Sulla comunità letteraria tutta o quasi di sinistra…
Nella comunità letteraria non si può non essere di sinistra. È un dovere, un obbligo morale, un imperativo categorico, una legge non scritta ma per ognuno sempre vigente. L'imprinting è quello, il background è quello, il contesto culturale pure. La scuola italiana rientra legittimamente a pieno diritto nella cosiddetta fabbrica progressista. I liberali, la destra, i non allineati hanno la colpa di non opporsi allo status quo. Talvolta penso che abbiano il merito, anche se involontario, di non opporsi, dato che molti di loro addirittura farebbero peggio. Non invoco l'alternanza delle parti, ma almeno letterariamente parlando la comunità poetica dovrebbe sentire voci fuori dal coro e invece vogliono il dominio assoluto, non accettano pareri discordanti. La letteratura è cosa loro. C'è poco da fare. Non è consentito essere contro. Perfino i Berlusconi, come editori, lasciano le cose come sono e al massimo invece di proporre autori liberali o destrorsi validi propongono al pubblico i soliti vip e i soliti personaggi televisivi. I migliori, la crema, il non plus ultra sono di sinistra. Ergo chi sei tu per discostarti, per distinguerti, per non appartenere a questa eletta schiera? Ma questa cosa non si può dire. È il segreto di Pulcinella, ma guai a dirlo! Ti tocca l'ostracismo artistico se lo dici. Già è successo che ti stroncano se togli l'amicizia su Facebook a qualche sedicente critico o presunto maestro di poesia (hai capito l'imparzialità e l'equanimità della critica?), figuriamoci se ti dichiari non di sinistra. Come ho già scritto, io sono un liberale apartitico e non me ne frega niente degli scambi di favori in ambito letterario. Nelle interazioni cerco di essere gentile e cordiale con tutti per garantire rispetto ed educazione. Se poi questo viene equivocato e scambiato come arruffianamento o servilismo che vadano pure a farsi fottere! Se poi uno volesse entrare nelle grazie di questo o quel letterato invece di averci a che fare online, come posso far io, dovrebbe andare a trovarlo di persona a casa oppure dovrebbe andare alla presentazione di un suo libro. Io questo non l'ho mai fatto proprio perché non sono un leccaculo. Poi io non vado a raccomandarmi ai politici per avere un lavoro, figuriamoci se vado ad arrufianarmi a qualche poeta o a qualche critico o presunti tali! Per cosa poi? Per la gloria, visto e considerato che i soldi non entrano nelle tasche di chi si occupa di poesia o di chi la scrive? Io come nella vita reale, ho deciso anche quando scrivo di essere me stesso, di scrivere pane al pane e vino al vino, a costo di essere solo. Lo so bene che le persone leggono i miei scritti, dove esprimo opinioni controcorrente, e possono dissentire, possono storcere il naso, addirittura possono avercela con me. È un rischio che ho messo in preventivo, che so di correre. Ma cosa possono farmi? Togliermi un lavoro che non ho? Togliermi amori o amicizie che non ho? Tutt'al più possono criticarmi, ma anche io potrei fare altrettanto. Tutt'al più possono criticarmi, ma le loro critiche non mi tangono per niente; perdipiù la stragrande maggioranza dei loro siti non rispetta fedelmente il gdpr del 2018 e chiunque (anche io) può segnalarli al garante della privacy con la possibilità di venire multati in modo salato. D'altronde non vedo perché loro non rispettino le leggi? Vigliaccamente possono prendersela con me, come se non piovesse già abbastanza sul bagnato. La stragrande maggioranza dei letterati sono forti coi deboli e deboli coi forti. L'apice lo raggiungono quando si schierano politicamente, sempre in cerca come sono di raccomandarsi a qualcuno o di chiedere piccoli favori. I letterati si spalleggiano l'un l'altro spesso, si danno manforte. La comunità letteraria è costituita soprattutto da quelle che io chiamo cricche, ma che il direttore di un quotidiano, ovvero Travaglio chiama addirittura cosche. Tutto va bene e uno può avere i suoi riconoscimenti se non pesta i piedi a nessuno e si comporta da vero conformista. Io invece dico sempre la mia sul web e sono onorato di non appartenere a nessuna scuola di pensiero o di scrittura, rivendicando la mia indipendenza (è chiaro che ho anche io delle persone che stimo molto). Ma cosa cerca il letterato, il poeta, vero o presunto? La legittimazione culturale, l'essere riconosciuto culturalmente! A me non importa niente di tutto ciò. Qualcuno può pensare che io sia un frustrato, che sia la storia della volpe e dell'uva, etc etc. Ebbene io non ho voluto mai pubblicare a pagamento né ho mai inviato una mia raccolta di componimenti poetici a una grande casa editrice. Non prendiamoci in giro: è molto difficile pubblicare con una grande casa editrice, ma tutti possono pubblicare con una piccola e infatti la stragrande maggioranza degli autori pubblica a pagamento. Pubblicare non è un traguardo culturale, non è assolutamente il conseguimento di niente spesso, ma nella stragrande maggioranza dei casi è solo il segno che si è messo mani al portafoglio per pubblicare. Non prendiamoci in giro. Anche nei pochi casi di pubblicazione non a pagamento una raccolta poetica non incide sulla realtà. Come scriveva la bravissima Patrizia Cavalli le mie poesie non cambieranno il mondo. Quindi coloro che si sentono "arrivati" perché hanno pubblicato a mio avviso ripongono ambizioni sbagliate e false speranze. Posso capire che si sentano sicuri del fatto loro gli autori Einaudi, Crocetti o Mondadori, ma la strada per un autore è sempre impervia e difficile. Quello della poesia è un mercato di nicchia che non fa profitti. Io scrivo come e quando mi va senza timbrare il cartellino. Scrivo per passione, anche se c'è sempre qualcuno che cerca di togliermi la passione e la voglia di scrivere. Siamo un attimo lucidi e realisti: al mondo non importerà niente dei miei scritti come di quelli del 99,9% degli scriventi. In ogni caso, per dirla alla Montale, lasciamo poco da ardere. Solo quelli che pubblicano con grandi case editrici o sono professori universitari potranno dire la loro ai posteri. Per il resto è più difficile la gloria postuma, sebbene oggi tutti si ricordino di Dino Campana, che in vita era considerato un matto, e di Pessoa, che pubblicò solo su qualche rivista ed era un alcolizzato solitario. Nessuno può quindi sapere come andrà finire. Si sa però in linea di massima come vanno le cose, come si sa chi tiene i fili. In ogni caso è meglio essere sé stessi, a dispetto di tutti e di tutto. È questione di onestà intellettuale e anche di stare bene con sé stessi. Infine, come scrivo e dico sempre, mai snaturarsi!