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Alessio CasalicchioOffline

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  • TELLUS – Ouverture

    Tellus è la dèa madre di tutti i luoghi del mondo che sono luoghi per l’uomo. È la dèa madre di tutti gli uomini vivi e non vivi. È nume del grande spirito della creazione, della genesi e della rinascita. In lei tutti noi nasciamo, moriamo e rinasciamo. Noi, le piante, gli animali.Servo, sacerdote e custode della dèa Tellus è il contadino, figlio e coltivatore della terra. Antichissi... Altro...

    Tellus è la dèa madre di tutti i luoghi del mondo che sono luoghi per l’uomo. È la dèa madre di tutti gli uomini vivi e non vivi. È nume del grande spirito della creazione, della genesi e della rinascita. In lei tutti noi nasciamo, moriamo e rinasciamo. Noi, le piante, gli animali.

    Servo, sacerdote e custode della dèa Tellus è il contadino, figlio e coltivatore della terra. Antichissimo è il canto del contadino, antico è il suo lamento e antico il suo presagio. Lavoratore per destino e filosofo per necessità, il contadino è da sempre simbolo di inattuale: respinto dal tempo che si ammoderna e svilito dalla veloce urbanità, esautorato sino all’inutilità dall’uomo zelantemente operoso, dimenticato dai grandi agglomerati sociali, il contadino è sopravvissuto alle robuste riforme delle strutture del mondo, alla corsa del progresso e della emancipazione, alla cinica desertificazione del pianeta, fino a diventare retaggio di una cultura scomparsa e, allo stesso tempo, eroe della resistenza dentro l’edonismo della glamour age.

    Per restare in vita, malgrado mutamenti e le trasformazioni che ne hanno minacciato l’esistenza, il contadino si è fatto più esile, più silenzioso, ha affinato il suo intelletto, si è affidato alla sua virtù di coltivatore della vita. È divenuto filosofo. Un giorno ha sollevato lo sguardo verso l’alto, spalancato gli occhi scuri e stanchi sulla grande apertura, verso quel cielo dischiuso che gli si stagliava davanti, e ha posto lo sguardo addosso all’orizzonte, addosso agli enigmi che aspettavano d’essere interrogati: i responsi di Tellus, magiche fantasticherie terrene, astrali, divine.

    Tellus teme sopra tutte le cose il deserto. Per il contadino non esiste cosa peggiore del deserto. Somma avversità, il deserto è abbandono di ogni possibilità di vita, è annientamento del miracolo, affermazione della nullità. Il deserto è nomadismo obbligato, disorientamento, superficie senza fondo. Il deserto è fallimento della vita: esso è contrario alla vita perché dalla sabbia non può sorgere la vita. Il deserto è un aggregato di frantumi destinati a rimanere per sempre slegati l’uno dall’altro: il deserto è quanto di meno fecondo esista in tutto l’universo.

    Unico tra gli uomini, il coltivatore della terra è stato eletto dagli dèi quale ultimo paladino della vita che sa radicarsi in profondità. La sua visione è possente: nessuno al pari del contadino ha la divinatoria cognizione della vitalità del suolo. Egli, impavido, si impregna degli scompigli che giungono dall’abisso, cattura il fremito quando attraversa la crosta continentale, assorbe i sussulti tellurici cavernosi e sconfinati; li accoglie magnanimamente in sé, li mastica e rimastica alla maniera di un ruminante, se li tiene nascosti dentro nelle viscere, li lascia migrare su e giù per i precordi e infine li assorbe nei dendriti dei neuroni. Ne fa in questo modo come di grano pane, ne fa sapere, ne fa canto. Egli canta il suo verso con il coraggio di chi abita la dimora del quasi-vero.

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