Annuncio Le Menti Invisibili
Sta per uscire il mio nuovo romanzo, Le Menti Invisibili.
Chi sono le Menti Invisibili e perché vengo ucciso proprio io in questo romanzo?
Sta per uscire il mio nuovo romanzo, Le Menti Invisibili.
Chi sono le Menti Invisibili e perché vengo ucciso proprio io in questo romanzo?
"HAIKU- Centomila stagioni di cuore" di Lisa Di Giovanni (Edizioni Jolly Roger) è una raccolta poetica che ci trasporta in un viaggio attraverso le stagioni e l'amore, utilizzando l'antica forma poetica dell'haiku. Con una struttura divisa in cinque sezioni — una per ciascuna delle quattro stagioni e una dedicata all'amore — il libro esplora i cambiamenti ciclici della natura e i momenti fugaci, ma profondamente intensi, dell'esperienza umana. La scrittura di Lisa Di Giovanni è delicata e contemplativa, evidenziando una raffinata capacità di osservazione affinata dalla sua carriera nel giornalismo. Attraverso i suoi haiku, in soli diciassette sillabe, riesce a catturare l'essenza di paesaggi naturali e sentimenti, offrendo una finestra aperta su mondi ricchi di dettagli. La semplicità dello stile si unisce a un tocco personale e moderno, trasformando ogni componimento in un piccolo capolavoro di chiarezza ed emozione. Le stagioni vengono dipinte con immagini vivide e dettagliate: l'autunno è caratterizzato da foglie dorate, nebbie avvolgenti e crepitii del camino; l'inverno è il silenzio della neve, il gelo e la magia dei cristalli di ghiaccio; la primavera risveglia i sensi con boccioli, piogge tiepide e voli di rondini; l'estate brucia con il sole, il mare e le melodie dei grilli. Queste descrizioni non solo mostrano il cambiamento della natura, ma anche i riflessi emotivi che tali cambiamenti suscitano nel cuore umano.
La sezione dedicata all'amore approfondisce le sfumature delle emozioni amorose: dalla gioia alla nostalgia, dalla passione al conforto. Attraverso le immagini poetiche, l'amore emerge come un'esperienza multiforme e universale, intessuta con le stagioni della natura e della vita. Di Giovanni dipinge momenti di intimità con grande delicatezza: baci sotto la pioggia, mani intrecciate, vecchie lettere cariche di ricordi che riemergono, testimonianza di un sentimento che, nonostante il tempo, continua. La struttura del libro mira a creare un’esperienza di lettura condivisa: mentre una persona legge i versi, l’altra può concentrarsi sull’immagine correlata, immergendosi nel profondo legame tra parola e arte visiva. La stessa poesia si sviluppa in un ambiente rilassante e multisensoriale, potenziata dall’uso di incenso e tisane, come suggerito nella quarta di copertina.
Sinossi
L’Haiku è un tipo di espressione poetica breve fiorita in Giappone intorno al 1600 e si compone, nella sua forma canonica, di tre versi suddivisi in diciassette sillabe (che poi sarebbero “more”, ma per semplicità chiamiamole pure sillabe). Beneficiò del suo massimo splendore durante il periodo Edo con i versi del celebre Matsuo Bashō, ed è giunto ai nostri giorni attraverso una serie di contaminazioni che ne hanno fatto una forma di espressione poetica tra le più ricercate. Dallo schema sillabico 7-5-7 siamo approdati a configurazioni più duttili, dettate dalle esigenza comunicative che prevedono la reciprocità di flusso tra parola scritta e lettore, così che la moderna arte dell’Haiku – pur rispettando la filosofia che ne guida da sempre il componimento – si gratifica di un respiro più ampio svincolandosi dai rigidi schemi metrici ai quali la poesia dei Maestri giapponesi era assoggettata. L’interazione che si viene a creare, inoltre, tra parola e immagine, plasma un nuovo approccio interpretativo al componimento, permettendone la godibilità anche come lettura di coppia. Gli Haiku presenti in questo volume, infatti, sono composti da tre versi e un’immagine ciascuno, proprio affinché ci si possa alternare tra la lettura del testo e la contemplazione dell’illustrazione, affinché chi si concentra sulle immagini possa assorbirne il profondo legame con i versi senza dover distogliere occhi, attenzione e anima dalla figura che completa l’Haiku. L’alternanza tra narratore e spettatore, magari vissuta in un ambiente rilassante e impreziosito dall’aroma leggero di un incenso non troppo aggressivo, crea così un rapporto profondo che fonde poetica e immagine generando un vincolo super sensoriale tra i protagonisti di questa esperienza condivisa.
Biografia
Lisa Di Giovanni, originaria di Teramo e residente a Roma da oltre vent'anni, è una figura poliedrica nel panorama professionale e culturale italiano. Laureata in psicologia con un master in HR Executive Manager presso la RBS, lavora per una società di telecomunicazioni. Dirige inoltre un ufficio stampa che si occupa di editoria, pubbliche relazioni e organizzazione eventi: PR & Editoria. È consigliere nel direttivo dei Lions Valle Siciliana-Isola del Gran Sasso e portavoce dell'ANAS, dove si occupa di pubbliche relazioni e progetti di inclusione sociale. Come giornalista, dirige il semestrale “La finestra sul Gran Sasso” e la rubrica “Echi di Psiche” per Fix on Magazine. Ha pubblicato diverse opere con Edizioni Jolly Roger e ha co-creato la serie di fumetti “Human's End” con Marco Sciame. Dal 2021, fa parte di un team di eccellenze italiane supportato dalla Confederazione AEPI ed è cofondatrice del marchio 'Sinapsi 180'. Per Edizioni Jolly Roger è anche responsabile della collana “Poesia”.
“Motid’inerzia”, è il nuovo coinvolgente libro di Mariagrazia Spadaro Norella, pubblicato da Edizioni Libreria Croce di Fabio Croce, in distribuzione da giugno 2024.
La forza di “Motid’inerzia” risiede senza dubbio nella costruzione di personaggi autentici. Ognuno di essi, sviluppato con cura e profondità, risuona in armonia con gli altri, intrecciando storie di vita che si richiamano a vicenda. I personaggi sono infatti sapientemente miscelati, creando un racconto strategico ed emozionante.
Numerosi sono i temi che l’autrice, attraverso una narrazione coinvolgente e moderna, porta alla luce: dipendenze, figli perduti e ritrovati, solitudini e incapacità di amare, allucinazioni e follia, fino ad arrivare all’abuso sessuale e all’ossessione per le proprie ambizioni. I sogni raccontati da Spadaro Norella svelano il lato oscuro e inedito della loro natura. I protagonisti di “Motid’inerzia” sognano in grande, e proprio i loro sogni li conducono verso un baratro fatto di privazioni, slanci eccessivi e mortificazioni del corpo. Sono storie emozionanti, dove il sogno si dissolve, lasciando spazio alla disillusione.
L’opera offre profonde riflessioni sulla realizzazione personale e sulla difficile ricerca di un’identità artistica significativa. È un viaggio all’interno dei personaggi, capace di cogliere le loro più intime peculiarità, i loro sogni e i loro peccati. Un testo che, pagina dopo pagina, guida il lettore nelle vite di persone comuni, descritte con un linguaggio fluido e colloquiale.
Il titolo, “Moti d’inerzia”, è perfetto per rappresentare un mondo in cui l’inerzia e il movimento si mescolano, dove l’alternanza tra andare e tornare diventa l’unica via per vivere appieno. Mina, Paola, Simona, Bartolomeo, Pietro, Mattia, e molti altri personaggi apriranno le porte delle loro esistenze ai lettori più attenti, offrendo un’opera moderna che affronta con profondità numerosi temi di grande rilevanza.
I protagonisti di “Moti d’inerzia” – attori, pittori, cantanti, circensi – sono prigionieri dei loro stessi sogni artistici. Ognuno, intrappolato nella propria vita, è incapace di trovare il proprio posto nel mondo. Queste storie, tutte pervase da un’amara ironia e ambientate nelle periferie romane, raccontano di dipendenze, figli perduti e ritrovati, solitudini, incapacità di amare, allucinazioni e follia.
Info biografiche
Mariagrazia Spadaro Norella è nata a Roma nel 1966. Architetto appassionato, si è dedicata principalmente al recupero di aree degradate nelle città come Roma, Milano e Torino, restituendo questi spazi ai cittadini. Ha partecipato a concorsi internazionali di architettura, focalizzati sullo sviluppo di piazze e periferie, oltre che sulla realizzazione di musei e laboratori artistici in scuole ed edifici industriali dismessi. Attualmente si occupa della ristrutturazione di grandi uffici. Parallelamente alla sua professione, ha iniziato a scrivere: dapprima testi tecnici e di settore, poi racconti, culminati nella raccolta “Moti d’inerzia” negli ultimi quattro anni. Nel 2023, ha seguito il percorso di specializzazione "Narrativa/RomanzoOver 30" presso la Scuola Holden di Alessandro Baricco. Attualmente frequenta un corso di sceneggiatura presso la Scuola Tracce a Roma. Il suo sogno è trasformare uno dei racconti della raccolta in un film.
Salivano verso il cielolegnosi vampi,storti echi di portali,sgocciavano pinti teli dai balconi,a spirale si placavano le vecchie fontane nel vociare di civette.
Non ricordo che un pallidodisegno d’occhinel cielo capovolto che scolora,di passi incerti su zerbini di conchiglie rosse;riposa nel fogliamela pagina divenuta bianca,nella fessura in cui ricaddela coda dell’accento- rignata forbice di cavallette -enumeri le bolle di saponecome chicchi d’uva nera ammucchiati sotto alberi di lana.M'inventai una nuvolasul rovescio blu della medaglia,sulle ginocchia raggelatedal crampo inesorabile del tempo dove si snoda - condanna del passato - il sasso nello stagno.Thea Matera
“Maddalena, che tutti in paese ormai chiamavano La Mammana, aveva fatto nascere quasi tutti i bambini da quando la precedente levatrice era venuta a mancare. Era entrata in tutte le case, conosceva tutti ed era a conoscenza delle storie intime di tutte le donne che si affidavano a lei quasi come a una Santa. Quella sparizione così improvvisa aveva lasciato tutti sgomenti: senza Maddalena le donne del paese si sentivano di colpo orfane e smarrite.
A farsi visitare dal medico, le partorienti, non ci pensavano minimamente; non era consuetudine e non lo avrebbero mai fatto se non in situazioni gravissime. L'educazione ricevuta, assieme al pudore e alla vergogna, impartiva di preservare a ogni costo la propria intimità dagli occhi degli uomini. Questo pensiero così intransigente predominava in quasi tutte le donne del paese. Molte volte Maddalena aveva affrontato l’argomento cercando di far capire loro che non si dovevano vergognare, che non era sconveniente se in casi di assoluto bisogno fosse intervenuto il medico.
Ma per loro era inconcepibile, rifiutavano a priori un simile discorso. Erano ferme sulle loro idee e credenze. Permettere a un uomo, sia pure un medico, di visitarle nelle parti intime era per ognuna di loro una forma di disonore e vergogna.
Solo la mammana poteva essere d’aiuto per certe questioni e dopo tanti anni si era creato un rapporto di fiducia tra lei e le sue donne, come amava definirle”.
“Le donne di Maddalena” di Giuseppina Mormandi, è edito da Blitos edizioni in distribuzione da Aprile 2024.
Maddalena è una donna forte e caparbia, la sua professione da levatrice è più una vocazione celeste che un semplice lavoro. Ispirata prima da sua nonna e poi da sua madre, svolge il ruolo di “Mammana” con amore e passionalità. Ella è al fianco “delle sue donne”, non solo quando è il momento di dare alla luce un figlio, ma diviene anche abile confessore, amica infallibile, custode di segreti indicibili.
Il romanzo di Giuseppina Mormandi è capace di dare voce alle donne, nelle loro vicende complesse e intricate. In una società fortemente patriarcale, le donne del romanzo di Mormandi sono semplici mezzi per le attività riproduttive. Da qui l’insoddisfazione, la vergogna e il timore di non essere all’altezza, sopraggiungono in un vortice estenuante, che solo Maddalena è capace di dissipare.
Numerosi gli argomenti che l’autrice racconta con abile maestria: l’abbandono alla culla della vita, l’angoscia di vivere una terza gravidanza senza la gioia di mettere al mondo un erede maschio, la morte sopraggiunta da parto prematuro, la bruttura di un matrimonio forzato e diverso da come ci si aspettava, l’orrore di dover rispettare a tutti i costi i doveri coniugali, fino a giungere alla solitudine di quelle donne che non sanno cosa dar da mangiare ai propri figli, ormai ridotti ad uno squadrone tutt’ ossa.
Un romanzo intenso e coinvolgente, una fotografia di Pietraia che capitolo dopo capitolo è capace di raccontare le brutture di una società ormai tramontata.
Un linguaggio semplice e scorrevole, capitoli avvincenti e vivaci. Un libro che si è classificato primo al Premio Letterario Nazionale DI PARI PASSO 2024. Un testo, quello di Giuseppina Mormandi che racconta la storia di donne di paese, che perdono luce e vita lungo il percorso della loro esistenza.
Nei primi anni del Novecento a Pietraia, un paesino abbarbicato su un costone di roccia, arriva a dorso di mulo una giovane donna: il suo nome è Maddalena.Dopo un’iniziale diffidenza, la nuova Mammana diventa ben presto punto di riferimento indispensabile per tutte le donne del paese.Un giorno Maddalena sparisce inaspettatamente, lasciando tutti gli abitanti in preda allo sgomento e a un profondo senso di abbandono.Maddalena, che tutti in paese ormai chiamavano La Mammana, aveva fatto nascere quasi tutti i bambini da quando la precedente levatrice era venuta a mancare.Era entrata in tutte le case, ed era a conoscenza delle storie intime di tutte le donne che si affidavano a lei quasi come a una Santa.Un romanzo delicato che affronta la questione femminile riportando alla memoria antiche usanze e consuetudini, tipiche della società patriarcale di inizio Novecento, che governavano la vita di tutti nei piccoli paesini rurali d’Italia.Maddalena è l’archetipo della donna moderna, libera di scegliere per sé, noncurante del giudizio altrui, a differenza di tutte le donne che si trova ad aiutare.
Info biografiche
Giuseppina Mormandi nasce a Roseto Capo Spulico (CS). Rinuncia all’insegnamento per dedicarsi alla famiglia e alle sue molteplici passioni tra cui la poesia, la prosa e la pittura. Scrive poesie dall’età adolescenziale.
Pubblicazioni: Roseto (raccolta di poesie), ’I timpe ‘i ‘na vote (usi e costumi rosetani), Mario Luzi editore, ‘I dettète èntiche ‘o nne fèlliscene mèje ( proverbi rosetani) Jonia Editrice, Alta e bassa marea (silloge di poesie), Aletti editore, Venere e la luna (silloge di poesie), Aletti editore, Malinconie (silloge di poesie) Aletti editore, Tu oltre l’orizzonte (silloge di poesie), Temperino rosso editore, Rimembranze (silloge di poesie) Temperino rosso editore, L’amore al quadrato (silloge di poesie) Scorpione editrice, Cento rose (poesie su Roseto) Scorpione editrice, Il vento dell’amore, (silloge di poesie) Scorpione editrice, Te tènghe ‘nt’u core Poesie in dialetto rosetano, Jonia Editrice, Pommedi’je e cosecusi’lle Favole, filastrocche, indovinelli e modi di dire in dialetto rosetano, Jonia Editrice, I sogni non finiscono all’alba, (silloge di poesie), Temperino rosso editore, inserita nell’Antologia poetica Scrivendo 2022, nella collana “I poeti del nuovo millennio” Vente du Midì” con le liriche “I reverberi dell’animo”, nella collana “Il paese della poesia”, e nella raccolta “Canti per Alda” (Accademia dei Bronzi), recensita tra gli “Scrittori dell’Alto Ionio cosentino”. Le sue poesie hanno vinto molti premi e prestigiosi riconoscimenti.
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Vita e avventure di un piccolo Rom torinese che gira il mondo in cerca di un posto dove fermarsi, un luogo che gli appartenga..
Puglia, 1996. Anna Lafortezza, quasi sessantenne, fa ritorno a Tenuta Ornella, una casa dove da giovanissima, dopo essere scampata alla guerra, ha lavorato come infermiera privata. La casa è in rovina, abbandonata alla pioggia e al tempo che scorre impietoso. Anna si prodiga subito per ripulirla dalla muffa e dal sudiciume, ma le ombre dei ricordi si allungano sul suo cuore, riportando nel presente tanti momenti significativi: la vita al convento con le orfanelle, la scelta di non prendere i voti, la scoperta dell'amore al rifiuto dello stesso. Perseguitata in ogni angolo della casa dai ricordi, si rende conto che l'apatia, la disconnessione emotiva che l'hanno aiutata a vivere lontana da Tenuta Ornella, è solo un modo per difendersi e non soffrire. Anna ritorna in un viaggio liberatorio in se stessa, alla scoperta di un amore lasciato indietro e all'accettazione delle proprie scelte. Ma soprattutto ritrova il coraggio di tenere vivi i ricordi e di prendersene cura.
Erano a casa, un pomeriggio di sole cocente, la sua piscina in giardino che diventava sempre più calda, scorta di birra in frigo. Giorgio si guardava indietro ed era quasi felice. Aveva faticato parecchio per comprare quella villa pensando di passarci il resto della propria vita, possibilmente in bella compagnia. Di donne ne aveva avute in modo discreto ma continuativo, storie lunghe, brevi, amanti, lacrime e delusioni, la giostra della vita in cui quasi tutti salgono e qualcuno si gusta ogni fermata riuscendo a risalire. Poi era arrivata lei, Sonia, la sua bellissima moglie. Abbronzata era ancora più magnetica, si immergeva con quel costume nero e sottile, una sirena dalla pelle color ambra, occhi castani capace di incantare chiunque, lui compreso. Avrebbe voluto farle mille cose, lì sul momento, senza pensarci su. Invece ormai si limitava ad un semplice:” sei bellissima anche oggi”. Lei rideva e annuiva, tuffandosi in acqua. La guardava muoversi sinuosa in mezzo a quell’azzurro, bramando quella pesca meravigliosa che ormai era solo un lontano ricordo. I primi tempi in quella piscina avevano vissuto amplessi dalle mille e una notte, tanto che le poche volte in cui ci entravano per fare solo il bagno pareva ad entrambi un qualcosa di surreale, normalmente non indossavano neanche i costumi. Ma oggi, dopo cinque anni di matrimonio, Sonia era cambiata. Meravigliosa sempre, solare meno. “Una statua senza espressione con il cuore grigio”, pensò lui. Rimuginò velocemente su tutto questo, e poi entrò in soggiorno. Solo verso le sette di sera ricordò che in casa mancava praticamente tutto e c’era bisogno di fare la spesa, le diede un veloce ed insipido bacio sulla fronte e poi prese le chiavi della macchina, andò al supermarket più vicino e prese le provviste. Sua moglie era in camera a guardare la televisione e se non fosse stato per il frettoloso saluto quasi non si sarebbe accorta della sua assenza. Nello specchio del supermarket l’uomo si vedeva ancora piacente, barba curata, un fisico robusto ma muscoloso, nel complesso era un tipo attraente. Portava ancora le ciabatte che usava per ciondolare dal divano al letto, ma tanto in paese tutti lo conoscevano come uno stimato e benestante architetto, nessuno avrebbe storto il naso davanti a quella caduta di stile, peraltro enormemente saldata dal conto in banca generoso e dai modi chiaramente altezzosi. Camminava frettolosamente calpestando con vigore i ciottoli del vialetto immaginandosi già in pigiama e su youporn, ormai sua unica forma di vita sessuale. E mentre si divideva fra pensieri e passi, un dolore fitto e acuto gli lacerò un dito del piede, dovette fermarsi all’istante. buio del giardino lo confuse, non riuscì subito a capire cosa potesse avergli provocato quel dolore fitto al piede, ma poi, poso le borse a terra e vide con chiarezza cosa fosse accaduto. Un pezzo di vetro si era conficcato nella pianta del suo piede. Ma da dove veniva? Un angolo della porta vetro era forato. Entrò di corsa, per terra c’erano alcuni bicchieri, macchie d’acqua nel tappeto, l’angoscia prese il sopravento sulla curiosità. “Giorgio”, sentì debolmente pronunciare il suo nome, e poi li vide. In quel momento, davanti a lui, tre uomini sorridenti e vagamente calmi lo fissavano, come nel peggior film horror, di quelli in cui i protagonisti muoiono, sempre. Sonia stava lì, ancora svestita, con un copricostume trasparente ed i capelli sciolti, vicino a lei il tizio più minaccioso, un trentenne alto e barbuto, dalla tasca della sua tuta rossa spuntava qualcosa, era una pistola. Un turbine di pensieri intensi e orribili lo attraversò all’istante. E mentre sudava freddo e cercava lo sguardo di lei, notò che la spallina della vestaglietta le era scivolata, senza aguzzare troppo la vista ora le si poteva quasi scorgere un capezzolo. Giorgio avrebbe voluto avvicinarsi e tirare su quel laccio impenitente, o tirarlo giù e baciarla, come quando vedevano insieme un film nel divano e lui con dolcezza le accarezzava la canotta e ci giocava, ma ora era diverso. Decisamente non era il momento di evidenziare un qualcosa che probabilmente quei delinquenti avevano già notato, con pacatezza rivolse la sua attenzione altrove, ma forse era già troppo tardi . Quello che doveva essere il capo dei delinquenti lo fissò per un momento, e in quella frazione di secondo, che si trasformò in un secolo, Giorgio ebbe l'assoluta certezza che quell'uomo stesse desiderando la stessa identica cosa che avrebbe voluto lui.
Continua...
“Quando avevo cinque anni ogni domenica con i miei genitori andavamo nella casa di famiglia a Montefiridolfi, frazione di poche anime contadine su un cucuzzolo in Chianti. Montefiridolfi era un bucolico paesino campagna vicino alla metropoli di Mercatale Val di Pesa, non ancora balzata nelle prime pagine della cronaca a causa delle vicende del mostro di Firenze. Da Firenze per raggiungere Montefiridolfi servivano una quarantina di minuti di macchina, per me era un viaggio vero. Adoravo andare nella grande casa colonica di famiglia dove c’era la libertà, la Bmx da cross e le ciliegie da rubare sugli alberi. C’erano i miei cugini, i nonni e soprattutto c’era la totale retrocessione di noi bambini allo stato selvaggio. Durante il viaggio da Firenze a Montefiridolfi me ne stavo seduta nei sedili posteriori della Lancia Beta di mio babbo, senza cinture che a quei tempi non usavano proprio, rigorosamente seduta nel centro per guardare la strada, a me la macchina mi ha sempre dato noia. Con i miei genitori ci divertivamo a scegliere le canzoni alla radio. Era prima dei cd, prima di SPOTIFY e nella nostra macchina c’era la radio con la ruzzola per scegliere le stazioni radio. Era bellissimo quando dopo tante attese ti capitava di ascoltare una canzone che ti piaceva, cosa che a me non capitava quasi mai. Avevo appena cinque anni e conoscevo giusto le canzoni dei cartoni animati, Jeeg Robot d’acciaio per eccellenza e come cantanti da grandi mi piaceva un sacco Adriano Celentano, mia mamma era fissata con Azzurro e il Ragazzo della via Gluck. I miei genitori erano più fortunati nel toto-canzoni, a parte le canzoni italiane, da Dalla a Guccini, da Morandi a de Gregori, da Baglioni a Vecchioni - mio zio ci ha frantumato le palle per anni con Samarcanda - amavano anche i Beatles i Rolling Stones come cantava Morandi, altro mito di mia mamma peraltro. Poi un pomeriggio, non saprei dire con esattezza l’anno ma suppongo nei primi anni 80, mentre tornavamo dalla campagna passarono in radio una canzone e mio babbo alzò subito il volume. “Silvia! Ascolta le parole di questa canzone!”
Mi disse. “Babbo ma questo è quel Vasco Rossi!”
Lo odio! Ha una voce orrenda e poi lo sai che lui è un drogato?”
Ecco “Vasco ha gli occhi azzurri” di Silvia Mazzocchi edito da Edizioni Il Foglio, in distribuzione da Maggio 2024.
Era solo una bimba di cinque anni quando suo babbo Giuliano le fece ascoltare “Silvia”. Buffo pensare che lei non voleva proprio saperne di ascoltare “quel Vasco Rossi là”! Suo babbo le ripeteva che doveva ascoltare le parole di quella canzone perché quella “Silvia” era come lei, una bambina che arrivava sempre tardi e stava per diventare grande.
Silvia cresce ma prima di trovare la fede nel giusto mito attraversa gli anni 80’ accompagnata dalla musica pop di Madonna e dall’amore per John Taylor dei Duran Duran ma è grazie al suo primo fidanzatino che a 13 anni scopre Il Blasco” e lui e la sua musica diventano una droga per lei.
L’emozionante libro di Silvia Mazzocchi attraverso una fotografia generazionale, ripercorre non solo il successo di un mito come Vasco Rossi, ma permette al lettore di seguirla nella sua straordinaria esperienza da fan: fatica, sudore, la corsa per la transenna in prima fila, la stanchezza, una passione divorante capace di azzerare ogni esigenza fisica.
Questo, il racconto di un testo che la Mazzocchi regala ai suoi lettori, attraverso una narrazione sincera e diretta. La sua è una ricostruzione altresì epocale, attraverso le mode degli anni 90’ e dei primi anni 2000.
Una cronologia temporale che la vede protagonista di numerosi concerti sparsi per l’Italia. Un Vasco frizzante e dissacrante, poi pronto a lasciare la vita da rockstar per una vita più ordinaria. Una fascia temporale che vede la stessa autrice perdersi nel vuoto interiore, disciolto solo dall’amore per la scrittura e la musica.
Un testo che si stringe alla forma diario, e che permette attraverso una narrazione colloquiale, ai lettori di ogni stregua di affezionarsi ad un mito della musica che ancora oggi fa la storia.
Un racconto sincero, attraverso il quale, l’autrice promette l’identikit di “un suo Vasco”. Un’attesa lunga e faticosa, alla volta del prossimo concerto. Un libro che apre le braccia al tempo, che partendo dagli anni 80’ ripercorre quarant’anni di una passione infinita, che vede Silvia Mazzocchi stretta per sempre al suo Vasco.
Si può raccontare una passione. Forse No. Perché una passione si vive, si respira, si mastica a grandi morsi e raccontarla è difficile. Eppure in questo libro l’autrice con una dose infinita di incoscienza e follia ci ha voluto provare. Silvia Mazzocchi vuole portarvi dentro la sua passione, forse illogica e insana, ma quale passione degna di questo nome non lo è? Cosa serve quindi per leggere questo libro? Serve il cuore, solo quello. Lasciate ogni buon senso o voi che entrate e lanciatevi, rigorosamente senza paracadute, dentro questa storia. Questa è la domanda che ci pone l’autrice: "Ma voi, l’avete mai seguito un cantante per quarant’anni? Avete mai provato una passione vera, carnale e illogica per lui? Tanto grande da scriverci un libro? Io sì."
Info biografiche:
Silvia Mazzocchi classe 1975. Irvi75 nel mondo dei social network.
Professione: Ha un contratto a tempo indeterminato con l’ansia, ma mira a far carriera nel mondo della calma. Sport praticati: è medaglia d’oro olimpica nel lancio della polemica e argento nel triplo salto carpiato della crisi di nervi. Lingue parlate: il sarcasmo. Studia da anni la diplomazia, ma non riesco proprio a farmela piacere.
Dipendenze: burro di arachidi e gorgonzola. Come combatte i momenti di crisi: aggiunge al carrello. Pregi: Parla troppo, scrive troppo, beve troppo, fuma troppo e dice un sacco di parolacce, ma ho anche dei difetti. Sogno nel cassetto: il folletto, ma per ora ha investito in altri beni di lusso come la psicoterapia. Religione: è atea ma dal lontano 1988 prega il suo Dio. Il sui Dio si chiama Vasco. Vasco Rossi.
Tellus è la dèa madre di tutti i luoghi del mondo che sono luoghi per l’uomo. È la dèa madre di tutti gli uomini vivi e non vivi. È nume del grande spirito della creazione, della genesi e della rinascita. In lei tutti noi nasciamo, moriamo e rinasciamo. Noi, le piante, gli animali.
Servo, sacerdote e custode della dèa Tellus è il contadino, figlio e coltivatore della terra. Antichissimo è il canto del contadino, antico è il suo lamento e antico il suo presagio. Lavoratore per destino e filosofo per necessità, il contadino è da sempre simbolo di inattuale: respinto dal tempo che si ammoderna e svilito dalla veloce urbanità, esautorato sino all’inutilità dall’uomo zelantemente operoso, dimenticato dai grandi agglomerati sociali, il contadino è sopravvissuto alle robuste riforme delle strutture del mondo, alla corsa del progresso e della emancipazione, alla cinica desertificazione del pianeta, fino a diventare retaggio di una cultura scomparsa e, allo stesso tempo, eroe della resistenza dentro l’edonismo della glamour age.
Per restare in vita, malgrado mutamenti e le trasformazioni che ne hanno minacciato l’esistenza, il contadino si è fatto più esile, più silenzioso, ha affinato il suo intelletto, si è affidato alla sua virtù di coltivatore della vita. È divenuto filosofo. Un giorno ha sollevato lo sguardo verso l’alto, spalancato gli occhi scuri e stanchi sulla grande apertura, verso quel cielo dischiuso che gli si stagliava davanti, e ha posto lo sguardo addosso all’orizzonte, addosso agli enigmi che aspettavano d’essere interrogati: i responsi di Tellus, magiche fantasticherie terrene, astrali, divine.
Tellus teme sopra tutte le cose il deserto. Per il contadino non esiste cosa peggiore del deserto. Somma avversità, il deserto è abbandono di ogni possibilità di vita, è annientamento del miracolo, affermazione della nullità. Il deserto è nomadismo obbligato, disorientamento, superficie senza fondo. Il deserto è fallimento della vita: esso è contrario alla vita perché dalla sabbia non può sorgere la vita. Il deserto è un aggregato di frantumi destinati a rimanere per sempre slegati l’uno dall’altro: il deserto è quanto di meno fecondo esista in tutto l’universo.
Unico tra gli uomini, il coltivatore della terra è stato eletto dagli dèi quale ultimo paladino della vita che sa radicarsi in profondità. La sua visione è possente: nessuno al pari del contadino ha la divinatoria cognizione della vitalità del suolo. Egli, impavido, si impregna degli scompigli che giungono dall’abisso, cattura il fremito quando attraversa la crosta continentale, assorbe i sussulti tellurici cavernosi e sconfinati; li accoglie magnanimamente in sé, li mastica e rimastica alla maniera di un ruminante, se li tiene nascosti dentro nelle viscere, li lascia migrare su e giù per i precordi e infine li assorbe nei dendriti dei neuroni. Ne fa in questo modo come di grano pane, ne fa sapere, ne fa canto. Egli canta il suo verso con il coraggio di chi abita la dimora del quasi-vero.
La relazione tra James Joyce e Nora Barnacle iniziò il 16 giugno del 1904, giorno del loro primo appuntamento: una data che oggi coincide con il "Bloomsday", la festività istituita in onore dell'autore irlandese. L'appassionato legame con Nora, destinata a diventare amante, musa e moglie, fu fonte di ispirazione per innumerevoli dettagli descritti nelle opere dello scrittore dublinese. In questo volume viene riportata una selezione della loro corrispondenza; attraverso le missive è possibile ripercorrere alcune tappe di un rapporto intenso e senza tabù. Piccole e grandi gelosie, frammenti di vita condivisa, nostalgie e attese; e l'amore, naturalmente, declinato nelle prospettive che oscillano tra la dimensione eterea e l'erotismo spinto.
[Fine luglio 1904]
60 Shelbourne Road, Dublino
Mia particolarmente imbronciata Nora, ti avevo detto che ti avrei scritto. Ora scrivimi tu e dimmi che diavolo avevi l’altra sera. Sono sicuro che qualcosa non andava. Mi sembrava tu fossi dispiaciuta per qualcosa che non era accaduta – che sarebbe cosa molto da te. Ho cercato di consolare la mia mano da allora ma senza riuscirci. Dove sarai sabato sera, domenica sera, lunedì sera, dato che non potrò vederti? Adesso, adieu, carissima. Ti bacio quella fossetta miracolosa sul collo, il Tuo Cristiano Fratello di Lussuria.
J.A.J.
Quando tornerai di nuovo lascia i bronci a casa – pure i corsetti
Ecco “Le lettere a Nora” di James Joyce, libro a cura di Andrea Carloni, edito da Alter Ego Edizioni, in distribuzione da Maggio 2024.
È lo scambio epistolare l’espediente che Andrea Carloni utilizza nella sua realizzazione del testo. Il libro curato e tradotto da quest’ultimo, presenta una serie di lettere scambiate tra Joyce e Nora Barnacle, il cui appuntamento tenutosi il 16 Giugno, ispirerà alcuni eventi dell’opera Ulisse. Un testo moderno e contemporaneo, capace di accompagnare il lettore nella ricostruzione veritiera di personaggi ed eventi. Nora non è l’angelo del focolare, ma una donna voluttuosa, famelica, ribelle ed emancipata. Ella intrattiene con Joyce un rapporto, considerato per l’epoca dei fatti, infruttuoso e scandaloso. Una relazione che si concretizzerà ben dopo gli atti fisici in un matrimonio. Un rapporto viscerale, diretto, dove Joyce vede la sua musa “in posizioni grottesche, virginali, languide” e in cui ordina “concediti a me”. Una visione della vita ben precisa, quella presentata da Joyce e che Carloni cura con estrema efficacia. Una vita che svia da tabù e costrutti, gettandosi nell’esistenza libera, dove navigare a vele scoperte è la regola principale.
Un libro, quello curato da Carloni, capace di presentare le opere principali dello scrittore dublinese, e al tempo stesso ricostruire porzioni di tempo essenziali nella conoscenza di un autore senza tempo.
Sesso, debiti, malattie, scandali, delusioni, amore: un semplice e contorto distillato di vita, che a poco a poco mostra le sue parti nascoste, mostrando uno spettacolo contemporaneo e crudo, seguendo la scia di uno degli artisti di Dublino più famosi al mondo.
La relazione tra James Joyce e Nora Barnacle iniziò il 16 giugno del 1904, giorno del loro primo appuntamento: una data che oggi coincide con il "Bloomsday", la festività istituita in onore dell'autore irlandese. L'appassionato legame con Nora, destinata a diventare amante, musa e moglie, fu fonte di ispirazione per innumerevoli dettagli descritti nelle opere dello scrittore dublinese. In questo volume viene riportata una selezione della loro corrispondenza; attraverso le missive è possibile ripercorrere alcune tappe di un rapporto intenso e senza tabù. Piccole e grandi gelosie, frammenti di vita condivisa, nostalgie e attese; e l'amore, naturalmente, declinato nelle prospettive che oscillano tra la dimensione eterea e l'erotismo spinto.
Info biografiche
BIO AUTORE (James Joyce)
James Joyce è certamente uno dei più grandi autori del XX secolo e le sue opere sono tra le pietre fondanti della moderna letteratura. Nonostante ciò, il suo genio non venne subito riconosciuto. Scelse sin dalla gioventù una vita di esilio, caratterizzata da ristrettezze economiche e una costante tendenza alla precarietà. La sua frequentazione fuori dal matrimonio con Nora Barnacle fu per i tempi scandalosa e gli atteggiamenti che ebbe nei confronti della sessualità, della politica e del cattolicesimo risultarono sempre molto complessi e controversi. Scrittore cosmopolita, mantenne però un fortissimo legame territoriale con Dublino, sua città natale, in cui ambientò quasi tutti i suoi scritti, fra i quali la raccolta di racconti Dubliners e Ulysses, romanzo fondamentale nella svolta modernista della storia letteraria del Novecento.
BIO CURATORE/TRADUTTORE (Andrea Carloni)
Andrea Carloni è nato nel 1977 a Roma, dove attualmente vive. Ha pubblicato la raccolta di racconti Chi mai in qualche dove (Caravaggio, 2019), il romanzo Lissy è stata qui (Leonida, 2022), la traduzione di Musica da camera di James Joyce con postfazione di Enrico Terrinoni (Castelvecchi, 2022) e i componimenti sperimentali FemminiciDio e altri stupri (Amazon, 2024). Conduce su YouTube e Spotify il canale/podcast “Ritratto Di Ulisse” con approfondimenti e interviste a esperti di Joyce. Si occupa di poesia e traduzione come redattore in "Laboratori Poesia" (Samuele Editore) e pubblica articoli, interviste, traduzioni, poesie su lit-blog come Nazione Indiana, Atelier Poesia, Limina, Poetarum Silva, Clandestino, Equi-Libri Precari e Fogli Bianchi.
I giorni passano e si rincorrono l'uno con l'altro senza posa alcuna. Ci sono momenti che sembrano scanditi dalla sola monotonia del tempo, quando esistere e sopravvivere diventano trama e odissea della stessa storia. Altri, invece, anelano a quei fugaci istanti di libertà capaci di riconoscere alla vita la più preziosa accezione.
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Un racconto nostalgico come la più dolce elegia che veste il tempo, la vita e noi.
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La colpa che sottende l'epifania nel risalire la china intercettata come ostile, non canta le parole che scendono silenti dagli sguardi di una codarda.
La discrepanza dovuta certo al clima di desolazione assoluta in termini individuali e,sicuramente dopo aver immediatamente avvertito la repentina chiusura di porte con tanto di blocchi sociali.
Certo è che l'immagine disgregante non sortisce affatto l'effetto di una qualsivoglia sequenza finale di stabilità, servirebbe spiegare altresì molte cose tra cui l'asciutto movimento analogo alle processioni di una colonia di formiche fuoriuscite dal ginepraio grazie all'intervento di una badilata sulla montagnola di terra putrida.
A prescindere dai momenti annichilanti dell'intera programmazione, riferita in tal senso, si dovrebbe fare lo sforzo di una masochista a cui il suono della frusta, evoca degli esercizi che non sono affatto esempi da divulgare come mera decisione personale.
La voce, tenuta in un' ambiente protetto dagli sguardi malevoli della piaggeria da inquisizione, fatica a venir fuori,come sarebbe una qualsiasi situazione di ingerenza da parte delle insulse manfrine ,smancerie che invadono in tutte le successive parti nel valutare un contesto specifico e ripetitivo.
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