Menu
Foto del Profilo

Francesco EniaOffline

  • 4

    Posts

  • 0

    Commenti

  • 2.5K

    Visualizzazioni

  • Francesco Enia, Atlante delle inquietudini, Edizioni Ares

             Gli scoop, gli incontri e i sogni di Ismaele, fotoreporter siciliano che indaga la realtà attraverso la sua macchina fotografica: i carri armati sovietici a Praga nel 68, il massacro degli studenti in piazza Tienanmen nell’89, le bombe su Bagdad nel 91e altre pagine calde del secondo Novecento, ma anche l’amore fulmineo e subito bruciato con Laura…  &n... Altro...

             Gli scoop, gli incontri e i sogni di Ismaele, fotoreporter siciliano che indaga la realtà attraverso la sua macchina fotografica: i carri armati sovietici a Praga nel 68, il massacro degli studenti in piazza Tienanmen nell’89, le bombe su Bagdad nel 91e altre pagine calde del secondo Novecento, ma anche l’amore fulmineo e subito bruciato con Laura…

             In parallelo l’irrequieta Helen che abbandona Pechino quando scopre i legami tra la mafia cinese e la repressione degli universitari e si rifugia a Oporto.

             Queste due vite fuggiasche si intrecciano alla ricerca di un posto in cui fermarsi: forse non risolveranno il dilemma del dolore ma potranno farsi compagnia nel viaggio della vita.

             Sulla forza evocativa di questo romanzo si sofferma il celebre fotografo Tony Gentile nell’Invito alla lettura: «La scrittura di Francesco Enia è altamente fotografica: a tratti leggiamo elenchi di visioni descritte in maniera così dettagliata, sintetica e ritmata che, chiudendo gli occhi, riusciamo a immaginarle come vere e proprie istantanee».

  • Underworld

    Perché Don DeLillo ha scritto Underworld?Per cercare la risposta ad alcune domande: Che cosa è accaduto agli Usa e quindi alla civiltà occidentale nella seconda metà del Ventesimo secolo? Perché la convivenza civile è diventata sempre più cupa e diffidente, ossessionata dal complottismo? Perché l’Occidente è diventato la culla del sospetto e della dietrologia?Ogni storia ha un iniz... Altro...

    Perché Don DeLillo ha scritto Underworld?

    Per cercare la risposta ad alcune domande: Che cosa è accaduto agli Usa e quindi alla civiltà occidentale nella seconda metà del Ventesimo secolo? Perché la convivenza civile è diventata sempre più cupa e diffidente, ossessionata dal complottismo? Perché l’Occidente è diventato la culla del sospetto e della dietrologia?

    Ogni storia ha un inizio. Underworld, essendo una storia americana, inizia col baseball e precisamente col fuoricampo di Bobby Thomson sul lancio di Ralph Branca, il 3 ottobre del 1953. Giocavano i Giants contro i Dodgers. I Giants, con quel fuoricampo, quell’anno hanno vinto il campionato.

    La nostra società è basata sulla guerra e le guerre si fanno per vincerle.

    Guai ai vinti.

    La società del capitale e dei consumi è costruita dai vincitori.

    A De Lillo però interessano molto di più i perdenti. Gli interessa Ralph Branca più di Bobby Thomson. Tutti i personaggi della sua storia sono perdenti, anche contro le apparenze.        

    Volendo scrivere di sospetti e di complottismo negli Usa, tra i personaggi deve necessariamente esserci John Edgar Hoover, il capo dell’FBI. Se c’è lui, bisogna parlare anche del famoso ballo in Bianco e Nero dato a metà degli anni Sessanta da Truman Capote al Plaza Hotel di New York. A quel ballo, Hoover ha partecipato insieme a tutto il mondo che conta. I vincitori cioè. Gli apparenti vincitori.        

    I temi si affollano, sovrapponendosi.

    Il primo esperimento atomico sovietico e la paura della guerra nucleare.

    La necessità di un nemico.

    La guerra fredda.

    La crisi di Cuba.

    La guerra del Vietnam.

    I laboratori militari segreti nel deserto e gli esperimenti sulle armi nucleari.

    L’implosione dell’URSS.

    La violenza nelle strade della città.

    Lo sradicamento imposto dalla civiltà dei consumi.

    L’incapacità di prendere decisioni responsabili (Lui non era tagliato per questo tipo di lavoro. Voleva lasciarlo ma non voleva essere lui a decidere. Voleva che Janet decidesse al suo posto. Ma Janet non l’aveva fatto. Avrebbe voluto che lei si sentisse responsabile e colpevole per averlo indotto a cambiare lavoro. Gli avrebbe dato un bel vantaggio negli anni a venire).

     Il Bronx.

     Cosa nostra.

     Il serial killer.

     Il razzismo.

     Il teppismo giovanile.

     La costruzione delle torri gemelle.

     Il bombardamento quotidiano, dentro le case, della televisione e la ripetizione ossessiva di video (come il film di Zapruder sull’omicidio di Kennedy).

             La pubblicità pervasiva basata sempre più sulle immagini (C’è una sola verità: chiunque controlli i tuoi globi oculari governa il mondo).

    L’etica dei due pesi e delle due misure: il marito può tradire la moglie ma la moglie non deve tradire il marito, soprattutto se il tradimento ne intacchi l’immagine pubblica.

             I legami familiari ridotti a etichette formali.

             La mancanza del padre.

             Le notti trascorse vagando da un bar all’altro.

             L’alcol.

             L’eroina.

             La musica jazz.

             I Rolling Stones.

             La satira corrodente del cabarettista Lenny Bruce, tossicomane perseguitato, nemico dell’ipocrisia, che si scaccola il naso in pubblico.

             L’incapacità di comunicare.

             I gesuiti.

             La fede ridotta a rigide regole ossessive. La caricatura della fede che permea un cuore di corvo, piccolo e indurito (Quello era il creato, là fuori, piccole mele verdi e malattie infettive).

             Il deserto.

             Le inquietudini dell’arte.

    L’installazione che consiste nel dipingere duecentotrenta carcasse di aerei.

    I disegnatori di graffiti sui treni della metropolitana.

             Gli intellettuali di New York, le gallerie e il mercato.

             L’esplosione del kitsch.

             La virtualità.

             La distanza tra la realtà e le favole.

    La confessione dell’artista: Non ti pare che la tua vita abbia preso una piega irreale a un certo punto?

    La confessione del manager: Mi conformavo al tessuto della conoscenza accumulata, mi fidavo del solido e vantaggioso materiale della nostra esperienza.

             L’aborto clandestino in Messico. L’intuizione di un crimine, avvertita ma lasciata scivolare via: E provasti uno strano dolore confuso, seduto in quella stanza, una tristezza adombrata dalla distanza. E cercasti di pensare a te stesso nel mezzo della vita non vissuta di quel bambino che stavano uccidendo nella stanza accanto.

             La giovinezza che viene silenziosamente sostituita dalla vecchiaia.

    Il personaggio principale? Un manager di successo nel settore del trattamento della spazzatura. Un uomo molto attento all’uso delle creme per la protezione dal sole ma incapace di capire la gravità delle ferite inferte alla moglie.

    Il tema di fondo? La società dei consumi che alla fine si riduce a essere la società della spazzatura, dei rifiuti tossici e delle scorie nucleari. Le città crescono nella spazzatura. La civiltà non è fiorita tra uomini che scolpivano scene di caccia su portali di bronzo e parlavano di filosofia sotto le stelle, mentre l’immondizia non era che un fetido derivato, spazzato via e dimenticato. No, era stata la spazzatura a svilupparsi per prima, spingendo la gente a costruire una civiltà per reazione, per autodifesa. La spazzatura ci aveva costretti a sviluppare la logica e il rigore che avrebbero condotto all’analisi sistematica della realtà, alla scienza, all’arte, alla musica e alla matematica.

    Leggendo le pagine del libro ci si domanda: «Dov’è finita la realtà?». È proprio questo il problema della fine del secolo che Don DeLillo ha voluto affrontare in Underworld. Dov’è finita la realtà?

  • La zattera

    Emmanuel Carrère, in Vite che non sono la mia, parla della morte, raccontando due fatti che lo avevano coinvolto in prima persona: la morte nello Sri Lanka, dopo uno tsunami, di una bambina di quattro anni, figlia di una coppia di amici, e la morte della giovane cognata di trentatré anni per un tumore al seno con metastasi polmonari.Carrère descrive il cambiamento che avviene in lui. Non esprim... Altro...

    Emmanuel Carrère, in Vite che non sono la mia, parla della morte, raccontando due fatti che lo avevano coinvolto in prima persona: la morte nello Sri Lanka, dopo uno tsunami, di una bambina di quattro anni, figlia di una coppia di amici, e la morte della giovane cognata di trentatré anni per un tumore al seno con metastasi polmonari.

    Carrère descrive il cambiamento che avviene in lui. Non esprime giudizi ma si pone domande e le pone agli altri. In tal modo mostra di voler rintracciare un significato di quegli avvenimenti, cercandolo però dentro sé stesso. Sennonché questo sé stesso è già cambiato più volte, come Carrère ammette, e può continuare a cambiare; e cambiando potrebbero cambiare anche i significati. È come essere naufrago e zattera nello stesso tempo.

    È possibile – ci domandiamo – parlare della morte cercandone il senso fuori di noi, in qualcosa che non sia soggetto ai cambiamenti del transeunte?

    È possibile trovare una zattera vera alla quale aggrapparci?

  • Il fotografo e la Ricerca

    Il fotografo deve esercitare la virtù della pazienza in modo eroico; poi deve avere la capacità di guardare i dettagli più piccoli della composizione, mai superflui anche se apparentemente secondari, e deve infine muoversi nel misterioso campo della memoria (è vero che ciò che è stato fotografato esiste realmente in quel pezzo di carta ma è anche vero che, proprio nel momento in cui si guar... Altro...

    Il fotografo deve esercitare la virtù della pazienza in modo eroico; poi deve avere la capacità di guardare i dettagli più piccoli della composizione, mai superflui anche se apparentemente secondari, e deve infine muoversi nel misterioso campo della memoria (è vero che ciò che è stato fotografato esiste realmente in quel pezzo di carta ma è anche vero che, proprio nel momento in cui si guarda la fotografia, non c’è più).

    Qual è il classico della letteratura necessario alla formazione di ogni fotografo? Quale libro mette a dura prova la pazienza del lettore? Quale libro è un fiorire continuo di inquadrature piene di particolari, nessuno dei quali casuale o superfluo? Quale libro si muove sollecitato dai ricordi?

    Alla ricerca del tempo perduto di Marcel Proust.

    Proust chiama “intermittenza del cuore” quell’accadimento imprevisto che fa scattare involontariamente i ricordi: un odore, un sapore, il rumore di un cucchiaio contro un piatto, la ruvidezza di un tovagliolo inamidato, il dislivello in un gradino avvertito dal piede...

    Che cosa è questa intermittenza del cuore se non il punctum che Barthes riscontra in alcune fotografie?

    Anche se il rapporto tra Proust e la fotografia resta ambiguo, il mondo dei fotografi si divide in due: quelli che hanno già letto e quelli che ancora non hanno letto La ricerca. Questi ultimi hanno molta strada da fare.

bilancio punti 43 / Punti
Partecipativo

Emblemi guadagnati

Gruppi

Logo del gruppo Blopolis – Centro città
Blopolis – Centro città
Gruppo Pubblico

Post Recenti

Francesco Enia, Atlante delle inquietudini, Edizioni Ares

Underworld

La zattera

Ad Blocker Detected!

Refresh

Aggiungi a Collezione

Nessuna Collezione

Here you'll find all collections you've created before.