbassando gli occhi tutto d'un tratto ricordò

    Di essere solo e che a nessuno gli importava

    La rabbia lo muoveva

    prima urlava e poi piangeva

    Diviso per la vita da chi prima lo cresceva

    Di giorno era ignorato non guardato e non amato

    Di sera nello spirito e nel corpo era violato

    Sperava e un po' sognava che ormai il peggio era passato 

    Pensava spesso al gesto più terribile e spietato

    C'era molto da rifare 

    Distruggere o cambiare, la memoria da disfare

    Andare oppure stare e quella vita da salvare

    Scegliere fa male ma il decidere è vitale

    Solo come l'onda prima di toccare il mare

    Bisognerà di nuovo imparare a credere

    di nuovo imparare a vivere

    Percorrere la strada che lo porti ancora a ridere

    Prendere e volare con i piedi fissi a terra

    Scegliere la pace per non fare più la guerra.

    -Oscar

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    I SORRISI DEL CUORE

    Ti guardo o madre,mentre attraversi la notte dell’anima,o donna che viaggi tra parole distratte,muti silenzi e reminiscenze in bilico;ti guardomentre scivoli come una biscia altrove,ti giri e ti rigiri in quel fiume di nebbiache porta il pensiero in ogni dove.Ti guardonell’immobile giorno che muore,abbraccio il tuo buio straziantema poi c’è l’alba… e la luce si muove.Lotta con me o guer... Altro...

    Ti guardo o madre,

    mentre attraversi la notte dell’anima,

    o donna che viaggi tra parole distratte,

    muti silenzi e reminiscenze in bilico;

    ti guardo

    mentre scivoli come una biscia altrove,

    ti giri e ti rigiri in quel fiume di nebbia

    che porta il pensiero in ogni dove.

    Ti guardo

    nell’immobile giorno che muore,

    abbraccio il tuo buio straziante

    ma poi c’è l’alba… e la luce si muove.

    Lotta con me o guerriera

    ché ancora non hai perso,

    occhi di sogno, guardami!

    Non aver paura, non aver paura!

    Ricolmami di speranza e di fiori

    aprimi la porta e spandi profumo

    mentre ti insemino la gioia,

    ti prego fammi entrare, non lasciarmi fuori.

    I miei versi dolenti fanno male…

    trafiggono l’anima come pugnali

    ma non c’è croce, né martirio

    che non sia bagnato di dolore.

    Nel mio triste spasimo

    aggrappati al mio amore

    e se ti amo così male,

    perdona il mio povero cuore

    in questa calma stupita

    fatta di assenza di voci,

    far urlare il mio cuore

    è strappare la vita.

    Poggia su di me il tuo capo,

    lasciati dietro le ombre della sera,

    posalo dolcemente sul mio petto,

    lo accarezzerò come una preghiera.

    Sentirai leggero il battito della vita,

    potrai riposare dalle fatiche dei giorni.

    Non angosciarti se non ricordi le ore

    l’amore non dimentica il tempo…

    e non nascondere i tuoi occhi di luce

    ma lasciali solo per me

    quando avranno voglia di piangere

    io sarò sempre con te.

    Tienimi stretta, stretta

    dentro il palmo della tua mano,

    è lì che troverai la forza,

    la vita, e il domani…

    amo i tuoi smarrimenti,

    la tua tenacia e la direzione

    ostinata e contraria alla mia

    ma ci ritroveremo sempre

    sul filo di una poesia.

    Madre potrei narrarti

    il nostro romanzo d’amore

    e incidere dentro, a fuoco, l’infinito

    ma temo che l’inverno sia alle porte,

    torneranno il vento, la pioggia,

    la tempesta e le parole…

    tornerà l’azzurro, la gioia, l’allegria

    e tu sarai più bella del sole,

    tornerà la felicità che spazzerà via

    la tristezza e resteranno i sorrisi,

    i sorrisi del cuore.

     

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    IMMENSO

    Non mi lasciate di fronte alle ombreimprigionata dai miei versi,che mi conducono al massacro dell’animae a fare a pezzetti il mio cuore…Attendo disperata che qualcuno mi liberie mi chiami dalla stradaal crepuscolo,una voce sconosciutasi faccia sentirenella tempesta di voci,un respiro,un alito di ventomi strappi da quest’immenso.... Altro...

    Non mi lasciate di fronte alle ombre

    imprigionata dai miei versi,

    che mi conducono al massacro dell’anima

    e a fare a pezzetti il mio cuore…

    Attendo disperata che qualcuno mi liberi

    e mi chiami dalla strada

    al crepuscolo,

    una voce sconosciuta

    si faccia sentire

    nella tempesta di voci,

    un respiro,

    un alito di vento

    mi strappi da quest’immenso.

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    RACCONTO DI UN PROFUGO

    Un medico di nazionalità curda, ricorda ancora le bombe, gli aerei di guerra sempre in volo, la paura di suo padre che non andava a lavorare ma si nascondeva perché temeva di essere reclutato per andare a combattere contro l’Iran, in una guerra senza senso. Dice che i bambini non la capiscono mai, la guerra, ma imparano a combatterla, a loro modo, prima sopravvivendo, poi impegnandosi in qualc... Altro...
    Un medico di nazionalità curda, ricorda ancora le bombe, gli aerei di guerra sempre in volo, la paura di suo padre che non andava a lavorare ma si nascondeva perché temeva di essere reclutato per andare a combattere contro l’Iran, in una guerra senza senso. Dice che i bambini non la capiscono mai, la guerra, ma imparano a combatterla, a loro modo, prima sopravvivendo, poi impegnandosi in qualche causa. Ed è vero, il dottor Goder parla della sua terra e della sua gente con l’orgoglio di chi non si tira indietro: in questa nuova devastante guerra, i curdi combattono il terrorismo dello Stato islamico in nome di tutto l’occidente. Goder, combatte questa guerra a modo suo: attivandosi per la pace e la salvezza dei suoi fratelli. Attende che il fato gli affidi un pezzo di campo profughi dignitoso, dove le persone possono almeno nutrirsi e dormire. Un angolo anche buio e sporco ma pur sempre un posto dignitoso per quei bambini costretti al nomadismo e alle privazioni, un momento di scuola dove trovarsi, e volersi bene.

     

    "Non posso dimenticare il pianto di bambini migranti... lì sul limbo serbo dopo aver attraversato la rotta balcanica.

    Ho visto adulti e bambini ammalarsi, e morire di fame e di freddo.

    Ho fatto migliaia di chilometri a piedi, per arrivare sino a qui, con quei pochi soldi risparmiati in tutta una vita: denaro raccolto facendo le collette davanti alle chiese; ho venduto la casa che mi aveva lasciato mia madre e gli animali.

    Ora non ho più paura, il freddo è il meno che mi possa capitare.  

    Voglio andare avanti, come gran parte dei profughi afghani e pakistani accampati dentro le stazioni, ho attraversato mari e montagne in Iran e Turchia, mi sono fermato nei centri di accoglienza greci, bulgari, macedoni, prima di raggiungere Belgrado.

    Vorrei che qualcuno mi aiutasse, e aiutasse la nostra gente.

    In verità io penso che la gente non sia così stupida, ha solo bisogno di verità la gente come me...

    Mi sento completamente disarmato di fronte a tanta sofferenza.

    Siamo poveri e spogli di tutto e tanto sporchi di fango, ma quello che mi fa più male è il fango della loro indifferenza. L’indifferenza di chi sta meglio di noi, di chi non capisce e non può capire perché ha avuto una vita più facile della nostra.

    Oh Dio, quanto vorrei trovare un pezzo di terra! Un pezzo di campo profughi dignitoso, di attesa, dove le persone possono almeno nutrirsi e dormire. Un angolo anche buio e sporco ma pur sempre un posto per questi bambini costretti al nomadismo e alle privazioni, un momento di scuola dove trovarsi.

    Cammino dentro la Storia. Una parte di Storia che non avrei mai voluto vivere.

    Dio, come sono straordinari quei bambini sfortunati, e nei loro occhi s’intravedono ancora le fiamme dell’inferno. Hanno ancora i segni di quelle fiamme, li portano anche sul viso, sulle braccia, sui piedini scalzi.

    Le mie parole si perdono oltre la sconfinata vallata.

    Perché è facile parlare di guerra senza averla mai vista, senza saperne nulla, senza conoscerne gli effetti devastanti sulla vita – ma quando ti ci trovi davanti, capisci che le parole giuste, in realtà, non esistono.

    Esistono, al più, silenzi giusti, e forse, in taluni casi, neanche quelli.

    Decine di centinaia di famiglie siriane sono fuggite dal clamore della guerra, nascoste in silenzio in casolari, stalle, garage abbandonati di questa splendida, meravigliosa città di frontiera.

    Rifugi abbandonati da chi, prima di loro, è fuggito dal fragore dei missili, dalla certezza della morte.

     Da questo confine sono verosimilmente passati più di quattro milioni di profughi.

    Un'intera generazione di bambini siriani sta crescendo senza avere mai conosciuto la pace.

    Non c’è stata pace per noi. La mia infanzia era scandita da bombe e morti, mio padre restava nascosto in casa per non essere preso e mandato a combattere contro gli iraniani in una guerra non nostra.

    La mia, era una bella famiglia, ricca delle cose essenziali, amore e cultura; amavo la musica e i miei mi fecero studiare pianoforte.

    Non potendo mai uscire da casa per la guerra, suonavo tutto il giorno la pianola... poi un giorno, decisi di scappare.

    Ben presto, però l’invasione irachena spezza ogni sogno e ci costringe a un esodo biblico: tra le colonne interminabili che s’inerpicano sulle montagne desertiche, c’è anche il mio piccolo fratello Omar.

    L’arrivo in campo profughi, il freddo, la calca tra bambini per afferrare cibo e acqua dai camion di aiuti rende la nostra casa, un sogno lontano, pensavo alla mia pianola, che non l’avrei più rivista... eravamo nudi e senza niente.

    Ho sofferto come un cane, per non poter donare il mio aiuto agli altri, cosa potevo dare ai miei sfortunati fratelli se io stesso non avevo nulla... neanche il fiato per respirare, e neanche più gli occhi per piangere.

    È stato allora che, decisi di diventare medico.

    Volevo offrire qualcosa al mio popolo innocente e disgraziato. Noi curdi chiedevamo solo pace, ma nei secoli siamo sempre stati aggrediti e martoriati.

    Anche oggi, siamo in guerra contro Isis. Sono stati anni duri, a causa dell’embargo e della nuova guerra tra Usa e Iraq; mancava la corrente e studiavo con la boccetta di petrolio accesa sui libri, ma non demordevo, e i miei genitori fecero di tutto perché io e mio fratello minore avessimo un’istruzione.

    Avrei voluto conquistare almeno la dignità di essere riconosciuto come un essere umano e il diritto di sognare un futuro per me e per gli altri. Che poi è l’unica ragione che muove il mondo, e lo rinnova.

    Il mondo è abbastanza grande da accogliere tutti quanti noi, apriamo le porte, costruiamo i ponti, edifichiamo la pace. Perché malattie e morte ce ne sono state abbastanza... e non serve solo odiare e condannare.

    Bisogna trovare la forza per unirsi contro la barbarie e la violenza, non solo per garantire e difendere la democrazia, minacciata da forze oscurantiste d’inusitata mostruosità.

    È da condannare ogni silenzio nei confronti di queste tragedie e bisogna invece sostenere chi da sempre è impegnato in prima linea per il dialogo tra le religioni e le culture e per lo sviluppo dei principi di pluralismo e rispetto della libertà.

    È stata una giornata molto intensa.

    Affiora la stanchezza e sono tanti i sentimenti che ho accumulato in tutte le visite che ho fatto. Davanti ai miei occhi scorrono gli occhi di tutte le bambine e i bambini che ho incontrato, abbracciato e ascoltato.

    Gli occhi appassionati degli operatori sanitari che ho ammirato.

    Qualcuno di noi cede e da spazio alle lacrime: è giusto così, non si riesce a tenere tutto dentro, non è umano. Come è disumana questa guerra, anche se è, voluta da uomini.

    Oggi Sento forte l'orgoglio di lavorare per chi ha bisogno.

    Oggi sono un medico del mondo, sono il soccorritore dei poveri e dei miseri.

    Il lavoro che faccio sul campo è indispensabile ed efficace allo stesso tempo.

    Sì, perché... mentre tu hai una cosa, può esserti tolta. Ma quando tu dai, ecco, l’hai data. Nessun ladro te la può rubare.

    E allora è tua per sempre.” Il silenzio e l’indifferenza, certe volte, fanno più danno delle bombe.”

    Teresa Averta

     

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    UOMO

    Anche tu sei un pugno di terra.Sei carne e sangue di passaggio.Cammini come chi cerca la vita,a tentoni attraversa l’esistenzaattendi, in silenzio, la morte sulla porta.Respiri vento ti emozioni e taci.Stringi le mani e il dolorelasci andare tetti ed amori.Sei solo! Solo! Solo!Dentro di te…sale la rabbia prepotenteche ti ha svegliatoe ti ha dato un mondoche non volevi.Che pretendevi?Uomo.Anche... Altro...

    Anche tu sei un pugno di terra.

    Sei carne e sangue di passaggio.

    Cammini come chi cerca la vita,

    a tentoni attraversa l’esistenza

    attendi, in silenzio, la morte sulla porta.

    Respiri vento ti emozioni e taci.

    Stringi le mani e il dolore

    lasci andare tetti ed amori.

    Sei solo! Solo! Solo!

    Dentro di te…

    sale la rabbia prepotente

    che ti ha svegliato

    e ti ha dato un mondo

    che non volevi.

    Che pretendevi?

    Uomo.

    Anche tu sei un pugno di terra.

    Teresa Averta

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    Due parole soltanto sulla morte…

    C'è una poesia molto breve di Auden, appartenente agli "Shorts", che è davvero significativa e eloquente riguardo alla morte: "Riflesse nello specchio del bancone/ durante l'ora della colazione,/ una fila di facce cittadine,/ mute, di mezza età,  ad aspettare/ una morte che non sia mai la loro". C'è chi legge il giornale nelle grandi città per leggere gli annunci funebri e vedere se è m... Altro...

    C'è una poesia molto breve di Auden, appartenente agli "Shorts", che è davvero significativa e eloquente riguardo alla morte: "Riflesse nello specchio del bancone/ durante l'ora della colazione,/ una fila di facce cittadine,/ mute, di mezza età,  ad aspettare/ una morte che non sia mai la loro". C'è chi legge il giornale nelle grandi città per leggere gli annunci funebri e vedere se è morto qualcuno che conosceva. Nei piccoli paesi e nelle cittadine le persone si limitano a guardare gli annunci affissi sui muri.  In ogni caso le persone aspettano la morte altrui e scongiurano la loro come quella dei loro cari.  In "Malagueña" Garcia Lorca scrive: "La morte entra ed esce dalla taverna". Emily Dickinson in una sua lirica trattava della morte, che era andata malauguratamente nella casa dei vicini. Se ci fermiamo all'apparenza la morte viene a fare visita di tanto in ogni casa, spesso a distanza di anni. Seneca diversamente pensava che noi moriamo un poco ogni giorno. Però la morte resta sottotraccia, il morire si manifesta, quasi si concretizza, solo nell'atto finale o almeno così noi lo percepiamo oppure non vogliamo pensarci.  Succede che la morte tocchi o si posi su una persona e allora questo segni profondamente la vita dei suoi cari. Vivere è aspettare il proprio turno da questo punto di vista, aspettare la propria ora. Se venisse bloccato il processo di invecchiamento, se la medicina sconfiggesse ogni malattia, se fossimo davvero  immortali molto probabilmente non esisterebbero l'etica, la religione, la morale. La morte ci serve anche da monito: non possiamo fare quello che vogliamo perché un giorno renderemo la nostra anima a Dio. Cristianamente il corpo, l'anima, la stessa vita non sono nostri. La fede è la credenza che più di altre può determinare un cambiamento profondo di sé stessi e delle proprie azioni, ammesso e non concesso che ci sia coerenza tra fede e comportamento. Si tratta di salvarsi cristianamente l'anima, presupponendo che questa sia immortale. C'è chi non crede all'immortalità dell'anima, ma a quella del genere umano e allora lascia nel mondo dei figli, che perpetuano il suo DNA e con essa - si spera - la specie umana. C'è chi considera le proprie opere d'ingegno nel mondo delle sue figlie e ripone fiducia nell'immortalità delle sue opere e nell'immortalità dell'umanità (ma siamo sicuri che essa non si autodistruggerà?). Ci sono molte ipotesi, più o meno accreditate a riguardo, e non c'è nessuna certezza. Si può anche legittimamente sospendere ogni giudizio. Le proprie opere d'ingegno sono sempre nulla di fronte alla morte. Per quanto riguarda i traguardi materiali raggiunti, per dirla alla Verga, la roba uno non se la porta nella tomba. C'è chi sostiene che una persona sia viva fino a quando è vivo il suo ricordo. Montale scriveva che forse siamo sempre gli stessi (e quindi forse ci reincarniamo) oppure sempre il poeta ligure in una sua famosissima lirica pensava che "forse siamo già tutti morti senza saperlo". Quello di cui siamo certi è che una delle cose fondamentali che ci distingue dagli animali è proprio il culto dei morti, anche se non dobbiamo essere ipocriti e presenziare a tutti i funerali, ma solo a quelli che ci sentiamo veramente di andare. Andare ai funerali quasi per timbrare il cartellino, come fanno molte "prefiche" postmoderne, è un atto esclusivamente di ipocrisia e convenienza sociale più che di civiltà e vicinanza alla famiglia del/la  defunto/a. Ogni conforto, ogni parola sembra vana di fronte alla morte. Bisogna sempre ponderare e misurare ogni parola sulla morte: mai sproloquiare  perché ogni parola può essere veramente di troppo. Niente sembra avere la meglio sulla chiusura di una bara. Di fronte alla morte, alla sua realtà ci sentiamo tutti impotenti. Travisando Borges, nessuno è qualcuno di fronte alla morte, che è un mistero che ci supera e ci trascende. Di fronte alla morte e a Dio nessuno può dire "lei non sa chi sono io". Di fronte alla morte non conta niente essere stati nel Who is Who. La morte e Dio conoscono benissimo ognuno di noi, la nostra indole e le nostre azioni.  La domanda che un familiare rivolge al caro estinto è "perché mi hai abbandonato?", ma spesso la domanda si estende e diventa "Dio mio perché mi hai abbandonato?", come nel salmo. Ritorneremo a essere polvere.  Mangiamo e da morti saremo mangiati. Ma non può finire tutto così.  Non avrebbe alcun senso. Non può essere tutto qui. Esiste la compresenza tra viventi e morti perché continuamente tocchiamo e siamo toccati dalla polvere. Basta che si alzi il vento in una strada sterrata per avere a che fare fisicamente con i morti. La vita continuamente si rinnova. Fiori sbocciano nei cimiteri; giovani amanti fanno all'amore la notte nei parcheggi dei cimiteri; i  bambini giocano, ignari di tutto, vicini alle tombe. 

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    IL MIO BORGO NATIO

    Tra i vicoli di questo Borgomemoria viva passeggia.Fu come un vecchio sospiroche la gioia improvvisa esplose dal mio petto.Battiti e passi allo stesso ritmo sentoil sole bacia la terra e quell’ombre seguo da giorni.Non ebbi io mai sì fatta felicità,né averla ancora dalla vita spero.Fanciulla e spensierata ero quella volta,e ora malata sono di ignota nostalgia.Tra le antiche strade del Borgoil... Altro...

    Tra i vicoli di questo Borgo

    memoria viva passeggia.

    Fu come un vecchio sospiro

    che la gioia improvvisa esplose dal mio petto.

    Battiti e passi allo stesso ritmo sento

    il sole bacia la terra e quell’ombre seguo da giorni.

    Non ebbi io mai sì fatta felicità,

    né averla ancora dalla vita spero.

    Fanciulla e spensierata ero quella volta,

    e ora malata sono di ignota nostalgia.

    Tra le antiche strade del Borgo

    il desiderio ardente mi strappa quel sospiro

    che fan fatica anche i polmoni a respirare.

    Libero la voglia nella dolce danza del tempo

    d’infanzia e giovinezza, e vedo poche case sparse,

    arrampicate sul corpo nudo della mia vecchia collina,

    tra alberi folti e disadorni e profumate chiese d’incenso.

    Lì sorge il mio antico Borgo prospero di storia e misteri,

    pietra su pietra scolpita è la vita di tutti.

    La fede e le campane squillano come il vino ed il pane,

    come i bimbi e le donne si annidano così rondini e rondinelle.

    Si amano il cielo e le stelle in questo borgo dove asciugo ancora il mio sudore.

    In un cantuccio, ahimè, lasciavo al cuore azzurro spiraglio,

    per contemplare presso di me, “il nuovo infinito”

    l’inattesa e sospirata gioia di non esser più io,

    d’essere soltanto: una creatura fra gli uomini, una donna.

    Un essere umano che brama di viver come si vive.

    Note di musica nuova o ritrovo di eco perduta

    di pezzi di giovinezza smarrita per le vie del Borgo, mutate,

    come mutato son io poeta d’altri tempi.

    Sulle mura del castello vado scrivendo la storia che non cambia,

    sulle vecchie e desolate case dipingo angeli senz’ali.

    Sugli uomini e i mestieri, sui giardini e sui bambini

    è scesa la polvere che avvolge le cose finite.

    Le onde del mare si son fermate ad aspettare

    il mio sospiro duro e lungo in un mondo che non è più il mio.

    E morte m’attende in queste contrade

    ma prima di rivedere l’alba eterna,

    di giovinezza mi voglio vestire e chiedere il permesso a Dio

    di respirare ancora il mio borgo natio.

    T. Averta

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    Sull'esperienza, sulla condivisione, sul dolore, sulla morte

    Premessa:Un dolore condiviso è un dolore dimezzato. Una gioia condivisa è una gioia raddoppiata.(Proverbio)Si dice comunemente "provare per credere" e non c'è detto più vero. Un dolore può essere espresso, ma coloro che non lo hanno mai provato possono solo cercare di immaginare,  possono solo cercare di immaginarlo con l'empatia e la conoscenza teorica. Se non si è provato qualcosa si ... Altro...

    Premessa:

    Un dolore condiviso è un dolore dimezzato. Una gioia condivisa è una gioia raddoppiata.(Proverbio)

    Si dice comunemente "provare per credere" e non c'è detto più vero. Un dolore può essere espresso, ma coloro che non lo hanno mai provato possono solo cercare di immaginare,  possono solo cercare di immaginarlo con l'empatia e la conoscenza teorica. Se non si è provato qualcosa si crede per sentito dire e talvolta restano in noi dei dubbi e delle perplessità.  Eppure siamo nati per condividere le nostre esperienze, dolorose o piacevoli, senza sapere quale reazione avrà il nostro prossimo. Spesso noi non sappiamo se e cosa gli altri raccoglieranno di ciò che abbiamo seminato. I vecchi e i malati sanno cose che noi non sappiamo perché loro le hanno provate e noi no. Noi possiamo solo cercare di capire. La stessa maturità, anche se priva di acciacchi e malanni, è uno stato d'animo, un'atmosfera, una sommatoria di delusioni e sconfitte, una moria di sogni, una riduzione di possibilità esistenziali che un giovane non può capire. Come vivere in un certo posto e con certe persone non sempre è percepibile e comprensibile da chi ha avuto esperienze diverse. Quando ci innamoriamo la prima cosa da chiedersi è se quella persona può comprenderci, cioè se può capire o meno il nostro vissuto. Nel dialogo con gli altri noi ci scambiamo esperienze,  non facciamo altro che questo. Anche gli insegnanti più teorici oltre a essere nozionistici comunicano la loro esperienza. Certamente il problema di fondo è come definire l'esperienza perché qualsiasi cosa della vita può essere chiamata, definita come tale. Un altro problema non di poco conto è come trasmettere l'esperienza, che va saputa comunicare ma anche recepire. Non sempre tutti sono in grado di comunicare la propria esperienza e talvolta ai più giovani non interessa raccogliere gli insegnamenti dei più maturi o dei più anziani. Ci sono giovani che possono rispondere a tono: "tu non sei più saggio sei solo più vecchio". Talvolta alcuni pensano di non aver bisogno né degli insegnamenti né degli insegnanti. In una vecchia bottega una volta c'era un cartello affisso: "non accetto consigli. So sbagliare benissimo da me". Inoltre spesso gli altri possono fingere di essere empatici, mentre in realtà sono totalmente indifferenti e non gliene frega niente. In fondo quante volte abbiamo l'impressione di essere incompresi e che gli altri non capiscano i nostri problemi? Poi anche nelle esperienze della vita c'è sempre qualcosa di incomprensibile e perciò di inesprimibile. Ecco perché a volte rinunciamo a esprimerci o sentiamo di non esserci espressi  adeguatamente. Non tolleriamo le persone che consideriamo sbagliate neanche se ci dicono cose giuste. Tolleriamo invece le parole sbagliate, fuori luogo, dette per rabbia, delle persone che noi consideriamo giuste. L'empatia totale non esiste. Non riusciamo in fondo a capire noi stessi  e a sentirci totalmente.  Alla persona più cara talvolta possiamo dire: "nessuno mi capisce come te" e talvolta veniamo ingannati, talvolta riconosciamo che la nostra stima e fiducia era mal riposta: eppure nonostante tutto cerchiamo altre persone perché siamo sempre in cerca di comprensione. Ci possono essere incomprensioni, blocchi comunicativi, indifferenza, equivoci che si frappongono tra noi e gli altri. Eppure tutte le persone malate o che provano dolore hanno bisogno degli altri, anche della loro semplice presenza. Per rielaborare un lutto abbiamo bisogno degli altri. Per superare un trauma o un dolore abbiamo bisogno degli altri. Per affrontare la morte e prepararci a essa abbiamo bisogno degli altri. Ci sono scrittori e poeti che vogliono esprimere il disagio o il vuoto, vogliono raccontare la loro storia, vogliono descrivere il loro mondo oppure vogliono crearne uno fittizio a immagine e somiglianza. Ci sono parole che sfidano il silenzio, l'assurdo, la morte. Ma forse è tutta vanità e allo stesso tempo è tutto vano, cioè inutile. Forse è meglio chi cerca di fare soldi vendendo i libri e ha solamente quello come unico fine. Ma forse cercare di condividere una parte di noi stessi è un bisogno primario dell'animo umano. Ci sono parole che urgono dentro di noi, che hanno bisogno di uscire, di essere dette e scritte: c'è in ognuno di noi un demone socratico di cui dobbiamo far partecipi gli altri. Allo stesso tempo abbiamo bisogno di leggere e ascoltare parole che ci diano conforto, che ci consolino,  che ci rendano partecipi di altri modi di sentire, che ci diano conferma di quello che già sapevamo, che ci facciano vedere il mondo con occhi nuovi, che trovino un nuovo modo di dire le stesse cose di sempre perché forse la vita  è fatta sempre delle solite cose, trite e ritrite (anche se c'è l'eterno divenire, anche se eternamente si rinnova la vita lo fa con le stesse dinamiche e le stesse leggi da che mondo è mondo). 

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