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AMORE AL MACELLO (parte 2)

Quello che succede quando Liam Van Heerden è online su Gayza è la metafora di ciò che era accaduto giorni prima nel vicino Zimbabwe, teatro di un tracollo economico-finanziario epocale.
Nel Paese, definito fino al 2000 “Granaio d’Africa” o “Svizzera del Sud”, un camion carico di bestiame si ribalta per una manovra distratta.
Un gruppo di affamati spettatori sulla strada assalta le vacche e le scuoia vive a pugni e mazzate contendendosi le carni macellate a mani nude. Uno scenario splatter degno di un b-movie, di una tragedia greca o di una chat per incontri fra allupati.
Nella tragica, metaforica calca di affamati di carne di vacca, si identifica un conoscente…

Lo attendo in pausa pranzo sul prato della facoltà di discipline sportive. I rugbisti del college si allenano al sole regalandomi una panoramica notevole. Liam arriva a piedi reggendo i roller con le mani.
Si siede sull’erba e accenna un sorriso vacuo.

Io sospiro intuitivo “Lo sapevo…spara.”

“Avevi ragione, sei riuscito a trovare un soggetto peggiore di me.”

“Quanto peggiore?”

“Si chiama Isak, non Joshua. Ha 42 anni. Non è di Sandton, vive a Kymberly con sua moglie, hanno una figlia di dieci anni. Si sbatte un biondino minorenne che va al liceo di Fichardt Park. Tira coca e non è nuovo al bareback. L’unica cosa vera è il suo lavoro, i diamanti.”

“Però! Quanto chiacchierate al Romeo…”

“Mi dispiace Fax.”

“Mi ha detto ti amo al secondo appuntamento, dovevo immaginarlo.”

“Già, non credere mai alle parole di un maschio sulla soglia
dell’ orgasmo. Io Sabato ho ansimato una proposta di matrimonio al fattorino della pizzeria.”

“E non lo sposerai?”

“Per ora no, si è arrabbiato.”

“Perché?”

“Credo c’entri il fatto che Lunedì ho scopato il tipo che dà i volantini per la promozione quattro formaggi.”

Scuoto il capo. Liam incalza “Fottitene Fax, fatti un giro su uno di quei rugbisti. Ti presento io qualcuno.”

“Si fa un biondino del liceo? E vuole convincermi a cavalcarmi a pelo!”

“Se vuoi lo faccio pestare. Conosco un ex carcerato sempre pronto ad aiutarmi…”

“Sei dolce, però no, devo affrontarlo io.”

Stavo da schifo, una latta di carne in gelatina, così mi sentivo. Uno scarto di macello in lattina sottoprezzo esposto sugli scaffali di un discount, mentre un accattivante fast food offre hamburger, patatine dorate e gadget. Mi tormentavo immaginando Joshua (ora Isak) scoparsi quell’adolescente, odiandomi per non essere biondo e per essere tutto quello che ero. La richiesta del sesso non protetto poi, accompagnata da un’infilata di stronzate sul completamento di un sentimento mai provato prima, che avrebbe consolidato il nostro rapporto da un vincolo di complicità…
Izak ignorava fosse caduta la maschera di Joshua, ma ignorava soprattutto quanto pericoloso e vendicativo fosse un ventenne umiliato che indossa la maschera dell’ingenuo, rassicurante, bravo ragazzo.

“Una serata memorabile”, questo gli avevo promesso.
Dall’anta dell’armadio nel dormitorio lo specchio mi riflette sobrio ed elegante.
Prelevo i due biglietti dalla cassettiera alla testa del letto.
Li custodisco separati, uno nella tasca destra dei pantaloni, l’altro nella sinistra. Quei cartoncini riveleranno “qualcosa” nel memorabile appuntamento.
Ho scelto io il ristorante esclusivo in Brand Street, dove, casualmente (?) quella sera si riuniscono le Dame Boere della Carità Afrikaner, una congrega di borghesi razziste che alterna l’hobby della filantropia alle kermesse stagionali.
Joshua mi preleva con il suo coupé fuori dal campus.
Commenta quanto i pantaloni mi disegnino bene il culo.
Mentre guida preme la mia mano sul suo pacco per farmi sentire quanto sia duro all’idea di scoparmi dopo cena (finalmente senza guaine di lattice). Dice che sarà come una nuova prima volta, liberi, pelle contro pelle. Schiocca le dita sul ritmo della musica pop in un patetico eccesso di giovanilismo ostentato.
È sensuale, spavaldo, di ottimo umore, solo mi domanda perché abbia scelto un locale così pretenzioso. Imbocchiamo il viale alberato di Brand Street.
Mi imbarazza quando nel parcheggio lancia le chiavi dell’auto al posteggiatore armato di mitra “Ti affido la bambina!”
Il parcheggiatore in divisa non può saperlo, ma dentro di me gli prometto “Tranquillo, lo distruggo prima del dessert.”

Il ristorante è un edificio nederlandese di fine 1800, con soffitti alti dai pannelli dipinti e pavimentazione in legno, un ampio camino in arenaria e un proverbiale utilizzo delle luci soffuse. Alle pareti, sequenze di dipinti del Great Trek e scene di vita nell’ Oranje Vrijstaat. Un presidio della resistenza segregazionista che non si è arresa alle trasformazioni occorse al di là delle siepi potate chirurgicamente. Gli unici “non bianchi” presenti sono dei subalterni relegati alle mansioni meno esposte. Il pianista suona qualche inno, probabilmente tratto dal repertorio della Banda nazionalsocialista.
Joshua si incupisce un poco quando il maître ci conduce al tavolo centrale nella sala.
A pochi metri da noi la moglie del sindaco, adorna di una parure sufficiente a sanare il debito pubblico del Malawi, pronuncia un’arringa al convivio delle Dame Boere della Carità Afrikaner.

Ci accomodiamo. Lui, scruta la sala diffidente “Avrei preferito un posto più intimo…”

Io, ingenuo “Non ti piace?”

“Certo, è carino, ma è lo stile formale che frequento per i meeting di lavoro.”

“Scusa, non lo sapevo…”

“Quante cose devo insegnarti.”

Io, malizioso “Che ne sai? Magari stasera scopri che ho imparato qualcosa di nuovo…e che so fartelo bene.”

Geme sommesso “Mmmh, non fare così o ti porto via subito…Ti va? Saltiamo la cena!”

“Scordatelo! Sulla carta dei dolci c’è il pudding alla malva e lo voglio!”

Gioca sui doppi sensi tra il dolce e le farciture che mi offrirebbe al posto del pudding. Nuovi avventori occupano i tavoli circostanti. Controlla il tono della voce sussurrando.
Gli sferro il primo colpo quando il sommelier versa l’assaggio dello Château d’Yquem.
Mentre lui sorseggia il vino io incalzo “Allora, IZAK, com’è?”

Esplode un colpo di tosse nervoso, nebulizza il vino dalle narici e si tampona con il tovagliolo.

Il sommelier, preoccupato “Qualcosa non va signore?”

Lui si ricompone e lo congeda.

“Perché mi hai chiamato così?”

Io, candido “Così come? Ti ho chiamato col tuo nome…”
E tracanno il primo calice.

Sembra sospettoso. Dissipo i suoi dubbi avviando una vivace conversazione di aneddoti sulla vita al college, lui parla della frenesia di Johannesburg e delle ingerenze capitaliste di un magnate cinese nel settore minerario locale. Monopolizzo la bottiglia da cui attingo generose porzioni. Prima di assaggiare l’agnello glassato allo zenzero la mia lingua è sufficientemente sciolta da schioccare le sferzate “Quell’industriale pechinese dovrebbe sapere che non si può prendere tutto senza riguardi. Digli che se trovasse il cadavere di una balena nel Colinshire, sarebbe obbligato a consegnare la testa e la coda ai Sovrani di Buckingham.”

“Ah, ah, sul serio?”

“Certo! Spesso ignoriamo la legge senza saperlo. Ci pensi mai?
È importante conoscere le consuetudini del posto in cui vivi. Per esempio, tu sapevi che in Kenya è vietato fumare tabacco per le strade?”

“No, non lo sapevo.”

“Ecco, vedi? E magari non sai che l’età minima per un rapporto sessuale in Sudafrica è 16 anni per gli etero mentre 19 per i gay. Non si capisce perché i gay debbano pensarci tre anni più degli etero prima di darlo via! Ma è questa è la legge.”

“Perché parliamo di questo?”

Io, pacato “Perché forse ti sei distratto, forse non sai che scoparsi un quindicenne in questo Paese è un reato!”

Lui, gelido “Ma cosa dici?”

Dimentico di sussurrare “Dico che tu, fottuto bastardo, vuoi montarmi senza sella quando raccatti chiunque in chat e fuori dai licei!”

“Cristo di un Dio, vuoi abbassare la voce? Ti sentono!”

“E allora? Tu sei un protagonista dominante, però ti dò una notizia, a volte i ruoli secondari ti sorprendono e ti fottono la scena! Nelle tasche dei miei pantaloni ci sono due biglietti, in uno c’è il numero di tua moglie a Kimberly, nell’altro quello della famiglia del biondino che ti sbatti. Chi chiamerò prima?”

(continua…)

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