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    RACCONTO DI UN PROFUGO

    Un medico di nazionalità curda, ricorda ancora le bombe, gli aerei di guerra sempre in volo, la paura di suo padre che non andava a lavorare ma si nascondeva perché temeva di essere reclutato per andare a combattere contro l’Iran, in una guerra senza senso. Dice che i bambini non la capiscono mai, la guerra, ma imparano a combatterla, a loro modo, prima sopravvivendo, poi impegnandosi in qualc... Altro...
    Un medico di nazionalità curda, ricorda ancora le bombe, gli aerei di guerra sempre in volo, la paura di suo padre che non andava a lavorare ma si nascondeva perché temeva di essere reclutato per andare a combattere contro l’Iran, in una guerra senza senso. Dice che i bambini non la capiscono mai, la guerra, ma imparano a combatterla, a loro modo, prima sopravvivendo, poi impegnandosi in qualche causa. Ed è vero, il dottor Goder parla della sua terra e della sua gente con l’orgoglio di chi non si tira indietro: in questa nuova devastante guerra, i curdi combattono il terrorismo dello Stato islamico in nome di tutto l’occidente. Goder, combatte questa guerra a modo suo: attivandosi per la pace e la salvezza dei suoi fratelli. Attende che il fato gli affidi un pezzo di campo profughi dignitoso, dove le persone possono almeno nutrirsi e dormire. Un angolo anche buio e sporco ma pur sempre un posto dignitoso per quei bambini costretti al nomadismo e alle privazioni, un momento di scuola dove trovarsi, e volersi bene.

     

    "Non posso dimenticare il pianto di bambini migranti... lì sul limbo serbo dopo aver attraversato la rotta balcanica.

    Ho visto adulti e bambini ammalarsi, e morire di fame e di freddo.

    Ho fatto migliaia di chilometri a piedi, per arrivare sino a qui, con quei pochi soldi risparmiati in tutta una vita: denaro raccolto facendo le collette davanti alle chiese; ho venduto la casa che mi aveva lasciato mia madre e gli animali.

    Ora non ho più paura, il freddo è il meno che mi possa capitare.  

    Voglio andare avanti, come gran parte dei profughi afghani e pakistani accampati dentro le stazioni, ho attraversato mari e montagne in Iran e Turchia, mi sono fermato nei centri di accoglienza greci, bulgari, macedoni, prima di raggiungere Belgrado.

    Vorrei che qualcuno mi aiutasse, e aiutasse la nostra gente.

    In verità io penso che la gente non sia così stupida, ha solo bisogno di verità la gente come me...

    Mi sento completamente disarmato di fronte a tanta sofferenza.

    Siamo poveri e spogli di tutto e tanto sporchi di fango, ma quello che mi fa più male è il fango della loro indifferenza. L’indifferenza di chi sta meglio di noi, di chi non capisce e non può capire perché ha avuto una vita più facile della nostra.

    Oh Dio, quanto vorrei trovare un pezzo di terra! Un pezzo di campo profughi dignitoso, di attesa, dove le persone possono almeno nutrirsi e dormire. Un angolo anche buio e sporco ma pur sempre un posto per questi bambini costretti al nomadismo e alle privazioni, un momento di scuola dove trovarsi.

    Cammino dentro la Storia. Una parte di Storia che non avrei mai voluto vivere.

    Dio, come sono straordinari quei bambini sfortunati, e nei loro occhi s’intravedono ancora le fiamme dell’inferno. Hanno ancora i segni di quelle fiamme, li portano anche sul viso, sulle braccia, sui piedini scalzi.

    Le mie parole si perdono oltre la sconfinata vallata.

    Perché è facile parlare di guerra senza averla mai vista, senza saperne nulla, senza conoscerne gli effetti devastanti sulla vita – ma quando ti ci trovi davanti, capisci che le parole giuste, in realtà, non esistono.

    Esistono, al più, silenzi giusti, e forse, in taluni casi, neanche quelli.

    Decine di centinaia di famiglie siriane sono fuggite dal clamore della guerra, nascoste in silenzio in casolari, stalle, garage abbandonati di questa splendida, meravigliosa città di frontiera.

    Rifugi abbandonati da chi, prima di loro, è fuggito dal fragore dei missili, dalla certezza della morte.

     Da questo confine sono verosimilmente passati più di quattro milioni di profughi.

    Un'intera generazione di bambini siriani sta crescendo senza avere mai conosciuto la pace.

    Non c’è stata pace per noi. La mia infanzia era scandita da bombe e morti, mio padre restava nascosto in casa per non essere preso e mandato a combattere contro gli iraniani in una guerra non nostra.

    La mia, era una bella famiglia, ricca delle cose essenziali, amore e cultura; amavo la musica e i miei mi fecero studiare pianoforte.

    Non potendo mai uscire da casa per la guerra, suonavo tutto il giorno la pianola... poi un giorno, decisi di scappare.

    Ben presto, però l’invasione irachena spezza ogni sogno e ci costringe a un esodo biblico: tra le colonne interminabili che s’inerpicano sulle montagne desertiche, c’è anche il mio piccolo fratello Omar.

    L’arrivo in campo profughi, il freddo, la calca tra bambini per afferrare cibo e acqua dai camion di aiuti rende la nostra casa, un sogno lontano, pensavo alla mia pianola, che non l’avrei più rivista... eravamo nudi e senza niente.

    Ho sofferto come un cane, per non poter donare il mio aiuto agli altri, cosa potevo dare ai miei sfortunati fratelli se io stesso non avevo nulla... neanche il fiato per respirare, e neanche più gli occhi per piangere.

    È stato allora che, decisi di diventare medico.

    Volevo offrire qualcosa al mio popolo innocente e disgraziato. Noi curdi chiedevamo solo pace, ma nei secoli siamo sempre stati aggrediti e martoriati.

    Anche oggi, siamo in guerra contro Isis. Sono stati anni duri, a causa dell’embargo e della nuova guerra tra Usa e Iraq; mancava la corrente e studiavo con la boccetta di petrolio accesa sui libri, ma non demordevo, e i miei genitori fecero di tutto perché io e mio fratello minore avessimo un’istruzione.

    Avrei voluto conquistare almeno la dignità di essere riconosciuto come un essere umano e il diritto di sognare un futuro per me e per gli altri. Che poi è l’unica ragione che muove il mondo, e lo rinnova.

    Il mondo è abbastanza grande da accogliere tutti quanti noi, apriamo le porte, costruiamo i ponti, edifichiamo la pace. Perché malattie e morte ce ne sono state abbastanza... e non serve solo odiare e condannare.

    Bisogna trovare la forza per unirsi contro la barbarie e la violenza, non solo per garantire e difendere la democrazia, minacciata da forze oscurantiste d’inusitata mostruosità.

    È da condannare ogni silenzio nei confronti di queste tragedie e bisogna invece sostenere chi da sempre è impegnato in prima linea per il dialogo tra le religioni e le culture e per lo sviluppo dei principi di pluralismo e rispetto della libertà.

    È stata una giornata molto intensa.

    Affiora la stanchezza e sono tanti i sentimenti che ho accumulato in tutte le visite che ho fatto. Davanti ai miei occhi scorrono gli occhi di tutte le bambine e i bambini che ho incontrato, abbracciato e ascoltato.

    Gli occhi appassionati degli operatori sanitari che ho ammirato.

    Qualcuno di noi cede e da spazio alle lacrime: è giusto così, non si riesce a tenere tutto dentro, non è umano. Come è disumana questa guerra, anche se è, voluta da uomini.

    Oggi Sento forte l'orgoglio di lavorare per chi ha bisogno.

    Oggi sono un medico del mondo, sono il soccorritore dei poveri e dei miseri.

    Il lavoro che faccio sul campo è indispensabile ed efficace allo stesso tempo.

    Sì, perché... mentre tu hai una cosa, può esserti tolta. Ma quando tu dai, ecco, l’hai data. Nessun ladro te la può rubare.

    E allora è tua per sempre.” Il silenzio e l’indifferenza, certe volte, fanno più danno delle bombe.”

    Teresa Averta

     

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    CARA MAESTRA…

    Mia caro stato, ho scritto una letterina l’altro giorno alla mia maestra, e l’ho scritta guardando il mondo dalla finestra... pensavo e penso che la scuola che vorrei sia solo un sogno, ma come ogni bambino a me piace sognare e ho scritto così:-Cara maestra, quanto vorrei che la nostra scuola fosse diversa! Mi piacerebbe una scuola nella quale ci sono persone “dal volto umano” e non ... Altro...

    Mia caro stato, ho scritto una letterina l’altro giorno alla mia maestra, e l’ho scritta guardando il mondo dalla finestra... pensavo e penso che la scuola che vorrei sia solo un sogno, ma come ogni bambino a me piace sognare e ho scritto così:

    -Cara maestra, quanto vorrei che la nostra scuola fosse diversa! 

    Mi piacerebbe una scuola nella quale ci sono persone “dal volto umano” e non costruite in laboratorio, a cominciare dalle bidelle, dal custode, fino ad arrivare alle maestre e al Signor Preside. Nella scuola che vorrei ci sono lavoratori umili che, senza sostegno alcuno da parte delle istituzioni locali e nazionali, combattono la battaglia più dura e importante della nostra società: quella di formare noi bimbi, dall'asilo all'ultimo anno del liceo, passando per le elementari e per le medie, l'ossatura, il centro nevralgico della formazione di un ragazzo che si affaccia all'età adulta. Tutte persone normali che con tanto impegno, tanta fantasia, tanta buona volontà, provano giorno dopo giorno a fare il loro mestiere, importante e centrale nella nostra società, con onestà e dedizione. La scuola che vorrei è una scuola nella quale non ci sono i figli dei professionisti, dei notai, degli avvocati, dei professori universitari, dei magistrati o dei politici, ma è la scuola degli extracomunitari, degli immigrati e degli abbandonati. Perché i bambini non si devono disperdere, ma hanno tutti il diritto di entrare nelle scuole pubbliche. La scuola che vorrei non è nel quartiere bene, nella strada storica dove ci sono eleganti atelier o nelle vicinanze della storica piazza ritrovo della gioventù per bene della città. 

    No, no di certo. La scuola che vorrei è nei quartieri difficili, a ridosso delle periferie dimenticate e abbandonate dallo Stato. A volte immersa tra le piazze di spaccio e i mercatini dove la gente spende i propri risparmi nel quotidiano per mettere il pane a tavola e nulla più. 

    E accoglie la scuola che vorrei, tutti, ma davvero tutti: dal figlio dell'impiegato al figlio del commerciante, dalla figlia del cassintegrato ai figli di chi un lavoro non l'ha mai avuto e mai l'avrà; probabilmente, in questa Italia devastata da una politica che non favorisce lo sviluppo e non consente al mondo del lavoro di riprendere fiato.

    Nonostante questo, la scuola che vorrei ce la fa. E mentre ce la fa, diventa anche esempio di grande civiltà, d’integrazione buona, adottando programmi di accoglienza dei meno abbienti, dei non italiani, dei bambini provenienti da altre etnie e culture vincendo premi comunali, regionali e a volte anche nazionali. E riesce -tra mille pressioni delle lobby interne finanche al Ministero, al Provveditorato e della politica interessata ai voti delle lobby- a tenere fuori dalle aule dei bambini la terribile e infernale cultura bieca del gender, proponendo in alternativa programmi nei quali la Famiglia è comunione inscindibile tra un uomo e una donna, e il rispetto è uno dei valori fondamentali tra esseri umani.

    La scuola che vorrei, infine, tra tanti stenti e senza la benché minima ombra di risorse economiche, in questo periodo ricorda la tradizione, e fa vivere a tutti i bambini, la magia del Natale. A scuola si organizzano balli e canti, saggi e recite, per far sentire il calore natalizio a noi piccoli e ai nostri genitori e per far capire che, nonostante tutto, la comunità dei valori della buona tradizione scolastica italiana può ancora perpetuarsi di generazione in generazione, che la comunità dei valori della scuola italiana è e deve restare ancora comunità di popolo, è, e deve restare comunità di famiglie vere. E non capisco e non voglio imparare paroloni come Indifferenza, Individualismo, ed Egoismo. Competitività, Edonismo, e Arrivismo. Sono questi soltanto alcuni dei “valori” che caratterizzano le nostre generazioni. Non si rendono conto ma gran parte del carattere, della personalità e del bagaglio di valori che ci cuciamo addosso per tutta la vita li assorbiamo sui banchi di scuola, fin dall'asilo, fin dalle elementari... poveri noi!

    -Meravigliosa la tua lettera! Così ha detto la mia maestra. - 

    E dopo averla corretta e messo “bravissimo”, ha voluto finirla così:

    - In questa cornice descritta dal mio alunno, un quadro reale che forse visto con gli occhi di un bambino diventa ancora più vero e assume chiarezza e nitidezza, la scuola riveste una centralità strategica per formare le nuove generazioni. Generazioni di giovani appartenenti a un'Italia non più soltanto italiana ma europea, nella quale i valori della difesa della famiglia e della vita sono sotto attacco da parte della cultura mortifera, "del tutto è permesso”, in nome di falsi miti di progresso che vogliono trasformare la società di valori in società di aberrazioni.

    Oggi sono un’insegnante preoccupata in un'epoca storica nella quale non s’intravede più la luce, alla fine del tunnel, di una crisi economica che sta portando buio, depressione, devastazione e che per questo mette in discussione tutto, persino le certezze fin qui, sempre, considerate tali.

    Per fortuna sono anche un’insegnante felice perché ancorata a sani principi tradizionali, e porto avanti il valore dell'educazione in questa difficile realtà.

    Non è tutto oro quel che luccica, è vero ma tutto quel che si “fa a fin di bene” senza un soldo bucato diventa oro, e quell'oro, giorno dopo giorno, costruisce il tesoro della formazione grazie alla quale sono convinta che i nostri bambini saranno dei ragazzi migliori domani.

    Teresa Averta

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    CREMINO IL TROVATELLO

    La tua e la mia, mio caro figlio, sì perché, per me sei un “ figlio” CREMINO! Ho partorito tre figli, e il dolore è scomparso come un fulmine a Ciel sereno, alla gioia di vedere le mie creature venire alla luce. Ma per te non è stato così. Tu sei per me, non un figlio qualunque, ma sei il figlio speciale, che ho “trovato” e che ho salvato, mio piccolo trovatello.Nel mio feedback menta... Altro...

    La tua e la mia, mio caro figlio, sì perché, per me sei un “ figlio” CREMINO! Ho partorito tre figli, e il dolore è scomparso come un fulmine a Ciel sereno, alla gioia di vedere le mie creature venire alla luce. Ma per te non è stato così. Tu sei per me, non un figlio qualunque, ma sei il figlio speciale, che ho “trovato” e che ho salvato, mio piccolo trovatello.

    Nel mio feedback mentale, scene strazianti ricalcano il teatro dei ricordi.

    Nella mia mente lucida e chiara, mi rivedo ancora, in compagnia di Serena -la mia amica del cuore- a passeggiare lungo via dei Glicini in Fiore … era nostra abitudine, dopo aver servito e riverito gli ospiti del Bed and Breakfast, fare delle lunghe passeggiate serali, dopo cena, prima di andare a dormire.

    La luna ci teneva compagnia mentre i nostri “quattro passi” rilassavano il corpo e smaltivano le nostre fatiche quotidiane. Ecco che, all’improvviso, la nostra chiacchierata fu interrotta bruscamente da alcuni forti gemiti, che non provenivano da così lontano e non promettevano nulla di buono. La nostra prima reazione fu di stupore misto a spavento. Serena, di scatto si voltò… per capire bene da dove arrivassero simili lamenti. Anch’io, dopo qualche secondo di esitazione, mi girai, e il mio sguardo si posò in direzione della postazione dei cassonetti della spazzatura. Serena ed io, velocemente ci avvicinammo, non curanti del cattivo odore dell'immondizia, per sentire meglio; il lamento era sempre più forte e acuto. Non si vedeva nulla, proprio nulla!

    Era buio. I nostri occhi stanchi non ci aiutavano a distinguere tra i sacchetti neri e sporchi e le bottiglie di vetro accantonate dalla differenziata, sana consuetudine del nostro comune montano.

    Monterotondo è sempre stata una città pulita e ordinata, e meta turistica di molti visitatori, perché città bella da visitare, e inoltre ospita intellettuali e poeti, ogni anno, per gli eventi culturali.

    Serena ed io ci guardammo negli occhi, e immediatamente, senza pensarci tanto…con grande forza di volontà, spostammo tutti i sacchetti puzzolenti. Eravamo ansiose e curiose di sapere, di vedere chi fosse quella fragile e indifesa creatura, nascosta in quel marciume. La paura e l’ansia crescevano ai massimi livelli, al pensiero che potesse trattarsi di una creatura umana.

    Man mano, si discriminavano le buste dell’immondizia, il lamento si faceva più intenso e acuto. Serena urlò: -Rita è un animale; è un cane! Ed io guardando con occhi smarriti aggiunsi:- mio Dio, sì, lo vedo. Forza, coraggio tiriamolo fuori!

    La mia amica Serena lo afferrò, e lo tirò fuori da quella tana sudicia, dove avrebbe trascorso la fine dei suoi giorni, tra dolori indescrivibili e sofferenze atroci. Non appena Serena lo consegnò alle mie braccia, un dolore forte mi colpì al centro del cuore. La mia anima si straziò alla vista di tutto quel sangue.Il nostro trovatello era ferito, insanguinato e dolorante in varie parti del corpo. Non riusciva a respirare. Il suo fiato era corto. Pensavamo che morisse. Una folle corsa a casa, fu la sfida al tempo che gli rimaneva da vivere. Una creatura, che muta, e con gli occhi rivolti al cielo, chiedeva la grazia della vita. E nessun perché avrebbe dato la risposta al suo crudele e inevitabile destino. A gambe levate, e come cavalli infuriati in corsa agli ostacoli verso il traguardo della vittoria finale, arrivammo a casa. Serena corse al piano di sopra, a prendere garze, fasce, disinfettante e acqua pulita, mentre io adagiavo il cagnolino nel piano inferiore, in cucina, su un lenzuolo fresco e pulito. Era stremato povero cucciolo! Era un cane di piccola taglia di color crema con occhi grandi e neri. Era dolcissimo e mansueto, e mentre lo curavamo… ci guardava con occhi lucidi e tristi. Uno sguardo che esprimeva dolore e nello stesso tempo speranza di poter guarire al più presto per ritornare alla vita di sempre.

    Quel cagnolino, aveva voglia di guarire, tanta voglia di rivedere la luce. Aspettavamo con ansia che iniziasse a respirare regolarmente, e che cominciasse a scodinzolare e a correre verso la vita. Avremmo avuto un nuovo amico, un nuovo compagno di cammino e di giochi. Avremmo avuto Cremino, il nostro cucciolo trovatello, e il mondo sarebbe diventato più bello.

    Questa è la storia di CREMINO, un cagnolino abbandonato per strada dal suo padrone, buttato tra i rifiuti, in una via di Monterotondo, ma per fortuna trovato e portato in salvo da noi che ce ne siamo presi cura.

    L’ennesima storia che racconta l’insensibilità, l’incoscienza, la crudeltà e l’inciviltà di alcune persone verso gli animali e anche – e per fortuna – il gran cuore, l’amore e la generosità di altre.

    Questa storia, io l'ho immaginata dal punto di vista di CREMINO e ho voluto raccontarvela così. È tratta da un fatto realmente accaduto!

    È successo qualcosa di miracoloso, quando ormai ogni speranza sembrava vana; pare che Dio l’abbia fatto trovare a noi per salvarlo. Siamo degli angeli? No! Siamo persone speciali? No! Forse e senza forse siamo ESSERI UMANI che abbiamo deciso di salvare un essere animale ma pur sempre una creatura di Dio.

    Oggi CREMINO è vivo, è guarito e può cominciare una nuova vita, accudito da una persona speciale di Monterotondo che lo ama. Lo ama come un figlio!

    Sicuramente la sua brutta esperienza gli ha lasciato un segno per sempre. Anche a me e a Serena. CREMINO, però, saprà che esistono anche persone di cui si può fidare, buone e magnanime che riescono a riconoscere e a rispettare la vita in ogni essere vivente.

    Spero che questo racconto tratto da una storia vera, faccia il giro del web.

    Ho deciso di raccontarvelo perché voglio che sia conosciuto da più persone possibili. Mi piacerebbe che diventasse un manifesto contro la violenza e i maltrattamenti verso gli animali e un esempio perché tutti capiscano che i cani, come tutti gli animali, non sono dei giocattoli da utilizzare quando ci va e poi buttare via quando non ci piacciono più; non sono strumenti per il nostro spassa tempo, ma sono dei meravigliosi compagni di vita con un cuore che batte e devono essere amati e tutelati fino all’ultimo istante di vita.

    Teresa Averta

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