Pensieri al bar durante una birra…
Il rischio è che il pensiero della fine, della mia fine diventi la fine del mio pensiero. Ma c'è un pericolo molto più grave che incombe sulle nostre teste, ovvero che il pensiero della fine della nostra civiltà si tramuti nella fine del pensiero della nostra civiltà. Non è purtroppo un semplice gioco di parole. Non è un bisticcio di parole. Sto ragionando su queste cose mentre mi sto bevendo una birra. La ragazza del bar mi ha chiesto se ho appena staccato dal lavoro e io le ho risposto che sono disoccupato. Poi mi sono seduto e ho iniziato a pensare. Mi basta una birra. Mi serve a evadere dai soliti schemi mentali. Mi sono messo in un angolo in disparte. La prima cosa che penso è che aveva ragione Voltaire quando nel Candido scriveva che il lavoro tiene lontani gli uomini da tre mali, ovvero "la noia, il vizio, il bisogno". Poi la barista parla con un tipo. In parte ascolto la loro conversazione, in parte penso. Può darsi che la mia fine e quella della nostra civiltà siano imminenti (molto probabilmente è certa non solo la mia fine ma anche quella della nostra civiltà), però non bisogna abbattersi, non bisogna abbandonare la nostra ragione perché è quel poco che abbiamo, che ci dobbiamo tenere stretti. Infatti si può accedere alle filosofie irrazionaliste solo con la nostra razionalità; il razionalismo diventa perciò strumento e premessa indispensabile dell'irrazionalismo. In fondo siamo nella maggioranza dei casi razionalisti e anche coloro che abbracciano filosofie irrazionaliste per capirle devono utilizzare molto la ragione per capirle. A onor del vero qualsiasi uomo di cultura è una mistura, un gran calderone di razionalità e irrazionalismo. In definitiva la premessa di alcune forme di irrazionalismo è che la ragione, la metafisica, la scienza non siano sufficienti per comprendere la realtà, fino a giungere all'irrazionalismo più radicale, ovvero che tutto sia governato dal caso e che la realtà, la stessa vita non abbiano un senso. Non mi spaventa il discrimine filosofia razionalista/filosofia irrazionalista perché qualsiasi filosofia non può collocarsi fuori dalla ragione. Le filosofie irrazionaliste postulano con gli strumenti della ragione l'irrazionalismo. In fondo Nietzsche e compari denunciano il nichilismo della nostra civiltà. Mi spaventa invece la mancanza di razionalità che sta dietro la totale ignoranza umanistica. Mi spaventa l'irrazionalismo che vorrebbe mettere da parte ogni cultura umanistica, finendo così per metterla definitivamente in crisi: è un irrazionalismo ben presente nella razionalità scientista ed è molto più insidioso di quello dei filosofi irrazionalisti. Infatti le filosofie irrazionaliste per fare danni dovrebbero veramente avere presa nella popolazione ma perché ciò accadesse dovrebbero essere conosciute a fondo da gran parte della popolazione: la cosa invece non accade perché esse non sono popolari, influenzano e autoesaltano una sparuta minoranza di persone. Ma mi rendo conto che anche Heidegger in buona parte la pensava così, che razionalismo e irrazionalismo si intrecciano vicendevolmente, che non c'è modo per distinguerli veramente. È vero che nelle scienze umane è stato dimostrato che non siamo solo ricercatori di ordine e coerenza, che la nostra razionalità è limitata. Ma almeno in psicologia queste scoperte di alcuni decenni fa non sono state la premessa di alcuna psicologia irrazionalista. Un altro rischio è insito in certo cristianesimo equivocato, secondo cui bisogna pregare tralasciando la ragione, secondo cui la cultura è presunzione oppure secondo cui la cultura laica allontana dalla fede. Bisognerebbe ricordarsi che per Sant'Agostino fede e ragione non si escludevano, così come si dovrebbe ricordarsi che si può usare la ragione e avere fede, speranza, carità. Scrivevo che non bisogna abbandonare il pensiero, per quanto non si possano concepire la vita e il mondo solo con il pensiero. È vero che c'è la minaccia costante che ogni cultura si riveli fasulla, che ogni pensiero si riveli improduttivo di fronte a qualsiasi tipo di fine, ma dobbiamo immaginare il pensiero, almeno quello della nostra civiltà, come immortale. Forse finirà la nostra civiltà ma quasi certamente sopravviverà il pensiero, la cultura di quella civiltà. Certamente c'è anche il rischio dell'Apocalissi, allora c'è la minaccia annessa e connessa della tabula rasa, della scomparsa completa della civiltà. Ma perché essere così pessimisti e pensare che per forza di cose tutto debba finire? In fondo Cioran scriveva che una nuova civiltà verrà fatta con i reietti della vecchia civiltà. Chi l'ha detto che il cosiddetto ricambio generazionale debba per forza di cosa celebrare il passaggio dai padri ai figli e non debba invece coinvolgere i reietti, gli eslegi? In fondo Cristo gridava contro i farisei e apriva le porte dei cieli ai pubblicani, alle prostitute, ai ladroni. Ci deve consolare il fatto che l'umanità, se si saprà salvaguardare, può essere immortale. A volte però penso egoisticamente che può anche non interessarmi questo scenario futuribile dell'Apocalissi in quanto non lascerò al mondo dei figli. Ma a volte ci penso a coloro che verranno, anche se qui si naviga a vista, tra molte incertezze, spaesamenti, incognite. Probabilmente non posso fare niente di concreto, di tangibile per loro. Posso solo continuare a pensare tra mille difficoltà, ringraziando Dio e un poco me stesso perché non mi autodistruggo, e forse questo è già un primo passo, forse è già qualcosa. Mi alzo. Ho già pagato il conto. Ho finito la birra. Dico alla barista che mi ci voleva proprio una birra. Auguro buona giornata, saluto ed esco. Ritorno a casa.