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AMORE AL MACELLO (parte 1)

La prima volta non si scorda mai, purtroppo.
La mia prima volta con Liam, il pattinatore dai glutei stellati, la volevo dimenticare.
Per questo, matricola al college in Sudafrica, creai un profilo su una chat gay. La necessità di essere amati spinge a commettere delle scelte confuse. Dovevo essere davvero confuso per cercare l’amore in un sito che misurava le probabilità di trovarlo sui centimetri in dotazione.
L’amore passava poi da un questionario che chiedeva se fossi attivo, passivo, versatile nelle gang bang, all’aperto o da interni, disponibile al pissing, bukkake, fisting, quanto amassi masticare i capezzoli o pressare i miei con le pinze, farmi legare, appendere, impalare, sostare al crepuscolo nella piazzola dei tir davanti al fast food per camionisti di Edemburg, frustarmi i testicoli con un fascio di ortiche del Limpopo o con un rovo del Karoo…Decine di varianti per tracciare il profilo della vacca ideale, pronta a condividere le sue carni, PER AMORE. Sembrava che tutti gli utenti collegati cercassero il principe azzurro, ma in attesa di riconoscere lo strepito degli zoccoli del cavallo bianco non disdegnassero rovistare l’arsenale di qualche arciere di passaggio.
Aprii un profilo moderato e funzionò.
La parvenza del pudico ventenne da alfabetizzare all’eros suscitava una fila di pulsioni hardcore quanto quelle dichiarate platealmente. Districandomi nell’umida giungla di erezioni rigogliose giunsi al profilo di “ForEverHard”.
Una brillante strategia di emancipazione dal superficiale pattinatore tatuato.
Dietro al sempre duro nickname si celava Joshua, 35 anni da Sandton, azionista nel settore minerario, spesso in trasferta nel Free State, sicuro di sé, realizzato professionalmente, gli occhi azzurro algidi, una fantastica fossetta sul mento e quella voce virile dalle proprietà orgasmiche.
C’era qualcosa di nuovo nel gioco dei ruoli che si era creato fra me e Joshua. Lui esperto e fascinoso, io acerbo in fase di collaudo.
L’idea di frequentare un uomo più grande di quindici anni, sfidare la mia immaturità sessuale facendo di lui un mentore, mi poneva nel costante bilico tra il timore e l’eccitazione per il rischio.
Da neofita del sesso assumeva un’aurea trasgressiva anche quello che non lo era, ma riponevo in Joshua la fiducia nel farmi guidare dove prima avrei dubitato di giungere.
Fiducia che si stemperò alla sua richiesta di sesso senza preservativo. Declinai. Fu il primo “NO” e i turgori svigorirono. Avevo infranto il gioco di accondiscendenza, l’ombra di un mio rifiuto rendeva per lui meno eccitante il nostro rapporto. Affrontai la questione apertamente. Avrei accettato se entrambi ci fossimo sottoposti al test hiv e mi avesse garantito che escludeva amplessi con altre persone. Mi accusò di essere diffidente, si dichiarò deluso e tradito.
Mi chiedevo come un sudafricano potesse concepire la leggerezza meditata del sesso non protetto. Come poteva essere certo che io fossi a posto? Ero iscritto in un ateneo internazionale dove frequentavo il Drama Department e abitavo nel residence del campus, tutti i requisiti per una cittadinanza onoraria a Sodoma.
I dati sulla diffusione di Aids e Hiv nell’Africa australe raccontano uno sterminio silenzioso che si compie per effetto di una guerra senza deflagrazioni. Luther, il mio compagno di corso namibiano, confermava che il business delle pompe funebri aveva reso suo padre uno degli uomini più facoltosi di Mariental.
Il sagace patriarca aveva però seppellito due dei suoi figli sieropositivi. Nonostante l’hiv sia diffuso gli africani provano molta vergogna a parlarne. Nelson Mandela, sulle pagine del Sunday Times condivise la scomparsa del suo secondogenito “Lo dico pubblicamente, perché il virus non sia un tabù, mio figlio è morto di Aids”.
Il nostro maestro di danza contemporanea biasimava la molliccia campagna di prevenzione sessuale programmata dal College. Preferiva condurci la Domenica mattina nel reparto di malattie infettive dell’ospedale civile e imporci come aiutanti agli infermieri.
Un confronto pratico con le conseguenze delle scopate disinvolte.
Ma è anche una realtà che milioni di persone hiv+ in Sudafrica e nel mondo conducono vite longeve e prive di limitazioni.
Appena giunto nel luminoso Free State dal fosco Colinshire ero uno straniero diffidente tormentato dall’ombra dell’epidemia.
Dopo sette giorni le ombre diventarono persone, nomi, storie, amici, compagni di corso, vita.
Detestavo ammetterlo, ma per la faccenda del bareback con Joshua avevo bisogno della valutazione di uno scopatore seriale…LIAM, il pattinatore dai glutei stellati che mi aveva tradito con il barista del Romeo nei cessi del locale.

Sono le 8.10 del mattino. Liam è in ritardo. Seduto al dehor di una tavola calda boera fingo di memorizzare le battute di un monologo per conferire all’attesa un distacco disinteressato. La cameriera indossa un costume tradizionale afrikaner rabberciato.
È irritata perché occupo il tavolino senza ordinare, io quanto lei perché comincio a temere l’umiliazione di un bidone all’appuntamento.
Dal pergolato pendono i glicini che disperdono petali viola sul mio copione. Un polveroso pick-up con il cassone carico di pecore lamentose inchioda davanti al locale. Sgusciano dall’abitacolo due giovani farmer con fucile a tracolla seguiti da un cane.
Distraggono la cameriera con lusinghe ruvide che lei non disprezza. Ordinano frittata di funghi saltati, speck e birre.
Poi lo scorgo librare sui roller appena svoltata la collina dei girasoli. Plana sull’aria sfiorando il lastricato con il portamento di un atleta ellenico in slim shorts e canotta fluo. Mi odio perché lo penso, ma penso che non ricordassi quanto fosse bello.
Incurante della panoramica luminosa che sembra studiata da un team pubblicitario per celebrare il suo ingresso, Liam frena davanti al dehor. Ha colorato con striature smeraldo i capelli biondi.
Il cane lo circuisce con latrati rabbiosi. Gli allevatori lo richiamano severi ma fissano Liam sprezzanti.

Guardo il cane ringhiare mentre lui si accomoda -“È il comitato di accoglienza che ti meriti…”-

Sorride smagliante -“Sono in ritardo!”-

Io, nervoso -“Certo che lo sei, ti avevo scritto che ho lezione alle nove.”-

-“Scusa! Ma lasciami parlare prima che mi spieghi perché siamo qui, ho pensato a un discorso. Farei qualunque cosa per farmi perdonare Fax. Sono stato pessimo, tutte le bugie, il tradimento. So di aver fatto sanguinare il tuo cuore.”-

-“Beh mica solo quello, visto che ti sei preso la mia verginità!”-

I due farmer ci osservano dal loro tavolo.
Io mi schiarisco la gola e modero il tono della voce, ma continuo ad aggredire Liam -“E poi piantala di parlare come in una soap opera.”-

-“Volevo dare un tocco teatrale al discorso, pensavo ti facesse piacere.”

-“Non è teatrale, mi dà sui nervi! Sembri la caricatura di un episodio di Egoli.”-
Una tensione fastidiosa si concentra sulla mia epiglottide, respiro per combattere il reflusso di rancori e ammetto -“Però un tocco teatrale c’è …”- Gli mostro la coincidenza nel titolo del copione che sto memorizzando, “Il ragazzo dai capelli verdi” di Betsy Beaton.
 
Lui, divertito lisciandosi il ciuffo smeraldo con la mano -“Wow! Sono già diventato leggenda!”-

-“Sicuro, se i cessi del Romeo potessero parlare…”-

-“Comunque Fax sono contento del tuo messaggio, non pensavo di risentirti.”-

-“Neanche io, ma ho un secondo fine.”-

-“Spara!”-

-“Prima ordiniamo, rischio due ore di training a stomaco vuoto con quell’invasato di Kosta.”-

-“Quel tipo balcanico che vi addestra come militari?”-

-“Lui!”-

La cameriera ci porge caffè e waffel con i bricchi di sciroppo d’acero e cioccolata fusa. Dal tavolo dei farmer si leva un rutto, lei sghignazza complice.

Mentre annego il mio pasto sotto una colata iperglicemica dico a Liam -“Ho visto il tuo profilo sulla chat Gayza, scrivi che cerchi l’amore.”-

-“Beh, è la verità!”-

-“E come mai le pose della tua gallery sembrano la fase preparatoria di una colonscopia?”-

-“Per mostrare le stelle! Che senso ha tatuarsi il culo se nessuno può vederlo?”-

-“Sei una vittima dell’altruismo. Ma non temere, in quelle foto si vedono le stelle, i pianeti  e un buco nero.”-

-“Cosa avrei dovuto fare? Non hai più voluto saperne di me.”-

-“Devi prestarmi il tuo culo Liam, ecco cosa devi fare!”-

-“Non credevo lo volessi ancora!”-

-“Non voglio scopare con te, idiota!” (Mentivo, volevo eccome). “Devi contattare un tipo che frequento dal tuo profilo Gayza, per capire che intenzioni abbia.”-

-“Sei fuori? Scordatelo!”-

-“Oh, ma dai! Hai detto che faresti qualunque cosa per farti perdonare. Mi trovo in una situazione spiacevole e in parte sei responsabile.”-

-“Io?”-

-“Dovevo dimenticarti e forse nella fretta sono riuscito a trovare un soggetto peggiore di te.”-

-“Ti tradisce?”-

-“No! Non lo so. Mi ha proposto sesso condom free.”-

-“Non lo hai fatto?”-

-No. Gli ho chiesto il test hiv e si è offeso.”-

-“È un idiota!”-

-“Capisci perché ho bisogno di te?”-

-“Ma non puoi aprire un profilo fake con la foto di un concorrente del Big Brother svedese come fanno tutti?”-

-“Io non rubo le foto di uno svedese, e poi nessun reality ha mostrato il culo come fai tu in quella gallery.”-

-“Mi descrivi come una puttana senza morale!”-

-“Liam, non costringermi a essere amaro…Da quando hai le stelle sul didietro ricevi più visite del planetarium di Naval. Provocalo un po’ online e fai qualche domanda su di lui, i tuoi amici del Romeo sono un comitato di comari del gossip.”-

I due allevatori si dirigono al pick up seguiti dal cane, uno di loro sputa per terra nella nostra traiettoria, l’altro mugugna -“moffie.”- (frocio in afrikaans).
Liam ha le labbra lucide di sciroppo, le ripulisce con un giro di lingua, mi diventa duro.
Accetta la missione -“Va bene, ti aggiorno fra una settimana.”-

-“Ti dò quattro giorni. Devo rivederlo nel week end!”-

Aspetto che passi l’erezione, mollo conto, mancia e fuggo via verso il campus. Kosta mi farà vomitare il waffel di corsa a salti e piegamenti in serie da 20, secondo uno schema di allenamento che chiama “suicidio”.

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