Storie recenti

  • in

    TELLUS – Ouverture

    Tellus è la dèa madre di tutti i luoghi del mondo che sono luoghi per l’uomo. È la dèa madre di tutti gli uomini vivi e non vivi. È nume del grande spirito della creazione, della genesi e della rinascita. In lei tutti noi nasciamo, moriamo e rinasciamo. Noi, le piante, gli animali.Servo, sacerdote e custode della dèa Tellus è il contadino, figlio e coltivatore della terra. Antichissi... Altro...

    Tellus è la dèa madre di tutti i luoghi del mondo che sono luoghi per l’uomo. È la dèa madre di tutti gli uomini vivi e non vivi. È nume del grande spirito della creazione, della genesi e della rinascita. In lei tutti noi nasciamo, moriamo e rinasciamo. Noi, le piante, gli animali.

    Servo, sacerdote e custode della dèa Tellus è il contadino, figlio e coltivatore della terra. Antichissimo è il canto del contadino, antico è il suo lamento e antico il suo presagio. Lavoratore per destino e filosofo per necessità, il contadino è da sempre simbolo di inattuale: respinto dal tempo che si ammoderna e svilito dalla veloce urbanità, esautorato sino all’inutilità dall’uomo zelantemente operoso, dimenticato dai grandi agglomerati sociali, il contadino è sopravvissuto alle robuste riforme delle strutture del mondo, alla corsa del progresso e della emancipazione, alla cinica desertificazione del pianeta, fino a diventare retaggio di una cultura scomparsa e, allo stesso tempo, eroe della resistenza dentro l’edonismo della glamour age.

    Per restare in vita, malgrado mutamenti e le trasformazioni che ne hanno minacciato l’esistenza, il contadino si è fatto più esile, più silenzioso, ha affinato il suo intelletto, si è affidato alla sua virtù di coltivatore della vita. È divenuto filosofo. Un giorno ha sollevato lo sguardo verso l’alto, spalancato gli occhi scuri e stanchi sulla grande apertura, verso quel cielo dischiuso che gli si stagliava davanti, e ha posto lo sguardo addosso all’orizzonte, addosso agli enigmi che aspettavano d’essere interrogati: i responsi di Tellus, magiche fantasticherie terrene, astrali, divine.

    Tellus teme sopra tutte le cose il deserto. Per il contadino non esiste cosa peggiore del deserto. Somma avversità, il deserto è abbandono di ogni possibilità di vita, è annientamento del miracolo, affermazione della nullità. Il deserto è nomadismo obbligato, disorientamento, superficie senza fondo. Il deserto è fallimento della vita: esso è contrario alla vita perché dalla sabbia non può sorgere la vita. Il deserto è un aggregato di frantumi destinati a rimanere per sempre slegati l’uno dall’altro: il deserto è quanto di meno fecondo esista in tutto l’universo.

    Unico tra gli uomini, il coltivatore della terra è stato eletto dagli dèi quale ultimo paladino della vita che sa radicarsi in profondità. La sua visione è possente: nessuno al pari del contadino ha la divinatoria cognizione della vitalità del suolo. Egli, impavido, si impregna degli scompigli che giungono dall’abisso, cattura il fremito quando attraversa la crosta continentale, assorbe i sussulti tellurici cavernosi e sconfinati; li accoglie magnanimamente in sé, li mastica e rimastica alla maniera di un ruminante, se li tiene nascosti dentro nelle viscere, li lascia migrare su e giù per i precordi e infine li assorbe nei dendriti dei neuroni. Ne fa in questo modo come di grano pane, ne fa sapere, ne fa canto. Egli canta il suo verso con il coraggio di chi abita la dimora del quasi-vero.

    Lascia un commento

    Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

  • in

    Sui neo-heideggeriani

    I neo-heideggeriani mi hanno fatto sempre ridere. La loro presa di posizione è insostenibile,  indifendibile. Non si possono prendere sul serio intellettualmente parlando. Mi fanno ridere quando si propongono come il nuovo che avanza, proprio loro che sono passatisti e tradizionalisti. Ha senz'altro ragione Alfonso Berardinelli quando scrive che pur essendo presenti molti neo-heideggdriani n... Altro...

    I neo-heideggeriani mi hanno fatto sempre ridere. La loro presa di posizione è insostenibile,  indifendibile. Non si possono prendere sul serio intellettualmente parlando. Mi fanno ridere quando si propongono come il nuovo che avanza, proprio loro che sono passatisti e tradizionalisti. Ha senz'altro ragione Alfonso Berardinelli quando scrive che pur essendo presenti molti neo-heideggdriani nelle facoltà umanistiche questi sono tuttavia degli innocui signori, incapaci di fare del male ad alcuno. Non sono un intellettuale, ma basta avere un minimo di buonsenso per accorgersi della vacuità della filosofia di Heidegger. Qualcosa certo può essere valido. Tra tutti i libri scritti e in tutta una vita spesa a pensare qualcosa può essere salvato: la descrizione di ciò che è inautentico nella vita (chiacchiera impersonale, equivoco, curiosità...se non erro), la concezione dell'opera d'arte come messa in opera della verità, il nichilismo inteso come oblio dell'essere, il libro sul nichilismo scritto con Junger, gli scritti su Holderlin. Ma Heidegger è stato un nazista. Il suo discorso del rettorato è ambiguo. il 3 novembre 1933, in occasione del referendum popolare per l’uscita della Germania dalla Società delle Nazioni – scrisse nel suo Appello agli studenti tedeschi: «Studenti tedeschi! La rivoluzione nazionalsocialista comporta il completo sconvolgimento del nostro Esserci (Dasein) tedesco […]. Che le regole del vostro essere non siano né formule dottrinali né "idee". Il Führer stesso, e lui solo, è la realtà tedesca di oggi, ma è anche la realtà del domani e la sua legge […]. Heil Hitler! Martin Heidegger, Rettore».  Queste parole sono molto eloquenti e inequivocabili. Non le pronunciò da ubriaco in un bar senza avere alcuna autorità  ma come rettore ed era perfettamente lucido, per quanto si possa definire controverso il rapporto di Heidegger con il nazismo. Alcuni neo-heideggeriani cercano di salvarsi in corner sostenendo che la filosofia di Heidegger non è nazista. Precisiamo: la filosofia di Heidegger non è nazista per quello che dice ma per quello che non dice, per quello che omette di dire sul nazismo. È come nascondersi dietro ad un dito.  Heidegger filosoficamente non solo non dice qualcosa contro il nazismo ma non ne parla per niente. Oltre alla sua adesione al nazismo come persona Heidegger è colpevole filosoficamente di non dire nulla sul nazismo, neanche di fare un mea culpa molto tardivo. Per capire cosa è stato il nazismo bisogna leggere il libro della Arendt sulla banalità del male: quel libro vale di più di tutta l'opera omnia di Heidegger, anche se chi studia il nichilismo non può esimersi dallo studiare e citare Heidegger. Con questo non voglio dire che i neo-heideggeriani siano tutti nazisti, ma a mio avviso hanno scelto un cattivo maestro. Essere neo-heideggeriano era una moda negli anni '70. Oggi esserlo significa essere nelle catacombe, essere fuori dal mondo, perdersi per l'appunto in un delirio heideggeriano (intendendo per delirio una interpretazione completamente errata della realtà). Un'altra cosa: per Heidegger le ingiustizie economiche né il sesso esistono. Tutto dipende dall'essere o dal non essere. Non voglio spendere una parola di più perché Heidegger e la sua filosofia si liquidano entrambi in poche parole. Marx e Nietzsche sono responsabili solo indirettamente dei crimini del comunismo russo e del nazismo. Heidegger è stato un vero colpevole, un autentico responsabile morale del nazismo. Heidegger era lì ai tempi del nazismo, era presente. I neo-heideggeriani non hanno mai preso veramente le distanze dal loro maestro. Non so se ciò è accaduto per complicità, per miopia oppure per l'esaltazione causata dalla filosofia heideggeriana. Di certo non si può prendere come modelli, come esempi filosofi come Gentile ed Heidegger, per quanto le loro filosofie siano retrograde, ormai datate. Insomma come i loro seguaci. Questo mondo invita a nuove sfide intellettuali. Filosofie come quelle di Heidegger, Evola, Gentile soffocano giovani intellettuali destrorsi e liberali sul nascere. Essere rimasti a queste dottrine così stantie significa affidarsi a filosofie suicidarie, significa mandare in rovina la cultura occidentale. Invece abbiamo bisogno di riprenderci, forse di ricostruire, forse di rinascere. Bisogna rinnovare la cultura, specie quella di destra come quella liberale. 

    Lascia un commento

    Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *