Girasoli Viola
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Vita e avventure di un piccolo Rom torinese che gira il mondo in cerca di un posto dove fermarsi, un luogo che gli appartenga..
Puglia, 1996. Anna Lafortezza, quasi sessantenne, fa ritorno a Tenuta Ornella, una casa dove da giovanissima, dopo essere scampata alla guerra, ha lavorato come infermiera privata. La casa è in rovina, abbandonata alla pioggia e al tempo che scorre impietoso. Anna si prodiga subito per ripulirla dalla muffa e dal sudiciume, ma le ombre dei ricordi si allungano sul suo cuore, riportando nel presente tanti momenti significativi: la vita al convento con le orfanelle, la scelta di non prendere i voti, la scoperta dell'amore al rifiuto dello stesso. Perseguitata in ogni angolo della casa dai ricordi, si rende conto che l'apatia, la disconnessione emotiva che l'hanno aiutata a vivere lontana da Tenuta Ornella, è solo un modo per difendersi e non soffrire. Anna ritorna in un viaggio liberatorio in se stessa, alla scoperta di un amore lasciato indietro e all'accettazione delle proprie scelte. Ma soprattutto ritrova il coraggio di tenere vivi i ricordi e di prendersene cura.
Erano a casa, un pomeriggio di sole cocente, la sua piscina in giardino che diventava sempre più calda, scorta di birra in frigo. Giorgio si guardava indietro ed era quasi felice. Aveva faticato parecchio per comprare quella villa pensando di passarci il resto della propria vita, possibilmente in bella compagnia. Di donne ne aveva avute in modo discreto ma continuativo, storie lunghe, brevi, amanti, lacrime e delusioni, la giostra della vita in cui quasi tutti salgono e qualcuno si gusta ogni fermata riuscendo a risalire. Poi era arrivata lei, Sonia, la sua bellissima moglie. Abbronzata era ancora più magnetica, si immergeva con quel costume nero e sottile, una sirena dalla pelle color ambra, occhi castani capace di incantare chiunque, lui compreso. Avrebbe voluto farle mille cose, lì sul momento, senza pensarci su. Invece ormai si limitava ad un semplice:” sei bellissima anche oggi”. Lei rideva e annuiva, tuffandosi in acqua. La guardava muoversi sinuosa in mezzo a quell’azzurro, bramando quella pesca meravigliosa che ormai era solo un lontano ricordo. I primi tempi in quella piscina avevano vissuto amplessi dalle mille e una notte, tanto che le poche volte in cui ci entravano per fare solo il bagno pareva ad entrambi un qualcosa di surreale, normalmente non indossavano neanche i costumi. Ma oggi, dopo cinque anni di matrimonio, Sonia era cambiata. Meravigliosa sempre, solare meno. “Una statua senza espressione con il cuore grigio”, pensò lui. Rimuginò velocemente su tutto questo, e poi entrò in soggiorno. Solo verso le sette di sera ricordò che in casa mancava praticamente tutto e c’era bisogno di fare la spesa, le diede un veloce ed insipido bacio sulla fronte e poi prese le chiavi della macchina, andò al supermarket più vicino e prese le provviste. Sua moglie era in camera a guardare la televisione e se non fosse stato per il frettoloso saluto quasi non si sarebbe accorta della sua assenza. Nello specchio del supermarket l’uomo si vedeva ancora piacente, barba curata, un fisico robusto ma muscoloso, nel complesso era un tipo attraente. Portava ancora le ciabatte che usava per ciondolare dal divano al letto, ma tanto in paese tutti lo conoscevano come uno stimato e benestante architetto, nessuno avrebbe storto il naso davanti a quella caduta di stile, peraltro enormemente saldata dal conto in banca generoso e dai modi chiaramente altezzosi. Camminava frettolosamente calpestando con vigore i ciottoli del vialetto immaginandosi già in pigiama e su youporn, ormai sua unica forma di vita sessuale. E mentre si divideva fra pensieri e passi, un dolore fitto e acuto gli lacerò un dito del piede, dovette fermarsi all’istante. buio del giardino lo confuse, non riuscì subito a capire cosa potesse avergli provocato quel dolore fitto al piede, ma poi, poso le borse a terra e vide con chiarezza cosa fosse accaduto. Un pezzo di vetro si era conficcato nella pianta del suo piede. Ma da dove veniva? Un angolo della porta vetro era forato. Entrò di corsa, per terra c’erano alcuni bicchieri, macchie d’acqua nel tappeto, l’angoscia prese il sopravento sulla curiosità. “Giorgio”, sentì debolmente pronunciare il suo nome, e poi li vide. In quel momento, davanti a lui, tre uomini sorridenti e vagamente calmi lo fissavano, come nel peggior film horror, di quelli in cui i protagonisti muoiono, sempre. Sonia stava lì, ancora svestita, con un copricostume trasparente ed i capelli sciolti, vicino a lei il tizio più minaccioso, un trentenne alto e barbuto, dalla tasca della sua tuta rossa spuntava qualcosa, era una pistola. Un turbine di pensieri intensi e orribili lo attraversò all’istante. E mentre sudava freddo e cercava lo sguardo di lei, notò che la spallina della vestaglietta le era scivolata, senza aguzzare troppo la vista ora le si poteva quasi scorgere un capezzolo. Giorgio avrebbe voluto avvicinarsi e tirare su quel laccio impenitente, o tirarlo giù e baciarla, come quando vedevano insieme un film nel divano e lui con dolcezza le accarezzava la canotta e ci giocava, ma ora era diverso. Decisamente non era il momento di evidenziare un qualcosa che probabilmente quei delinquenti avevano già notato, con pacatezza rivolse la sua attenzione altrove, ma forse era già troppo tardi . Quello che doveva essere il capo dei delinquenti lo fissò per un momento, e in quella frazione di secondo, che si trasformò in un secolo, Giorgio ebbe l'assoluta certezza che quell'uomo stesse desiderando la stessa identica cosa che avrebbe voluto lui.
Continua...
“Quando avevo cinque anni ogni domenica con i miei genitori andavamo nella casa di famiglia a Montefiridolfi, frazione di poche anime contadine su un cucuzzolo in Chianti. Montefiridolfi era un bucolico paesino campagna vicino alla metropoli di Mercatale Val di Pesa, non ancora balzata nelle prime pagine della cronaca a causa delle vicende del mostro di Firenze. Da Firenze per raggiungere Montefiridolfi servivano una quarantina di minuti di macchina, per me era un viaggio vero. Adoravo andare nella grande casa colonica di famiglia dove c’era la libertà, la Bmx da cross e le ciliegie da rubare sugli alberi. C’erano i miei cugini, i nonni e soprattutto c’era la totale retrocessione di noi bambini allo stato selvaggio. Durante il viaggio da Firenze a Montefiridolfi me ne stavo seduta nei sedili posteriori della Lancia Beta di mio babbo, senza cinture che a quei tempi non usavano proprio, rigorosamente seduta nel centro per guardare la strada, a me la macchina mi ha sempre dato noia. Con i miei genitori ci divertivamo a scegliere le canzoni alla radio. Era prima dei cd, prima di SPOTIFY e nella nostra macchina c’era la radio con la ruzzola per scegliere le stazioni radio. Era bellissimo quando dopo tante attese ti capitava di ascoltare una canzone che ti piaceva, cosa che a me non capitava quasi mai. Avevo appena cinque anni e conoscevo giusto le canzoni dei cartoni animati, Jeeg Robot d’acciaio per eccellenza e come cantanti da grandi mi piaceva un sacco Adriano Celentano, mia mamma era fissata con Azzurro e il Ragazzo della via Gluck. I miei genitori erano più fortunati nel toto-canzoni, a parte le canzoni italiane, da Dalla a Guccini, da Morandi a de Gregori, da Baglioni a Vecchioni - mio zio ci ha frantumato le palle per anni con Samarcanda - amavano anche i Beatles i Rolling Stones come cantava Morandi, altro mito di mia mamma peraltro. Poi un pomeriggio, non saprei dire con esattezza l’anno ma suppongo nei primi anni 80, mentre tornavamo dalla campagna passarono in radio una canzone e mio babbo alzò subito il volume. “Silvia! Ascolta le parole di questa canzone!”
Mi disse. “Babbo ma questo è quel Vasco Rossi!”
Lo odio! Ha una voce orrenda e poi lo sai che lui è un drogato?”
Ecco “Vasco ha gli occhi azzurri” di Silvia Mazzocchi edito da Edizioni Il Foglio, in distribuzione da Maggio 2024.
Era solo una bimba di cinque anni quando suo babbo Giuliano le fece ascoltare “Silvia”. Buffo pensare che lei non voleva proprio saperne di ascoltare “quel Vasco Rossi là”! Suo babbo le ripeteva che doveva ascoltare le parole di quella canzone perché quella “Silvia” era come lei, una bambina che arrivava sempre tardi e stava per diventare grande.
Silvia cresce ma prima di trovare la fede nel giusto mito attraversa gli anni 80’ accompagnata dalla musica pop di Madonna e dall’amore per John Taylor dei Duran Duran ma è grazie al suo primo fidanzatino che a 13 anni scopre Il Blasco” e lui e la sua musica diventano una droga per lei.
L’emozionante libro di Silvia Mazzocchi attraverso una fotografia generazionale, ripercorre non solo il successo di un mito come Vasco Rossi, ma permette al lettore di seguirla nella sua straordinaria esperienza da fan: fatica, sudore, la corsa per la transenna in prima fila, la stanchezza, una passione divorante capace di azzerare ogni esigenza fisica.
Questo, il racconto di un testo che la Mazzocchi regala ai suoi lettori, attraverso una narrazione sincera e diretta. La sua è una ricostruzione altresì epocale, attraverso le mode degli anni 90’ e dei primi anni 2000.
Una cronologia temporale che la vede protagonista di numerosi concerti sparsi per l’Italia. Un Vasco frizzante e dissacrante, poi pronto a lasciare la vita da rockstar per una vita più ordinaria. Una fascia temporale che vede la stessa autrice perdersi nel vuoto interiore, disciolto solo dall’amore per la scrittura e la musica.
Un testo che si stringe alla forma diario, e che permette attraverso una narrazione colloquiale, ai lettori di ogni stregua di affezionarsi ad un mito della musica che ancora oggi fa la storia.
Un racconto sincero, attraverso il quale, l’autrice promette l’identikit di “un suo Vasco”. Un’attesa lunga e faticosa, alla volta del prossimo concerto. Un libro che apre le braccia al tempo, che partendo dagli anni 80’ ripercorre quarant’anni di una passione infinita, che vede Silvia Mazzocchi stretta per sempre al suo Vasco.
Si può raccontare una passione. Forse No. Perché una passione si vive, si respira, si mastica a grandi morsi e raccontarla è difficile. Eppure in questo libro l’autrice con una dose infinita di incoscienza e follia ci ha voluto provare. Silvia Mazzocchi vuole portarvi dentro la sua passione, forse illogica e insana, ma quale passione degna di questo nome non lo è? Cosa serve quindi per leggere questo libro? Serve il cuore, solo quello. Lasciate ogni buon senso o voi che entrate e lanciatevi, rigorosamente senza paracadute, dentro questa storia. Questa è la domanda che ci pone l’autrice: "Ma voi, l’avete mai seguito un cantante per quarant’anni? Avete mai provato una passione vera, carnale e illogica per lui? Tanto grande da scriverci un libro? Io sì."
Info biografiche:
Silvia Mazzocchi classe 1975. Irvi75 nel mondo dei social network.
Professione: Ha un contratto a tempo indeterminato con l’ansia, ma mira a far carriera nel mondo della calma. Sport praticati: è medaglia d’oro olimpica nel lancio della polemica e argento nel triplo salto carpiato della crisi di nervi. Lingue parlate: il sarcasmo. Studia da anni la diplomazia, ma non riesco proprio a farmela piacere.
Dipendenze: burro di arachidi e gorgonzola. Come combatte i momenti di crisi: aggiunge al carrello. Pregi: Parla troppo, scrive troppo, beve troppo, fuma troppo e dice un sacco di parolacce, ma ho anche dei difetti. Sogno nel cassetto: il folletto, ma per ora ha investito in altri beni di lusso come la psicoterapia. Religione: è atea ma dal lontano 1988 prega il suo Dio. Il sui Dio si chiama Vasco. Vasco Rossi.
Tellus è la dèa madre di tutti i luoghi del mondo che sono luoghi per l’uomo. È la dèa madre di tutti gli uomini vivi e non vivi. È nume del grande spirito della creazione, della genesi e della rinascita. In lei tutti noi nasciamo, moriamo e rinasciamo. Noi, le piante, gli animali.
Servo, sacerdote e custode della dèa Tellus è il contadino, figlio e coltivatore della terra. Antichissimo è il canto del contadino, antico è il suo lamento e antico il suo presagio. Lavoratore per destino e filosofo per necessità, il contadino è da sempre simbolo di inattuale: respinto dal tempo che si ammoderna e svilito dalla veloce urbanità, esautorato sino all’inutilità dall’uomo zelantemente operoso, dimenticato dai grandi agglomerati sociali, il contadino è sopravvissuto alle robuste riforme delle strutture del mondo, alla corsa del progresso e della emancipazione, alla cinica desertificazione del pianeta, fino a diventare retaggio di una cultura scomparsa e, allo stesso tempo, eroe della resistenza dentro l’edonismo della glamour age.
Per restare in vita, malgrado mutamenti e le trasformazioni che ne hanno minacciato l’esistenza, il contadino si è fatto più esile, più silenzioso, ha affinato il suo intelletto, si è affidato alla sua virtù di coltivatore della vita. È divenuto filosofo. Un giorno ha sollevato lo sguardo verso l’alto, spalancato gli occhi scuri e stanchi sulla grande apertura, verso quel cielo dischiuso che gli si stagliava davanti, e ha posto lo sguardo addosso all’orizzonte, addosso agli enigmi che aspettavano d’essere interrogati: i responsi di Tellus, magiche fantasticherie terrene, astrali, divine.
Tellus teme sopra tutte le cose il deserto. Per il contadino non esiste cosa peggiore del deserto. Somma avversità, il deserto è abbandono di ogni possibilità di vita, è annientamento del miracolo, affermazione della nullità. Il deserto è nomadismo obbligato, disorientamento, superficie senza fondo. Il deserto è fallimento della vita: esso è contrario alla vita perché dalla sabbia non può sorgere la vita. Il deserto è un aggregato di frantumi destinati a rimanere per sempre slegati l’uno dall’altro: il deserto è quanto di meno fecondo esista in tutto l’universo.
Unico tra gli uomini, il coltivatore della terra è stato eletto dagli dèi quale ultimo paladino della vita che sa radicarsi in profondità. La sua visione è possente: nessuno al pari del contadino ha la divinatoria cognizione della vitalità del suolo. Egli, impavido, si impregna degli scompigli che giungono dall’abisso, cattura il fremito quando attraversa la crosta continentale, assorbe i sussulti tellurici cavernosi e sconfinati; li accoglie magnanimamente in sé, li mastica e rimastica alla maniera di un ruminante, se li tiene nascosti dentro nelle viscere, li lascia migrare su e giù per i precordi e infine li assorbe nei dendriti dei neuroni. Ne fa in questo modo come di grano pane, ne fa sapere, ne fa canto. Egli canta il suo verso con il coraggio di chi abita la dimora del quasi-vero.
La relazione tra James Joyce e Nora Barnacle iniziò il 16 giugno del 1904, giorno del loro primo appuntamento: una data che oggi coincide con il "Bloomsday", la festività istituita in onore dell'autore irlandese. L'appassionato legame con Nora, destinata a diventare amante, musa e moglie, fu fonte di ispirazione per innumerevoli dettagli descritti nelle opere dello scrittore dublinese. In questo volume viene riportata una selezione della loro corrispondenza; attraverso le missive è possibile ripercorrere alcune tappe di un rapporto intenso e senza tabù. Piccole e grandi gelosie, frammenti di vita condivisa, nostalgie e attese; e l'amore, naturalmente, declinato nelle prospettive che oscillano tra la dimensione eterea e l'erotismo spinto.
[Fine luglio 1904]
60 Shelbourne Road, Dublino
Mia particolarmente imbronciata Nora, ti avevo detto che ti avrei scritto. Ora scrivimi tu e dimmi che diavolo avevi l’altra sera. Sono sicuro che qualcosa non andava. Mi sembrava tu fossi dispiaciuta per qualcosa che non era accaduta – che sarebbe cosa molto da te. Ho cercato di consolare la mia mano da allora ma senza riuscirci. Dove sarai sabato sera, domenica sera, lunedì sera, dato che non potrò vederti? Adesso, adieu, carissima. Ti bacio quella fossetta miracolosa sul collo, il Tuo Cristiano Fratello di Lussuria.
J.A.J.
Quando tornerai di nuovo lascia i bronci a casa – pure i corsetti
Ecco “Le lettere a Nora” di James Joyce, libro a cura di Andrea Carloni, edito da Alter Ego Edizioni, in distribuzione da Maggio 2024.
È lo scambio epistolare l’espediente che Andrea Carloni utilizza nella sua realizzazione del testo. Il libro curato e tradotto da quest’ultimo, presenta una serie di lettere scambiate tra Joyce e Nora Barnacle, il cui appuntamento tenutosi il 16 Giugno, ispirerà alcuni eventi dell’opera Ulisse. Un testo moderno e contemporaneo, capace di accompagnare il lettore nella ricostruzione veritiera di personaggi ed eventi. Nora non è l’angelo del focolare, ma una donna voluttuosa, famelica, ribelle ed emancipata. Ella intrattiene con Joyce un rapporto, considerato per l’epoca dei fatti, infruttuoso e scandaloso. Una relazione che si concretizzerà ben dopo gli atti fisici in un matrimonio. Un rapporto viscerale, diretto, dove Joyce vede la sua musa “in posizioni grottesche, virginali, languide” e in cui ordina “concediti a me”. Una visione della vita ben precisa, quella presentata da Joyce e che Carloni cura con estrema efficacia. Una vita che svia da tabù e costrutti, gettandosi nell’esistenza libera, dove navigare a vele scoperte è la regola principale.
Un libro, quello curato da Carloni, capace di presentare le opere principali dello scrittore dublinese, e al tempo stesso ricostruire porzioni di tempo essenziali nella conoscenza di un autore senza tempo.
Sesso, debiti, malattie, scandali, delusioni, amore: un semplice e contorto distillato di vita, che a poco a poco mostra le sue parti nascoste, mostrando uno spettacolo contemporaneo e crudo, seguendo la scia di uno degli artisti di Dublino più famosi al mondo.
La relazione tra James Joyce e Nora Barnacle iniziò il 16 giugno del 1904, giorno del loro primo appuntamento: una data che oggi coincide con il "Bloomsday", la festività istituita in onore dell'autore irlandese. L'appassionato legame con Nora, destinata a diventare amante, musa e moglie, fu fonte di ispirazione per innumerevoli dettagli descritti nelle opere dello scrittore dublinese. In questo volume viene riportata una selezione della loro corrispondenza; attraverso le missive è possibile ripercorrere alcune tappe di un rapporto intenso e senza tabù. Piccole e grandi gelosie, frammenti di vita condivisa, nostalgie e attese; e l'amore, naturalmente, declinato nelle prospettive che oscillano tra la dimensione eterea e l'erotismo spinto.
Info biografiche
BIO AUTORE (James Joyce)
James Joyce è certamente uno dei più grandi autori del XX secolo e le sue opere sono tra le pietre fondanti della moderna letteratura. Nonostante ciò, il suo genio non venne subito riconosciuto. Scelse sin dalla gioventù una vita di esilio, caratterizzata da ristrettezze economiche e una costante tendenza alla precarietà. La sua frequentazione fuori dal matrimonio con Nora Barnacle fu per i tempi scandalosa e gli atteggiamenti che ebbe nei confronti della sessualità, della politica e del cattolicesimo risultarono sempre molto complessi e controversi. Scrittore cosmopolita, mantenne però un fortissimo legame territoriale con Dublino, sua città natale, in cui ambientò quasi tutti i suoi scritti, fra i quali la raccolta di racconti Dubliners e Ulysses, romanzo fondamentale nella svolta modernista della storia letteraria del Novecento.
BIO CURATORE/TRADUTTORE (Andrea Carloni)
Andrea Carloni è nato nel 1977 a Roma, dove attualmente vive. Ha pubblicato la raccolta di racconti Chi mai in qualche dove (Caravaggio, 2019), il romanzo Lissy è stata qui (Leonida, 2022), la traduzione di Musica da camera di James Joyce con postfazione di Enrico Terrinoni (Castelvecchi, 2022) e i componimenti sperimentali FemminiciDio e altri stupri (Amazon, 2024). Conduce su YouTube e Spotify il canale/podcast “Ritratto Di Ulisse” con approfondimenti e interviste a esperti di Joyce. Si occupa di poesia e traduzione come redattore in "Laboratori Poesia" (Samuele Editore) e pubblica articoli, interviste, traduzioni, poesie su lit-blog come Nazione Indiana, Atelier Poesia, Limina, Poetarum Silva, Clandestino, Equi-Libri Precari e Fogli Bianchi.
I giorni passano e si rincorrono l'uno con l'altro senza posa alcuna. Ci sono momenti che sembrano scanditi dalla sola monotonia del tempo, quando esistere e sopravvivere diventano trama e odissea della stessa storia. Altri, invece, anelano a quei fugaci istanti di libertà capaci di riconoscere alla vita la più preziosa accezione.
Questa è la storia del momento in cui la vita di Karl cambiò per sempre.
Un racconto nostalgico come la più dolce elegia che veste il tempo, la vita e noi.
Amore e soprattutto dolore, crescita e perdita... solo due delle infinite dicotomie che il mio primo romanzo vuole farvi scovare.
Ecco il booktrailer del mio primo romanzo "Falling Down- Mai più sola".
La colpa che sottende l'epifania nel risalire la china intercettata come ostile, non canta le parole che scendono silenti dagli sguardi di una codarda.
La discrepanza dovuta certo al clima di desolazione assoluta in termini individuali e,sicuramente dopo aver immediatamente avvertito la repentina chiusura di porte con tanto di blocchi sociali.
Certo è che l'immagine disgregante non sortisce affatto l'effetto di una qualsivoglia sequenza finale di stabilità, servirebbe spiegare altresì molte cose tra cui l'asciutto movimento analogo alle processioni di una colonia di formiche fuoriuscite dal ginepraio grazie all'intervento di una badilata sulla montagnola di terra putrida.
A prescindere dai momenti annichilanti dell'intera programmazione, riferita in tal senso, si dovrebbe fare lo sforzo di una masochista a cui il suono della frusta, evoca degli esercizi che non sono affatto esempi da divulgare come mera decisione personale.
La voce, tenuta in un' ambiente protetto dagli sguardi malevoli della piaggeria da inquisizione, fatica a venir fuori,come sarebbe una qualsiasi situazione di ingerenza da parte delle insulse manfrine ,smancerie che invadono in tutte le successive parti nel valutare un contesto specifico e ripetitivo.
“Ho chiuso con te” edito Guida porta la firma della scrittrice Emanuela Esposito Amato. Narrato attraverso tre punti di vista che si alternano, ovvero quello di Lola, quello di Alessandro, quello della voce narrante del tempo di Caivano che s’intromette a raccontare il passato delle gemelle, il libro ha per protagoniste Lola, che non ha memoria della tragedia familiare, e Nina che invece ne ha, e forse è questo il motivo che l’ha spinta a diventare la donna che è adesso.
Un romanzo che va a esplorare e ad affrontare i temi legati all’ambiente familiare e la ricerca della propria identità. Un libro che attrae e incuriosisce i lettori sin dalle prime pagine, un romanzo che va ad avvicinarsi anche al mondo del thriller e del giallo grazie alla tensione e al pathos che trasmette. L’ambientazione è quella di Caivano, una zona di Napoli vittima di degrado e di abbandono. Le protagoniste sono Lola e Nina, due gemelle che a causa di un evento traumatico si vedranno costrette a dividersi.
Lola andrà a Parigi perché vuole diventare importante nel mondo della moda, mentre Nina decide di restare qui a Napoli e di dedicarsi all’arte. La vita di Nina verrà stravolta da un incontro. Cosa succederà a entrambe? Un romanzo introspettivo che va a scavare non soltanto nella vita delle protagoniste ma anche in quella degli stessi lettori. Il passato e il presente vanno a intrecciarsi in questa lettura creando curiosità nel lettore e soprattutto spingerà a chiedergli sempre: “Cos’è che ora accadrà”? Uno stile fluido, coinvolgente che viene caratterizzato da un ritmo veloce e soprattutto carico di tensione e adrenalina, quel tocco in più che servirà proprio per affrontare il rush finale della lettura e restare coinvolti e colpiti dal finale. Non soltanto quindi il racconto della vita delle due protagoniste, di Napoli, la figura di Alessandro e la tematica del narcisismo, presente all’interno del romanzo anche segreti legati alla sfera della famiglia.
“Quando ci hai chiamati a raccolta, con quella voce impostata di chi ha qualcosa di fondamentale da dire, ho pensato al peggio. E non sbagliavo. Gli zii sono andati in estasi. Complimenti, promesse di sostegno, strette orgogliose”.
Ho chiuso con te, è un romanzo dalla struttura narrativa ben articolata che richiama alla mente L’amica geniale di Elena Ferrante, le sue due protagoniste, ma qui non c’è nessun mistero legato all’identità dell’autrice.
Anno 2111. Un'immensa città-isola governa sugli uomini di una parte d'Italia. Ma che fine hanno fatto le donne? Rivolto agli appassionati del genere, Andropoli proietta alcuni aspetti della nostra Italia - dal buon cibo alla corruzione, dalla passione per il calcio al crimine organizzato - in una dimensione distopica, mostrando, con crudezza e una piccola punta d'ironia, vizi e virtù di un popolo che non cambierà mai.
“Ho chiuso con te” edito da Guida porta la firma della scrittrice Emanuela Esposito Amato. Un romanzo coinvolgente che va a esplorare e ad affrontare i temi legati all’ambiente familiare e la ricerca della propria identità. Un libro che attrae e incuriosisce i lettori sin dalle prime pagine, un romanzo che va ad avvicinarsi anche al mondo del thriller e del giallo grazie alla tensione e al pathos che trasmette.
L’ambientazione è quella di Caivano, una zona di Napoli vittima di degrado e di abbandono. Le protagoniste sono Lola e Nina, due gemelle che a causa di un evento traumatico si vedranno costrette a dividersi. Lola andrà a Parigi perché vuole diventare importante nel mondo della moda, mentre Nina decide di restare qui a Napoli e di dedicarsi all’arte. La vita di Nina verrà stravolta da un incontro. Cosa succederà a entrambe? Un romanzo introspettivo che va a scavare non soltanto nella vita delle protagoniste ma anche in quella degli stessi lettori. Il passato e il presente vanno a intrecciarsi in questa lettura creando curiosità nel lettore e soprattutto spingerà a chiedergli sempre: “Cos’è che ora accadrà”?
Uno stile fluido, coinvolgente che viene caratterizzato da un ritmo veloce e soprattutto carico di tensione e adrenalina, quel tocco in più che servirà proprio per affrontare il rush finale della lettura e restare coinvolti e colpiti dal finale. Non soltanto quindi il racconto della vita delle due protagoniste, di Napoli, la figura di Alessandro e la tematica del narcisismo, presente all’interno del romanzo anche segreti legati alla sfera della famiglia.
“Quando ci hai chiamati a raccolta, con quella voce impostata di chi ha qualcosa di fondamentale da dire, ho pensato al peggio. E non sbagliavo. Gli zii sono andati in estasi. Complimenti, promesse di sostegno, strette orgogliose”.
Quanti mondi è possibile attraversare, fare nostri, sentire, veder passare, impossibili da fermare, semplicemente osservando il panorama che scorre lungo il finestrino di un pullman? Sarai stato dentro a un'intera playlist, a ogni viaggio, che non è poi così lungo, eppure è già così "tanto"; "Non posso dedicarti neanche un pensiero, titolo di coda dei sogni che chiamo alla mente quasi una mattina sì e una no, tu che ti allunghi su di me per respirare lo spirito del giorno che questa volta affronteremo l'uno accanto all'altra, e che sfida averti accanto adesso. La tua mente è un intero appartamento da svuotare dalla convinzione che tutti i pezzi che potresti avere non potranno accoglierti mai al tuo ritorno; Io sono uno di quelli, che lasci alla mia vita sapendomi nella tua, come sei tu anche. Anche le ondine, tutte piene di rombi scomposti perfettamente contigui e modellabili ma che non si slegano mai, quelle le ho viste in un posto che tutti ti abitano, ma che solo io so. Ti costerò carissima la decisione di non avere atteso il tuo tempo dell'amore: ogni bacio che ricevi è il senso della passione che stavi cercando e hai amato anche quello, soprattutto quello, che era affezione e pelle, e ti si perfino premurato di amare ciò che hai ricevuto ma se è stato amore io non posso dirlo, io non posso crederlo, e neanche posso convincermene: l'amore è una polvere gravitazionale, non va mai via, nemmeno se ci soffi sopra con tutto il fiato che hai o se te ne dimentichi distratto nel corso dei giorni che non si arresta e non puoi fermare, e questo, esattamente questo mi fa paura, sapere che fra vent'anni, tu sarai ancora lì a sollevare la cornetta del telefono di una cabina pubblica sopravvissuta alle ruggini del tempo e ti aspetterai l'amore, tutto l'amore possibile, e certamente anche un cornetto e una tazza media fumante, tè per te e cappuccino per me, all'ora che preferisco e nel posto più tranquillo lì intorno, nella speranza che piova, tanto anche se fa caldissimo, stare vicini è la ricompensa per averci creduto, e la certezza che non potrà esserti negata, fin da subito, sarà la mia perfetta esimente. Se non avrai dato via, completamente disperso almeno la metà più uno di tutte le tue incontrovertibili ragioni, non aspettarti l'amore, non aspettarti un Sole rimasto dietro le nuvole per un quarto di vita: non potrà mai succedere come vorresti. <<Per me, potremmo amarci subito. Tu hai ... altri impegni?>>. <<Ho avuto una vita e ce l'ho ancora, anche adesso che ti ho incontrato>>. <<Non mi hai incontrato, ci siamo ritrovati>>. <<E? Dovresti sforzarti di aggiungere qualcos'altro, tipo tutte le volte che hanno solo detto di amarti, ti hanno intrappolato in un mondo sensazionale fatto di sole sensazioni, che puntualmente poi si sono risolte in vapore e andandosene non hanno creato neanche un temporale e tu ti sei spinto così oltre da condividere comunque l'amore>>. <<E' l'unico amore che ho conosciuto e ho amato con tutto me stesso>>. <<E hai affidato a loro i tuoi respiri puri, quelli incontrollabili, le tue ansie e le hai amate tutte e anche tutte insieme, perché tu non sai smettere di amare e le ami ancora>>. <<Non si smette di amare, anche se è finita, e per qualcuna potrebbe anche essere finito il viaggio della sua intera esistenza, e questo me l'hai insegnato tu: anche tu ami ancora, ami lui e ami anche me, nello stesso modo diverso che non sei mai riuscita a capacitarti potesse esistere e convivere nel cuore umano. C'è un amore assopito e uno che arde e vive>>. <<C'è anche un tempo finito per ognuno di essi, e non ho mai vissuto amori contemporanei>>. <<Il cuore confonde sempre tempi e momenti, ma tu stai lottando contro te stessa, contro di me non c'è niente da vincere, se non i miei sentimenti imperfetti>>. <<I sentimenti sono perfetti, l'amore è completo, nasce così, e non ha bisogno di interventi regolatori né di consigli e soprattutto non è suscettibile di indecisione>>. <<Ma la mia vita sì, e tu eri solo una ragazzina divisa tra passato e futuro, il primo che non avevi accettato e il secondo che ti ha fatto sempre paura e io in nessun posto>>. <<Io sognavo un amore giusto>>. <<Una eccezione di amore allora: oggi, tutti hanno un prima e un dopo, e tu ti troverai spessissimo in mezzo e dovrai scegliere senza poterti rifiutare di farlo>>. <<Se mi avessi scelto, avresti violato la tua regola regina: amare solo chi ami. Può sembrare una contraddizione, ma per te no: tu sei piena di si e no insieme, sono il tuo connotato di riconoscimento: sì, per questo, questo e quest'altro, no, per tutto il resto, e i forse li devi capire tu, cioè io. Questo adoro di te. Non lasci esistere niente che sia incorreggibile, aggiustabile con gli occhi del tuo amore perfetto agli occhi tuoi, e se si può correggere, allora sbagliare è più di un buon motivo. L'amore che non sbaglia mai perché di fatto non può sbagliare: se ami, non sbaglierai mai, anche se hai toppato sulle ordinazioni. Mi auguro che il gettone della tua telefonata ci faccia restare in linea ancora un po': desidero sciorinarti tutti gli argomenti di cui sono capace perché tu possa lasciarmi amarti; Ti amo. Sì, lo so che è spiazzante>>. <<Mi ha spiazzata quando hai capito che ho fatto di tutto per impedirti di dirlo: non puoi dire qualcosa che non hai mai conosciuto, perché io, pur sapendolo, finisco per crederti, per credere a qualcosa che non esiste, ma dentro di me so benissimo che in realtà il tuo non è amore. Tu, in quello, cerchi una sicurezza e la senti solo quando ti si dona l'indonabile, ma quando lo si cerca da te, non se ne trova neanche un po', e si inizia a sentire un freddo gelido, il freddo che scompone le tende della stanza, senza che dopo aver chiuso le finestre il calore torni a riscaldare l'ambiente. A stringere questa cornetta sono questo, un freddo gelido che soffia fin verso di te e che tu non puoi riscaldare, neanche se io lo desiderassi con tutta me stessa amandoti. Non ti ho scelto perché non potevo amarti, non potevo e non posso neanche adesso. Il gelo colpisce basso, tutt'intorno a me, si è impadronito di me, custodisce una temperatura di 180° gradi Celsius all'ombra, ciò che ero, l'energia creatrice che faceva da propulsore al mio mondo, prima della mia personalissima tempesta. Se ti avessi lasciato amarmi, sai con che uragano avresti dovuto batterti? Il mio e il tuo interiore insieme. Ti avrei fatto così male che il dolore chiuso dentro di me mi avrebbe tolto perfino quello che mi ha lasciato tenere a caro prezzo e solo per un po'; Mi fa male anche solo dirti tutto questo.>>. <<Avrei desiderato tantissimo che tu mi avessi lasciato provarti che io sono il primo guerriero del cuore: puoi distruggermi soltanto tu. Odiavi il fatto che ti aspettassi, odiavi saperlo e sentirtelo dire, ma è così. Il tuo modo perfetto di amare è il mio bisogno; Il mio modo imperfetto di amare desidera essere guarito. Ho amato e sono stato amato e non ho mai chiesto che il mio bisogno venisse curato da chi sapevo non avrebbe potuto farlo. Oggi, mi basta questo, dirti che ti amo, dirti che la mezzanotte è sempre un orario magico in cui posso sempre incontrarti, è li che ti ho incontrata in tutti i miei sogni>>. <<In quel senso pieno di contraddizioni, ti ho amato anch'io>>. <<Se adesso ti chiedessi una notte, so che non sarebbe una richiesta che potrebbe aiutarmi davvero: non potrebbe mai bastarmi, però in tanti film una notte è sufficiente, eppure so anche che per te sarebbe già troppo... quindi, cosa posso chiederti?>>.<<Di dirti che ti amo adesso, ad esempio, prima ho usato il passato>>.<<Ho già sbagliato a chiedertelo una volta, non sognerei mai di rifare l'errore ancora>>.<<Te lo ricordi?>>.<<La presunzione è una delle mie ragioni inoppugnabili, senza l'amore. Oggi, ho un po' di tatto in più. Abbiamo finito il tempo, ma adesso so cosa dirti: avrei voluto meritarmi il tuo amore, sconfiggere le tue paure, una volta ho perfino pensato di chiederti di sposarmi, ma quello l'avevo rubato alla scena di un film in cui ti ho immaginato tutto il tempo: sono queste le cose che mi fregano, l'immaginarti ovunque: non ci siamo mai baciati, ma mi sembra che tra noi sia già successo il più inspiegabile amore, tutto l'amore che può esistere e per tutto questo tempo. Non ho idea di come sia stato possibile, sei un film d'amore e io non avevo mai neanche voluto pensare alla possibilità di un rosa; Sei un rosa che aleggia, perfino quando fisso il camino stando attento a non scottarmi>>.<<Ho sempre sognato una notte con te, e saresti pieno di regole e vincoli su tutto ciò che non potresti fare - e la prima è che non puoi avvicinarti a me -, e so che dirti questo è già un errore, so che dirti che muoio dalla voglia di stringerti, soltanto stringerti, è già un immenso errore ma...>>.<<Se non fossi a più di non so quanti Km di distanza sei da me, e fossi dietro di te, sarebbe bellissimo dirti di voltarti... sei un film, d'altronde, ti ho già detto anche questo>>.<<Tu sei il mio posto segreto, dove riverso tutto l'amore che ho dentro>>.<<Una notte>>.<<Una notte>>.
"La vita riprendeva dopo il passaggio della guerra, la sofferenza di chi l'aveva fatta e di chi l'aveva subita era comune. Forse, l'unione di due patimenti, diversi ma simili, portava alla nascita di un comune sentimento...
Napoli, 1943. Mentre la guerra ancora imperversa, le vite di una giovane partenopea e di un soldato afroamericano si legano inestricabilmente. Perché un solo sentimento riesce a vincere l'odio, e non può che essere l'amore."
Questo si legge sul retro del mio nuovo romanzo breve edito dalle Edizioni Leonida di Reggio Calabria, disponibile in preordine sul sito dell'editore. Chiunque fosse interessato, può acquistarlo, leggerlo, recensirlo, farmi sapere la sua opinione e i suoi suggerimenti. È una storia d'amore, declinata a 360 gradi: l'amore tra un soldato afroamericano e una ragazza napoletana, tra un padre e una figlia, tra una madre e un figlio, tra un nonno e un nipote, circondati dalla peggiore tragedia capitata all'Italia nella sua lunga storia, la seconda guerra mondiale.
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