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davide morelliOffline

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  • Un ricordo soltanto: eravamo tre studenti fuori sede…

    A volte penso ai miei coinquilini quando studiavo fuori sede. Sono passati trent'anni ormai. Riccardo era della provincia di Belluno e studiava scienze naturali; era rappresentante di istituto. Era un allievo diligente. Suo padre lavorava nelle ferrovie. Sua sorella era assistente in uno studio dentistico. Riccardo era innamorato di Tiziana, che studiava lettere e alloggiava in un istituto gestito... Altro...

    A volte penso ai miei coinquilini quando studiavo fuori sede. Sono passati trent'anni ormai. Riccardo era della provincia di Belluno e studiava scienze naturali; era rappresentante di istituto. Era un allievo diligente. Suo padre lavorava nelle ferrovie. Sua sorella era assistente in uno studio dentistico. Riccardo era innamorato di Tiziana, che studiava lettere e alloggiava in un istituto gestito dalle suore. Tiziana però stava con uno rozzo e coi soldi. Per lei Riccardo era solo un buon amico. Non l'ho più rivista, non so cosa faccia, non so se si è sposata. Non mi ricordo neanche più il suo viso né la sua voce. Ci avrò parlato tre o quattro volte in tutto. Riccardo morì in un incidente stradale in una via molto vicina all'appartamento dove avevamo abitato. Io quella sera ero a Este a fare il servizio civile. Potevo esserci anche io in quella macchina, guidata da un ragazzo ubriaco. Invece le cose andarono diversamente. Il destino lo volle prematuramente. A me Dio non mi volle. Forse il Padre Eterno era troppo schifato di prendermi in quel periodo o forse mi voleva dare ancora un'opportunità.  Simone invece era della provincia di Treviso. Studiava chimica. Suo padre era un imprenditore e sua madre un'insegnante. Morì anni dopo la laurea a Londra per un malore. Ci eravamo già persi di vista io e Simone.  Sia Riccardo che Simone  piacevano molto alle donne. A differenza di quello che accadrà nel mio funerale ai loro riti funebri ci furono ragazze che piansero per loro, ma in fondo ognuno, come si suol dire, raccoglie quello che ha seminato. A volte mi metto a ricordarli. Accade raramente, ma mi succede. Con la memoria ritorno a quei giorni. Io allora ero innamorato di Giovanna, che non mi volle e poi si è sposata con un altro, ha partorito un figlio, etc etc. Mi ricordo che erano leali e che erano dei veri amici. Vedevano che non piacevo alle ragazze e me le presentavano. Vedevano che ero lontano da casa, che ero  più solo di loro e allora uscivano con me a bere due birre. La loro solidarietà era concreta e tangibile.  Conservo nella memoria un posto per questi due miei amici. C'è un posto nella memoria tutto per loro. Tutto quello che è accaduto in quei giorni è solo nella mia memoria e morirà con me: osservazione razionale banale, ma anche un'amara constatazione di fatto. Ma in fondo non sono cose su cui scrivere un romanzo. Sono passati troppi anni. Non interesserebbe nessuno. Poi è bene lasciare stare i morti. Non sarebbe lecito speculare economicamente sopra, ammesso e non concesso che sia in grado di sfruttare queste storie economicamente.  Una volta li ho sognati. Nel sogno bevevamo due birre assieme come ai vecchi tempi e parlavamo di tutto, tranne del fatto che loro erano morti. A volte penso che sarebbe bello ritornare a quei tempi, a essere come allora. Ma non si può avere venti anni per tutta la vita. Bisogna andare avanti, lasciarsi certe cose alle spalle. Ogni stagione della vita si caratterizza per un diverso stato d'animo. Per ogni stagione abbiamo delle esigenze differenti.  A  volte mi chiedo cosa sia servito studiare per questi due ragazzi morti così giovani, così come mi chiedo a cosa sia servito studiare per me che non ho un lavoro. Ma più vado avanti e più capisco che nella vita è totalmente insensato cercare un senso.

  • Pro e contro della lettura e della scrittura…

    Sant'Agostino si stupì quando vide Sant'Ambrogio che leggeva non a voce alta ma  silenziosamente. Il dialogo permette una maggiore interattività e una maggiore reattività. Le lezioni degli insegnanti servono anche a questo. Si può ricorrere maggiormente alla metacomunicazione;  si possono avere chiarimenti, delucidazioni in modo più semplice e in tempo reale. Poi c'è naturalmente i... Altro...

    Sant'Agostino si stupì quando vide Sant'Ambrogio che leggeva non a voce alta ma  silenziosamente. Il dialogo permette una maggiore interattività e una maggiore reattività. Le lezioni degli insegnanti servono anche a questo. Si può ricorrere maggiormente alla metacomunicazione;  si possono avere chiarimenti, delucidazioni in modo più semplice e in tempo reale. Poi c'è naturalmente il mito di Teuth tutto a vantaggio dell'oralità, ma c'è da dire che lo stesso Platone a differenza di Socrate lasciò tutto per iscritto. La scrittura permette maggiore complessità,  talvolta porta alla complicazione delle cose semplici. Però per quel che mi riguarda permette di argomentare, di approfondire, di elaborare, di rielaborare le idee, di formularle compiutamente, di ristrutturare il pensiero. Richiede più tempo e più ponderatezza.   L'oralità richiede più sintesi e semplificazione. Il talk show indicato da molti come l'apice dell'intelligenza verbale sfocia invece a mio avviso nella tracotanza e nella rissa verbale. I dialoghi tra persone comuni spesso mi sembrano ricalcare i talk show, le interviste, le conduzioni televisive più che essere davvero frutto di autenticità. La scrittura porta a maggiore riflessività,  a maggiore accuratezza. L'oralità richiede più sangue freddo. Con la scrittura si possono raffreddare gli animi, si può ragionare più a mente lucida. Ma questo non significa che l'oralità sia facile e la scrittura più difficile. Entrambe hanno pro e contro, punti di forza e punti deboli. C'è un modo per cercare la verità nel dialogo come nella corrispondenza epistolare, nella scrittura. Ci sono ostacoli, inganni che si frappongono alla ricerca della verità in entrambe queste forme comunicative. Quest'ultima, soprattutto quella artistica e filosofica, è frutto di meditazione estenuante. I dialoghi sono spesso più approssimativi e improvvisati, specialmente quelli quotidiani. Tra scrittura e oralità vinse una mistura raffazzonata come i commenti nei blog, sui social, i messaggini, etc etc. Chi sa cosa ci riserva il futuro in questo senso? Ci sarà la creazione di nuove forme di comunicazione? Oggi sembra avere la meglio l'oralità sulla scrittura: fondamentale è bucare lo schermo; un Leopardi senza oratoria, senza un eloquio veloce non sarebbe minimamente considerato. Leggere permette di entrare in contatto intellettuale con i pensieri di grandi uomini vissuti in tutti i tempi e in tutti i luoghi (come in una celebre canzone).  Borges annovera tra i giusti del mondo "Una donna e un uomo che leggono le terzine finali di un certo canto". Che poi, scrittura o oralità, alla fine è importante questo, come ha scritto Gianni Rodari: "Tutti gli usi della parola a tutti: mi sembra un buon motto, dal bel suono democratico. Non perché tutti siano artisti, ma perché nessuno sia schiavo”.  Un poco classista invece Valentino Bompiani che scriveva: "“Un uomo che legge ne vale due". Non sempre questo corrisponde a verità.  Don Chisciotte a leggere pessimi libri impazzisce per esempio. Comunque sul furgoncino della biblioteca comunale hanno verniciato proprio questa frase. Alla frase di Bompiani fa da controcanto Rino Gaetano, il cui "fratello è figlio unico" perché "è convinto che anche chi non legge Freud può vivere cent'anni". Io ritengo che Freud vada letto, ma poi subito dopo dimenticato per vivere meglio. Per quel che mi riguarda leggere non cambia la vita, almeno non ha cambiato la mia vita, forse l'ha addirittura peggiorata, ha contribuito a isolarmi, a peggiorare i rapporti umani. Ma forse dipende da me soltanto, mentre per altri la lettura è un mezzo di promozione sociale. Come ho scritto in un mio aforisma tempo fa (scusate l'autocitazione) la lettura fortifica l'intelligenza. Umberto Eco a favore della scrittura sostenne: "Chi non legge, a 70 anni avrà vissuto una sola vita: la propria. Chi legge avrà vissuto 5000 anni: c’era quando Caino uccise Abele, quando Renzo sposò Lucia, quando Leopardi ammirava l’infinito… perché la lettura è un'immortalità all’indietro". C'è una cosa però che lo scritto non darà mai ed è il calore umano, per quanto anche le parole scritte possono testimoniare vicinanza umana. Ci sono conversazioni banali quotidiane tra familiari che sono molto più importanti anche per persone ad alto coefficiente intellettuale del libro di un grande scrittore o di un filosofo memorabile, ma ci sono anche persone per cui le voci dei grandi artisti sono un bisogno insopprimibile, come un mio lontano parente di Bologna, che,  pur essendo consapevole della fine, il giorno stesso della morte finì di leggere un libro. La lettura non avrebbe certo contribuito a salvargli l'anima, ma d'altronde in tutta onestà agiamo sempre per salvarci l'anima? Eppure leggeva perché ne traeva beneficio il suo animo e la sua mente. E poi chi può sapere con certezza, anche se è prossimo alla fine, che quel giorno morirà? A un colloquio di lavoro possono chiedere a un candidato quale è il suo ultimo libro letto, ma nessuno saprà mai quale sarà il nostro ultimo libro. 

  • Due parole soltanto sulla pace e sulla guerra…

    Gli antichi detti sulla guerra oggi sono diventati luoghi comuni, ormai abusati. C'è chi dice "se vuoi la pace prepara la guerra" oppure "la pace si ottiene con la guerra" oppure d'altro canto, quelli di parte avversa dicono "se vuoi la pace prepara la giustizia" o, questo motto però è stato coniato recentemente, "se vuoi la pace prepara la pace". In Italia è in atto una minuscola battaglia id... Altro...

    Gli antichi detti sulla guerra oggi sono diventati luoghi comuni, ormai abusati. C'è chi dice "se vuoi la pace prepara la guerra" oppure "la pace si ottiene con la guerra" oppure d'altro canto, quelli di parte avversa dicono "se vuoi la pace prepara la giustizia" o, questo motto però è stato coniato recentemente, "se vuoi la pace prepara la pace". In Italia è in atto una minuscola battaglia ideologica tra putiniani e atlantici, tra interventisti, neutrali e pacifisti. Che poi tutti o quasi aspirano alla pace, ma il vero problema è come ottenerla. Parteggiare faziosamente per una parte o l'altra è una provocazione inaccettabile,  un assurdo gioco infantile. È facile vedere l'orrore della guerra e farsi prendere dall'emotività. Più difficile è ragionare su come ottenere la pace e accordare la mente al cuore, come scriveva anni fa il grande poeta Mario Luzi, perché in questi casi la risposta di pancia così come il freddo raziocinio sono estremamente dannosi. Che poi teoricamente e in via del tutto astratta è vero che chiunque può contribuire alla pace, ma realisticamente parlando la stragrande maggioranza degli italiani non fa niente perché non pensa di poter far niente. Nessuno vuole combattere a fianco degli ucraini. La maggioranza degli italiani è contraria anche all'invio delle armi in Ucraina. È comprensibile. Così come è comprensibile che pochissimi ospitino degli ucraini in casa perché in fin dei conti sono sempre degli estranei e inoltre la maggioranza degli italiani vive in ristrettezze economiche. Non è quindi solo questione di diffidenza, di convenienza, ma anche di disponibilità economica. Ecco allora che alcuni, essendo impossibilitati a fare di più, fanno delle piccole  donazioni via telefono oppure portano viveri e abiti alle associazioni di beneficenza. Io me lo sono chiesto spesso: cosa posso fare concretamente per aiutare gli ucraini? Il mio contributo sarebbe così infinitesimale da essere inessenziale. E poi sarei sicuro di contribuire veramente alla giusta causa? Cosa posso fare io che sono disoccupato e che sono solo una goccia nel mare? Nel frattempo la crisi economica si fa sentire, morde gli italiani, che si sentono anch'essi aggrediti economicamente, lavorativamente e percepiscono il futuro come una grande incognita. Gli italiani, salvo eccezioni, sono solidali al popolo ucraino. Allo stesso tempo però vedono il perdurare della guerra come un ulteriore loro  impoverimento. Forse Draghi è stato troppo sbrigativo a dire la pace oppure il condizionatore. Forse ha semplificato troppo, anche se un uomo nella sua posizione deve essere pragmatico e realista. Poi se entriamo nel dibattito sul fare la guerra, sull'aiutare o meno militarmente gli ucraini, sull'inasprire o meno le sanzioni allora la faccenda si complica enormemente. Dovremmo essere informati, ma come distinguere il grano dal loglio nell'informazione con tutte le fake news che girano? Dovremmo fidarci degli esperti, ma chi sono i più obiettivi, i più saggi? Così quasi tutti finiamo per andare a caccia di opinioni sui social nella nostra bolla. Essere informati è un diritto che in questo villaggio globale diventa quasi un obbligo, per primo motivo  perché anche noi italiani siamo collegati e direttamente interessati alla guerra, per secondo motivo perché molti non devono rimanere a corto di argomenti in questi talk show improvvisati al bar  tra amici o in ufficio con colleghi e superiori. Il rischio per alcuni è quello di fare scena muta, di perdere la faccia, dato che nelle discussioni accese tra ignoranti (nel vero senso della parola, ovvero di coloro che ignorano le cose) bisogna sempre avere la meglio.  Magari alcuni si infervorano, si arrabbiano nelle discussioni tra amici, dimenticandosi che poi alla fine oggi più che mai in questo bombardamento di notizie vige più di ieri il detto socratico "so di non sapere". Ogni volta che si parla e si scrive della guerra bisognerebbe mettere le mani avanti e ammettere la nostra ignoranza (anche se scusa non richiesta, accusa manifesta). Cosa sappiamo veramente della guerra con tutte le fare news che girano? E cosa non sappiamo della guerra con tutta la censura, i giochi di potere, i calcoli politici, gli equilibri geopolitici che vi stanno dietro? Credete davvero che la realtà della guerra e le sue atroci verità vi verranno date così di primo acchito dai mass media? Allo stesso tempo dobbiamo difenderci strenuamente dal complottismo. Oggi purtroppo buona parte della controinformazione è diventata disinformazione. Mai più di oggi la verità viene mischiata alla falsità oppure una verità seppur parziale viene subito dimenticata perché sostituita con un'altra piccola verità o con una bugia. L'informazione e la disinformazione formano un grande calderone. I potenti approfittano di tutto ciò e la maggioranza  ciurla nel manico. E poi mi viene spontanea una domanda: se approfondissi l'argomento sulla guerra e mi documentassi a chi gioverebbe? Probabilmente non gioverebbe a nessuno. Nel web sono  diventate virali queste battute: "vi preferivo virologi" e "da improvvisati virologi a improvvisati esperti di geopolitica e di strategie militari il passo è breve".  Non gioverebbe neanche  a me stesso informarmi accuratamente e neppure a chi mi vive intorno. Forse vivrei anche più angosciato. Forse per me sarebbe addirittura deleterio. Preferisco allora un'ignoranza pressoché abissale.  Detto questo ogni giorno o quasi mi limito ad aggiornarmi leggendo qualche articolo di giornale, guardando un telegiornale, ascoltando dieci minuti (non di più) un talk show.  Devo naturalmente ascoltare se e quando questo orrore finirà,  se c'è il rischio di una minaccia nucleare. Ma a onor del vero non c'è solo questo lato umano in me, c'è anche un'esigenza di natura intellettuale o pseudo tale. Chiedo venia ma non ne posso fare a meno: ognuno al giorno d'oggi è chiamato a farsi un'opinione su tutto, anche se poi la propria opinione è presa totalmente a prestito da qualche giornalista autorevole oppure è un riassunto rabberciato di input ricevuti dal mainstream.  Insomma esprimete pure ciò che pensate, ovvero ciò che vi inducono a pensare. Dite pure la vostra, ovvero l'idea che ingenuamente pensate di esservi fatta  ma che in realtà vi hanno cucito addosso. In ogni caso l'autonomia di pensiero è quasi impossibile per il cittadino comune.  In ogni caso non pensate di pensare. Però se interpellati, se chiamati in causa accingetevi a fare finta di pensare. 

  • Pezzo facile sulle muse e sull'amore…

    A volte mi chiedo quali erano i volti, le voci, le fattezze di Laura o Beatrice. Ma in fondo cosa importa? A volte mi chiedo la stessa cosa per le muse non solo dei poeti, ma anche dei cantautori e più in generale dei cantanti. Chi era veramente la "Anna di Francia"  di Claudio Lolli per esempio? Lolli ha amato quella ragazza negli anni '70. Adesso lui è morto. Lei come ha vissuto? È ancor... Altro...

    A volte mi chiedo quali erano i volti, le voci, le fattezze di Laura o Beatrice. Ma in fondo cosa importa? A volte mi chiedo la stessa cosa per le muse non solo dei poeti, ma anche dei cantautori e più in generale dei cantanti. Chi era veramente la "Anna di Francia"  di Claudio Lolli per esempio? Lolli ha amato quella ragazza negli anni '70. Adesso lui è morto. Lei come ha vissuto? È ancora viva? Oppure chi era la dolce Agnese di Ivan Graziani? Dietro a ogni poesia, dietro a ogni canzone d'amore c'è la storia di una donna o di un uomo. Chiedersi chi fossero le muse e che vita abbiano vissuto significa perdersi in pensieri metafisici. Saperlo probabilmente non renderebbe giustizia alle muse né ai poeti. Potremmo chiederci se davvero ne valeva la pena di provare un sentimento così nobile per questa o quella donna, in cui non percepiamo nessuna qualità interiore né estetica. Potremmo chiederci cosa ci trovassero Dante o Petrarca in quelle donne. Potremmo rimanere esterrefatti, sbigottiti, delusi. Talvolta un'infatuazione nasce da un'intesa, da una simpatia, addirittura dall'atmosfera di una sera che si crea tra due persone. In fondo per l'amore si possono anche trovare parole, ma forse l'amore non ha bisogno di parole e nemmeno lo si può spiegare compiutamente a parole.  Il tempo passa presto. La bellezza cambia in base ai gusti personali, all'epoca, alla cultura di appartenenza. Eppure ognuno ama, ognuno crea un mito della persona amata e naturalmente nessuno saprà mai quanto e come avrà mitizzato il suo oggetto d'amore perché una caratteristica del pensiero selvaggio è quella di non saper distinguere l'interpretazione dall'osservazione (Claude Levi-Strauss, Il pensiero selvaggio, il Saggiatore, Milano 2003, pagg. 243-244). La curiosità dei letterati e del pubblico vuole che, prima o poi, si venga a sapere le identità delle muse. Non sempre sono rose e fiori. Non sempre queste muse godono di buona fama. Antonio Delfini per esempio si è vendicato con un puro canzoniere del disamore di una donna che lo aveva rifiutato e questa è passata alla storia come una poco di buono. La bellezza poi  fa presto a sfiorire. Dove era la bellezza? Era nella musa oppure unicamente negli occhi del poeta? Tutto questo non ha importanza. Importante è che oggi qualcuno/a scriva ancora dignitosamente e onestamente d'amore. Di tentativi ancora oggi ne vengono fatti a iosa. È così spontaneo, naturale, genuino scrivere d'amore durante l'adolescenza o la giovinezza. Ma i diari, le effemeridi di poco o nessun conto sono una miriade, i canzonieri d'amore di valore sono pochissimi, si contano sulle dita delle mani. Pochissimi sanno fare poesia d'amore perché pochissimi sanno parlare d'amore, cioè sanno trattare questo argomento senza retorica, senza sentimentalismo, senza sdilinquimento, senza mitizzare e idealizzare la persona amata. Un altro problema non di poco conto è avere qualcosa d'originale e di nuovo da dire su un sentimento eterno come l'umanità,  connaturato all'umanità.  Infatti tutti dicono di aver provato l'amore, di aver sofferto per amore. Addirittura le persone più anaffettive o che commettono malvagità secondo le loro confessioni,  secondo la mentalità comune e il parere degli esperti sono diventati tali o hanno commesso atrocità per mancanza d'amore o perché sono stati rifiutati in amore. La privazione d'amore, primo tra tutti quello materno per la psicologia dell'età evolutiva, è una delle possibili spiegazioni del disagio esistenziale e della malvagità umana. Pochi sanno ridere dell'amore. Quasi nessuno sa ironizzare, mentre lo prova,  sul suo amore. L'Aretino e Boccaccio ridono del sesso. Si può ironizzare sull'amore profano. Forse uno dei pochi è Gozzano, che descrive il suo alter ego Totò Merumeni e la sua cuoca diciottenne. Tranne rarissime eccezioni pochissimi poeti riescono veramente a trattare l'amore con distacco, con distanza. I poeti soffrono tantissimo per amore. L'amore dura poco ma è travolgente, totalizzante, per quanto effimero. Una grande poetessa come la Szymborska scrive che molti invidiano la felicità degli innamorati, pensando all'amore ricambiato sia come ingiustizia (perché non dovuto al merito ma solo alla fortuna) che come "insulto" al grigiore esistenziale altrui. Alla radice di tutto però c'è l'assenza d'amore. Ma anche alla fine di tutto forse c'è l'amore. Dante chiude la sua Commedia con il verso "l'amore che muove il cielo e le altre stelle". Gli esseri umani non sono fatti per la solitudine perché non sono perfetti. Solo Dio che è perfetto può essere solo; nella sua solitudine c'è la perfezione. Ma gli uomini non sanno bastare a sé stessi. Devono dare e ricevere, a costo di farsi più del male che del bene. Talvolta dopo un amore che lascia strascichi e dolore alcuni si chiedono se ne valesse veramente la pena, visto e considerato che da molti rifiuti o addii non scaturiscono fama e gloria eterna ma solo solitudine feroce, guai economici e sofferenza interiore. Forse spesso le responsabilità e le colpe sono da distribuire equamente, ma durante la relazione c'è sempre qualcuno che comanda e dopo la relazione c'è chi soffre molto di più e chi soffre molto di meno, chi ci rimette molto di più e chi molto di meno. Questa è la dimostrazione che non solo nel bene, come scriveva Leopardi, il Fato ha generato Amore e Morte come fratelli, in quanto il primo grande dispensatore di piacere e la seconda come liberatrice degli affanni terreni, ma anche e soprattutto nel male,  nel dolore. Nonostante tutto ciò abbiamo bisogno da giovani soprattutto di parlare e scrivere d'amore, di condividere con gli altri i nostri sentimenti, così come abbiamo bisogno di ritrovarci nelle parole ormai immortali dei poeti. In definitiva i poeti, le muse, le lingue muoiono, ma si può fare parafrasi, traduzioni e provare le stesse loro identiche emozioni, anche se non tutto l'amore degli altri possiamo capire e neanche gli altri possono capire tutto del nostro amore.

  • Darsi del lei, darsi del tu…

    Ai tempi del fascismo Mussolini abolì il lei. Voleva che tutti si dessero del voi perché il lei secondo il regime derivava dalla dominazione spagnola, mentre il voi derivava dagli antichi romani. Questa fu la spiegazione fornita, per quanto i linguisti abbiano discusso se ciò fosse corretto o meno. Il tu, il voi, il lei sono detti allocutivi di cortesia. Oggi il voi non lo usa più nessuno, tra... Altro...

    Ai tempi del fascismo Mussolini abolì il lei. Voleva che tutti si dessero del voi perché il lei secondo il regime derivava dalla dominazione spagnola, mentre il voi derivava dagli antichi romani. Questa fu la spiegazione fornita, per quanto i linguisti abbiano discusso se ciò fosse corretto o meno. Il tu, il voi, il lei sono detti allocutivi di cortesia. Oggi il voi non lo usa più nessuno, tranne un'esigua minoranza di sadomasochisti,  durante i loro giochi erotici. Dare del tu a un estraneo non è più una mancanza di rispetto. Dargli del lei non è più segno di rispetto. Se una donna mi dà del lei è solo per tenermi a distanza, per mancanza di una benché minima considerazione/attrazione, per trattarmi in modo freddo. Non c'è altra spiegazione di solito. Marco Masini cantava: "le ragazze serie non ci sono più. Ti toccano il sedere dandoti del tu". Naturalmente era una canzone scherzosa oltre che la testimonianza che Masini, essendo ricco e famoso, aveva visto un bel mondo. Comunque il lei in segno di deferenza è finito. Così come sono finiti i tempi delle signorine Gradisca. In principio gli esperti della convivialità e del neuromarketing decisero che i commercianti,  le bariste, i camerieri e le cameriere dessero del tu ai clienti per stabilire un clima informale, per farli sentire a loro agio, per fidelizzarli. La stessa identica cosa accade anche dal benzinaio. È un modo come un altro per stabilire un'atmosfera cordiale e far scattare l'istinto di acquisizione.   Il tu si è poi esteso a ogni ambito della società.  È diventato di moda. In alcuni settori il tu va saputo conquistare. Nel mondo universitario un semplice studentello deve dare del lei al professore e il professore gli dà del lei,  ma quando il professore dà del tu a un laureando, a un dottorando è una conquista, un atto di stima, un segno di vicinanza.  Tra giornalisti o tra professori, in genere tra colleghi si danno del tu. C'è anche un tu paternalistico/autoritario più che di vicinanza come tanti medici che non hanno mai visto un ottantenne e appena fa una visita da loro gli danno subito del tu. La barista del bar a cui vado di solito a prendere un caffè il pomeriggio mi dà del lei per tenermi a distanza e/o perché le sto antipatico e/o perché non mi considera attraente. A ogni modo ci vado perché il bar è economico, i prezzi sono bassi, il caffè è buono. Del fatto che mi dia del lei me ne frego. Ci devo prendere un caffè.  Non me la devo mica portare a letto! Di solito le bariste danno del tu ai clienti per la strategia razionale di cui ho scritto sopra. Se una barista dà del tu a un cliente molto più anziano può essere perché fa così con tutti ed è una prassi consolidata, ma può essere anche un segno di disponibilità sessuale in quanto cerca un padre negli uomini più anziani e non ha ancora risolto il conflitto edipico. I motivi insomma del lei o del tu possono essere i più svariati. Ci sono persone che veramente per rispetto ed educazione non riescono a dare del tu a certi altri. Ma al giorno d'oggi è una cosa estremamente rara e succede in mondi lavorativi dove vige l'autorità e la gerarchia. Sono finiti i tempi di "com'è umano lei " di Fantozzi. Oggi non solo sul lavoro tra dirigenti e sottoposti si danno del tu ma talvolta anche a scuola alcuni insegnanti si fanno dare del tu dagli studenti adolescenti. In realtà per legge bisognerebbe dare del lei a ogni persona maggiorenne. In pratica, almeno qui in Toscana, viene dato del lei a chi ci sta antipatico o a chi è una persona autorevole/rispettabile. Su Facebook si danno tutti del tu. Io inizialmente do del lei alle persone su Facebook per non essere troppo invadente, entrante né risultare maleducato. Inoltre do del lei sui social alle donne per non generare equivoci né dare segno di essere un molestatore. Ma capisco che se una donna mi dà del lei non è per educazione ma perché anche sui social vuole mantenere le distanze. Darsi del lei, dare del lei non è una forma consona all'amicizia, tanto meno all'amore. Mi viene in mente una raccolta poetica di Vivian Lamarque,  ovvero "Poesie dando del lei", dove il dolore si amalgama all'ironia.  La persona amata è il suo analista a cui è costretta suo malgrado a dare del lei. Il lei in questo caso è una modalità deontologicamente corretta, ma sentimentalmente è la prova che si è consumata un'altra ingiustizia d'amore per la poetessa. 

  • Looking for mail…

    Cara xxx,ti scrivo queste righe, sperando che le leggerai, che qualcuno ti avviserà o te le riassumerà.  Ci siamo scritti centinaia di email e poi ci siamo persi di vista. La colpa forse è stata reciproca. Abbiamo entrambi scelto di non sentirci. Forse ci siamo delusi a vicenda. Forse avevamo riposto aspettative  troppo alte l'un l'altra. Sono passati diversi anni ormai. Per me è sta... Altro...

    Cara xxx,

    ti scrivo queste righe, sperando che le leggerai, che qualcuno ti avviserà o te le riassumerà.  Ci siamo scritti centinaia di email e poi ci siamo persi di vista. La colpa forse è stata reciproca. Abbiamo entrambi scelto di non sentirci. Forse ci siamo delusi a vicenda. Forse avevamo riposto aspettative  troppo alte l'un l'altra. Sono passati diversi anni ormai. Per me è stato uno sforzo perché non ero abituato ad aprirmi, a confidarmi. Non è mai facile parlare di me, dei miei problemi. Inizialmente ero molto diffidente perché al mondo d'oggi ogni conoscenza sembra interessata, non si fa niente per niente e la fregatura è sempre dietro l'angolo. Insomma ogni rapporto sembra avere un secondo fine, spesso un movente economico. Non ti ho raccontato tutto di me. Molte cose me le sono tenute per me. Non mi piace mai bluffare né scoprire troppo le carte. Non voglio finire per essere troppo vulnerabile. Allo stesso modo non ho espresso tutte le mie opinioni. Alcune cose me le sono tenute per me.  La domanda reciproca che ci siamo fatti è se l'uno poteva capire il vissuto dell'altra e viceversa.  Tutti vogliono fare conoscenza carnale al mondo d'oggi. La società lo esige. Mai come adesso la società impone la fisicità. Una canzone e ancora prima la De Filippi ci dicono che è una questione di chimica. Nessuno di noi aveva invece questa pretesa; c'è una forza opposta e contraria in questa società che fa conoscere le persone virtualmente, online. In noi ha prevalso essa. Quale sarà la risultante tra queste due forze concorrenti e contrapposte nessuno lo sa, nessuno lo può minimamente prevedere. Quando ero giovane ho avuto delle sveltine. Che cosa mi hanno dato? Assolutamente niente. Mi hanno solo appagato sessualmente momentaneamente, ma poi ogni uomo è triste dopo il coito. Poi le avventure e le amiche di una sera lasciano solo un senso di vuoto. Può essere anche divertente cercare nuovi posti dove farlo e cercare nuovi modi di farlo. Ma tutto può finire per essere fine a sé stesso. Certo siamo tutti peccatori e tutti abbiamo le nostre esigenze sessuali. A ogni modo i  cattolici pensano che il sesso sia peccato e altri più libertini pensano che sia un vero peccato non fare sesso. Oggi tutti devono fottere. Bisogna per forza avere una scopamica. Oggi l'amplesso è una necessità. Spesso deve essere filmato e mostrato come un trofeo maschile in un loop infinito. Ammetto sinceramente che non ho nessuna donna disponibile sessualmente.  Poi  non sento più l'esigenza, oserei dire l'ossessione  di cercarmi una donna per fare sesso. Oggi posso accontentarmi di me stesso, pur non essendo impotente. È questione di assennatezza, di ragionevolezza, di non far prevalere su tutto l'impulso di un istante. Più vado avanti e capisco che Pasolini cercava "corpi senz'anima" perché aveva dei limiti psicologici. Forse è più  corretto eticamente e spiritualmente cercare delle anime senza corpi, come del resto Internet ci può aiutare a fare, per quanto anche durante la conoscenza virtuale è coinvolto l'immaginario erotico.  Ma a distanza di tempo sono sicuro che la nostra conoscenza interiore è stata molto più appagante perché non è stata solo una conoscenza un minimo intellettuale ma anche dell'animo altrui. Io ho letto le tue poesie e tu le mie aspiranti tali. Io ti ho messo a conoscenza di buona parte delle mie abitudini,  dei miei affetti familiari, dei miei stati d'animo, dei miei stati mentali. Tu hai fatto altrettanto. Avevamo delle cose in comune. Tu ti eri laureata e specializzata a xxx. Io vi abitavo vicino  e in passato l'avevo frequentata. Abbiamo parlato delle nostre crisi interiori. Mi hai parlato di quella volta che ti volevi buttare di sotto, ma che sei stata salvata in extremis da un tuo amico. Anche se avevi passato quel brutto periodo con le tue sole forze non ho mai condiviso il fatto che non ti vedessi con uno psicoterapeuta. A mio avviso chiedevi troppo a te stessa, anche se non avevi avuto più ricadute. Non so quale sia la mia ragione di essere con certezza assoluta, ma so che probabilmente un senso profondo della nostra conoscenza approfondita c'è stato, c'è, ci sarà. Forse entrambi avevamo un disperato bisogno di essere letti, di ricevere attenzioni, di conoscere ed essere conosciuti, di capire ed essere capiti. Forse il sesso avrebbe rovinato tutto e non sarebbe stato un completamento di niente in un mondo dove è sempre più l'inizio e allo stesso tempo la conditio sine qua non. Alla fine posso dire che è stata un'amicizia breve, bella e disinteressata. Mi ricordo che controllavo spesso la casella elettronica con trepidazione. Ero sempre in attesa di un tuo messaggio. Le tue lettere riempivano un mio vuoto interiore. Non so che cosa sono stato per te. Forse solo un amico che non si è rivelato tale. Forse entrambi chiedevamo troppo a una semplice amicizia online. 

    Con affetto e con stima

    Davide 

  • Io sono un antitoscano e ne sono fiero…

    Invettiva contro i toscani:Io sono un antitoscano e ne sono fiero. Ne sono orgoglioso. Diro di più: mi vergogno di essere toscano. Non è questione di essere snob o ricercati. Assolutamente no! Io sono  contro il pettegolezzo che diventa diffamazione. Io sono contro la presa in giro che diventa offesa. Io sono contro il catto-comunismo-consumismo, anche se fortunatamente annacquato e genetic... Altro...

    Invettiva contro i toscani:

    Io sono un antitoscano e ne sono fiero. Ne sono orgoglioso. Diro di più: mi vergogno di essere toscano. Non è questione di essere snob o ricercati. Assolutamente no! Io sono  contro il pettegolezzo che diventa diffamazione. Io sono contro la presa in giro che diventa offesa. Io sono contro il catto-comunismo-consumismo, anche se fortunatamente annacquato e geneticamente modificato dal centrosinistra. Io sono contro la rozzaggine che diventa rissa. Io sono contro l'accanimento nei confronti di chi è differente. Io sono contro il politicamente corretto imposto dai toscani. Io sono contro il moralismo mischiato all'opportunismo di molti toscani. Io sono contro le donne toscane che pensano di avercela solo loro. Io sono contro le attenzioni, le premure, le moine alle donne   degli uomini toscani sotto cui si nascondono maschilismo e misoginia. Io sono contro voi che pensate di essere furbi.  Io sono contro i toscani che con la pretesa di essere veri, autentici si dimenticano della gentilezza,  del tatto, del rispetto del prossimo. Io sono contro la vostra mentalità secondo cui se uno è educato è gay (anche se voi utilizzate altri epiteti più volgari). Io sono contro voi che inneggiate al sesso e al godersi la vita, mentre invece siete i soliti repressi sessuali. Io sono contro la vostra omofobia, che voi opportunamente nascondete sotto un'apparente tolleranza e falsa apertura mentale. Io sono contro il vostro razzismo al contrario. Io sono contro la vostra tradizione e fede politica. Io sono contro la santificazione di facciata che fate alle vostre donne per poi raccontare a tutti nei minimi dettagli cosa fanno a letto con voi, affermando apparentemente la vostra virilità.  Io sono contro la vostra goliardia, che non è mai ironia fine e nemmeno autoironia. Io sono contro la logica delle clientele che esiste da settant'anni in Toscana. Io sono contro i toscani che con la scusa dell'integrazione sociale totale vanno a braccetto coi mafiosi. Io sono contro le amministrazioni toscane che con la scusa del recupero dei carcerati danno lavori ben pagati e di concetto a ex brigatisti rossi, simpatizzando per loro. Mi fanno schifo anche i piccoli imprenditori toscani spesso ignoranti e conformisti, spesso cerchiobottisti e vigliacchi, che non hanno il coraggio di dire come la pensano o di pensare con la propria testa, attenendosi per quieto vivere ai dogmi del catto-comunismo diventato pseudo-progressismo. Tenetemi pure a distanza. Fatemi morire di solitudine. Non datemi lavoro. Fatemi morire di fame. Ma non sapete sotto sotto l'odio e lo schifo che nutro nei vostri confronti perché voi stessi siete i primi a essere schifati e a odiare chi non è come voi, chi non la pensa come voi. Di certo non mi fa paura la vostra rozzezza che vi porta a essere violenti, a menare le mani. Chi la pensa diversamente in modo politico per voi è da condannare, da emarginare, da esiliare, da irridere, da perseguitare, da esiliare. Il vostro controllo sociale spesso diventa violenza psicosociale. E avete anche la presunzione e l'ardire di ritenersi i migliori italiani, i più solidali, i più umani, i più simpatici! Tutta la mentalità toscana si ritrova nella comicità di Panariello, Pieraccioni, Carlo Conti. Strapapagateli pure e fate la fila ai botteghini per vedere questi grandi ingegni. Di me invece continuate a dire che sono un ritardato mentale. Ma io sono solo perché voglio essere solo. La Toscana è fatta da circa 3 milioni e mezzo di abitanti, il mondo è abitato da quasi 8 miliardi di persone. Non sono solo e di persone che pensano che la mentalità comune toscana sia assurda ne trovo tante, anzi tantissime. Per me la Toscana è sono un'isola (in)felice. E siete così civili che alla minima critica che vi faccio mi chiedete perché non me ne vado. Per diversi motivi sono impossibilitato ad andarmene (motivi anche economici), ma le mie critiche se foste davvero civili, colti e intelligenti, come credete di essere, allora  dovreste accettarle. Di strada ne dovete fare tanta! Pensate di essere nati imparati, di avere la cultura, l'intelligenza nel vostro DNA e invece...bè...lasciamo stare...stendiamo un velo pietoso...

  • Sui neo-heideggeriani

    I neo-heideggeriani mi hanno fatto sempre ridere. La loro presa di posizione è insostenibile,  indifendibile. Non si possono prendere sul serio intellettualmente parlando. Mi fanno ridere quando si propongono come il nuovo che avanza, proprio loro che sono passatisti e tradizionalisti. Ha senz'altro ragione Alfonso Berardinelli quando scrive che pur essendo presenti molti neo-heideggdriani n... Altro...

    I neo-heideggeriani mi hanno fatto sempre ridere. La loro presa di posizione è insostenibile,  indifendibile. Non si possono prendere sul serio intellettualmente parlando. Mi fanno ridere quando si propongono come il nuovo che avanza, proprio loro che sono passatisti e tradizionalisti. Ha senz'altro ragione Alfonso Berardinelli quando scrive che pur essendo presenti molti neo-heideggdriani nelle facoltà umanistiche questi sono tuttavia degli innocui signori, incapaci di fare del male ad alcuno. Non sono un intellettuale, ma basta avere un minimo di buonsenso per accorgersi della vacuità della filosofia di Heidegger. Qualcosa certo può essere valido. Tra tutti i libri scritti e in tutta una vita spesa a pensare qualcosa può essere salvato: la descrizione di ciò che è inautentico nella vita (chiacchiera impersonale, equivoco, curiosità...se non erro), la concezione dell'opera d'arte come messa in opera della verità, il nichilismo inteso come oblio dell'essere, il libro sul nichilismo scritto con Junger, gli scritti su Holderlin. Ma Heidegger è stato un nazista. Il suo discorso del rettorato è ambiguo. il 3 novembre 1933, in occasione del referendum popolare per l’uscita della Germania dalla Società delle Nazioni – scrisse nel suo Appello agli studenti tedeschi: «Studenti tedeschi! La rivoluzione nazionalsocialista comporta il completo sconvolgimento del nostro Esserci (Dasein) tedesco […]. Che le regole del vostro essere non siano né formule dottrinali né "idee". Il Führer stesso, e lui solo, è la realtà tedesca di oggi, ma è anche la realtà del domani e la sua legge […]. Heil Hitler! Martin Heidegger, Rettore».  Queste parole sono molto eloquenti e inequivocabili. Non le pronunciò da ubriaco in un bar senza avere alcuna autorità  ma come rettore ed era perfettamente lucido, per quanto si possa definire controverso il rapporto di Heidegger con il nazismo. Alcuni neo-heideggeriani cercano di salvarsi in corner sostenendo che la filosofia di Heidegger non è nazista. Precisiamo: la filosofia di Heidegger non è nazista per quello che dice ma per quello che non dice, per quello che omette di dire sul nazismo. È come nascondersi dietro ad un dito.  Heidegger filosoficamente non solo non dice qualcosa contro il nazismo ma non ne parla per niente. Oltre alla sua adesione al nazismo come persona Heidegger è colpevole filosoficamente di non dire nulla sul nazismo, neanche di fare un mea culpa molto tardivo. Per capire cosa è stato il nazismo bisogna leggere il libro della Arendt sulla banalità del male: quel libro vale di più di tutta l'opera omnia di Heidegger, anche se chi studia il nichilismo non può esimersi dallo studiare e citare Heidegger. Con questo non voglio dire che i neo-heideggeriani siano tutti nazisti, ma a mio avviso hanno scelto un cattivo maestro. Essere neo-heideggeriano era una moda negli anni '70. Oggi esserlo significa essere nelle catacombe, essere fuori dal mondo, perdersi per l'appunto in un delirio heideggeriano (intendendo per delirio una interpretazione completamente errata della realtà). Un'altra cosa: per Heidegger le ingiustizie economiche né il sesso esistono. Tutto dipende dall'essere o dal non essere. Non voglio spendere una parola di più perché Heidegger e la sua filosofia si liquidano entrambi in poche parole. Marx e Nietzsche sono responsabili solo indirettamente dei crimini del comunismo russo e del nazismo. Heidegger è stato un vero colpevole, un autentico responsabile morale del nazismo. Heidegger era lì ai tempi del nazismo, era presente. I neo-heideggeriani non hanno mai preso veramente le distanze dal loro maestro. Non so se ciò è accaduto per complicità, per miopia oppure per l'esaltazione causata dalla filosofia heideggeriana. Di certo non si può prendere come modelli, come esempi filosofi come Gentile ed Heidegger, per quanto le loro filosofie siano retrograde, ormai datate. Insomma come i loro seguaci. Questo mondo invita a nuove sfide intellettuali. Filosofie come quelle di Heidegger, Evola, Gentile soffocano giovani intellettuali destrorsi e liberali sul nascere. Essere rimasti a queste dottrine così stantie significa affidarsi a filosofie suicidarie, significa mandare in rovina la cultura occidentale. Invece abbiamo bisogno di riprenderci, forse di ricostruire, forse di rinascere. Bisogna rinnovare la cultura, specie quella di destra come quella liberale. 

  • Sulla comunità letteraria tutta o quasi di sinistra…

    Nella comunità letteraria non si può non essere di sinistra. È un dovere, un obbligo morale, un imperativo categorico, una legge non scritta ma per ognuno sempre vigente. L'imprinting è quello, il background è quello, il contesto culturale pure. La scuola italiana rientra legittimamente a pieno diritto nella cosiddetta fabbrica progressista. I liberali, la destra, i non allineati hanno la col... Altro...

    Nella comunità letteraria non si può non essere di sinistra. È un dovere, un obbligo morale, un imperativo categorico, una legge non scritta ma per ognuno sempre vigente. L'imprinting è quello, il background è quello, il contesto culturale pure. La scuola italiana rientra legittimamente a pieno diritto nella cosiddetta fabbrica progressista. I liberali, la destra, i non allineati hanno la colpa di non opporsi allo status quo. Talvolta penso che abbiano il merito, anche se involontario, di non opporsi, dato che molti di loro addirittura farebbero peggio. Non invoco l'alternanza delle parti, ma almeno letterariamente parlando la comunità poetica dovrebbe sentire voci fuori dal coro e invece vogliono il dominio assoluto, non accettano pareri discordanti. La letteratura è cosa loro. C'è poco da fare. Non è consentito essere contro. Perfino i Berlusconi, come editori, lasciano le cose come sono e al massimo invece di proporre autori liberali o destrorsi validi propongono al pubblico i soliti vip e i soliti personaggi televisivi. I migliori, la crema, il non plus ultra sono di sinistra. Ergo chi sei tu per discostarti, per distinguerti, per non appartenere a questa eletta schiera? Ma questa cosa non si può dire. È il segreto di Pulcinella, ma guai a dirlo! Ti tocca l'ostracismo artistico se lo dici. Già è successo che ti stroncano se togli l'amicizia su Facebook a qualche sedicente critico o presunto maestro di poesia (hai capito l'imparzialità e l'equanimità della critica?), figuriamoci se ti dichiari non di sinistra. Come ho già scritto, io sono un liberale apartitico e non me ne frega niente degli scambi di favori in ambito letterario. Nelle interazioni cerco di essere gentile e cordiale con tutti per garantire rispetto ed educazione. Se poi questo viene equivocato e scambiato come arruffianamento o servilismo che vadano pure a farsi fottere! Se poi uno volesse entrare nelle grazie di questo o quel letterato invece di averci a che fare online, come posso far io, dovrebbe andare a trovarlo di persona a casa oppure dovrebbe andare alla presentazione di un suo libro. Io questo non l'ho mai fatto proprio perché non sono un leccaculo. Poi io non vado a raccomandarmi ai politici per avere un lavoro, figuriamoci se vado ad arrufianarmi a qualche poeta o a qualche critico o presunti tali! Per cosa poi? Per la gloria, visto e considerato che i soldi non entrano nelle tasche di chi si occupa di poesia o di chi la scrive? Io come nella vita reale, ho deciso anche quando scrivo di essere me stesso, di scrivere pane al pane e vino al vino, a costo di essere solo. Lo so bene che le persone leggono i miei scritti, dove esprimo opinioni controcorrente, e possono  dissentire, possono storcere il naso, addirittura possono avercela con me. È un rischio che ho messo in preventivo, che so di correre.  Ma cosa possono farmi? Togliermi un lavoro che non ho? Togliermi amori o amicizie che non ho? Tutt'al più possono criticarmi, ma anche io potrei fare altrettanto. Tutt'al più possono criticarmi, ma le loro critiche non mi tangono per niente; perdipiù la stragrande maggioranza dei loro siti non rispetta fedelmente il gdpr del 2018 e chiunque (anche io) può segnalarli al garante della privacy con la possibilità di venire multati in modo salato. D'altronde non vedo perché loro non rispettino le leggi? Vigliaccamente possono prendersela con me, come se non piovesse già abbastanza sul bagnato. La stragrande maggioranza dei letterati sono forti coi deboli e deboli coi forti. L'apice lo raggiungono quando si schierano politicamente, sempre in cerca come sono di  raccomandarsi a qualcuno o di chiedere piccoli favori. I letterati si spalleggiano l'un l'altro spesso, si danno manforte. La comunità letteraria è costituita soprattutto da quelle che io chiamo cricche, ma che il direttore di un quotidiano, ovvero Travaglio chiama addirittura cosche. Tutto va bene e uno può avere i suoi riconoscimenti se non pesta i piedi a nessuno e si comporta da vero conformista. Io invece dico sempre la mia sul web e sono onorato di non appartenere a nessuna scuola di pensiero o di scrittura, rivendicando la mia indipendenza (è chiaro che ho anche io delle persone che stimo molto). Ma cosa cerca il letterato, il poeta, vero o presunto? La legittimazione culturale, l'essere riconosciuto culturalmente! A me non importa niente di tutto ciò.  Qualcuno può pensare che io sia un frustrato, che sia la storia della volpe e dell'uva, etc etc. Ebbene io non ho voluto mai pubblicare a pagamento né ho mai inviato una mia raccolta di componimenti poetici a una grande casa editrice. Non prendiamoci in giro: è molto difficile pubblicare con una grande casa editrice, ma tutti possono pubblicare con una piccola e infatti la stragrande maggioranza degli autori pubblica a pagamento. Pubblicare non è un traguardo culturale, non è assolutamente il conseguimento di niente spesso, ma nella stragrande maggioranza dei casi è solo il segno che si è messo mani al portafoglio per pubblicare. Non prendiamoci in giro. Anche nei pochi casi di pubblicazione non a pagamento una raccolta poetica non incide sulla realtà.  Come scriveva la bravissima Patrizia Cavalli le mie poesie non cambieranno il mondo. Quindi coloro che si sentono "arrivati" perché hanno pubblicato a mio avviso ripongono ambizioni sbagliate e false speranze. Posso capire che si sentano sicuri del fatto loro gli autori Einaudi, Crocetti o Mondadori, ma la strada per un autore è sempre impervia e difficile. Quello della poesia è un mercato di nicchia che non fa profitti.  Io scrivo come e quando mi va senza timbrare il cartellino. Scrivo per passione, anche se c'è sempre qualcuno che cerca di togliermi la passione e la voglia di scrivere.  Siamo un attimo lucidi e realisti: al mondo non importerà niente dei miei scritti come di quelli del 99,9% degli scriventi. In ogni caso, per dirla alla Montale, lasciamo poco da ardere. Solo quelli che pubblicano con grandi case editrici o sono professori universitari potranno dire la loro ai posteri. Per il resto è più difficile la gloria postuma, sebbene oggi tutti si ricordino di Dino Campana, che in vita era considerato un matto, e di Pessoa, che pubblicò solo su qualche rivista ed era un alcolizzato solitario. Nessuno può quindi sapere come andrà finire. Si sa però in linea di massima come vanno le cose, come si sa chi tiene i fili. In ogni caso è meglio essere sé stessi, a dispetto di tutti e di tutto. È questione di onestà intellettuale e anche di stare bene con sé stessi. Infine, come scrivo e dico sempre, mai snaturarsi! 

  • Non sono di sinistra e nemmeno faccio finta…

    Non sono di sinistra e nemmeno faccio finta.  Non ho alcuna intenzione di snaturarmi. Forse molti dei miei problemi derivano tutti da questo. Forse la mia solitudine dipende anch'essa da questo. Chi dice che non esistano più destra e sinistra può essere in mala fede oppure può dimostrare di avere una falsa coscienza per non dichiararsi, per non schierarsi da una parte o dall'altra. Ma può... Altro...

    Non sono di sinistra e nemmeno faccio finta.  Non ho alcuna intenzione di snaturarmi. Forse molti dei miei problemi derivano tutti da questo. Forse la mia solitudine dipende anch'essa da questo. Chi dice che non esistano più destra e sinistra può essere in mala fede oppure può dimostrare di avere una falsa coscienza per non dichiararsi, per non schierarsi da una parte o dall'altra. Ma può dire anche bene, se intende che destra e sinistra non esistono più, che sono scomparse differenze sostanziali, che però esistono ancora persone che tifano per l'una o per l'altra. Spesso tifare per uno schieramento o per l'altro è solo bisogno di avere un'identità,  di appartenere a un gruppo; talvolta è un semplice pretesto per menare le mani, appena si scaldano un poco gli animi. Forse è troppo qualunquistico dire che tutti i partiti sono uguali e rubano tutti allo stesso modo, ma non mi sembra di uscire fuori dal seminato a dire che si mettono sempre d'accordo, mentre noi cittadini comuni dovremmo odiarci e dividerci per l'appartenenza politica, secondo l'antico divide et impera. Non essere di sinistra in Toscana o almeno non dichiararsi di sinistra significa rinunciare ad amori, amicizie, opportunità lavorative, occasioni di divertimento. Ci sono molti che si dicono di destra, poi votano in modo disgiunto, votano a livello nazionale la destra e a livello locale il centrosinistra, dato che ci sono dei rapporti di amicizia, di interesse, di natura clientelare da coltivare. Per quanto uno possa dichiararsi di destra alcuni elementi della coscienza popolare di sinistra e della cultura regionale di sinistra lo influenzano nettamente. Insomma per dirla alla Pennacchi in Toscana perfino i fascisti sono fasciocomunisti. Allo stesso modo di comunisti duri e puri ne sono rimasti pochi. Sono i più comunisti annacquati. Se va bene sono cattocomunisti, ovvero dei ravanelli, conservano nel loro io più profondo un'anima democristiana e consociativa. C'è chi ci crede (e in questo senso l'appartenenza a un partito è un atto di fede) e fa onestamente la sua parte, ma essere di sinistra significa spesso  far finta di crederci e fingere una parte. La sinistra italiana è così folcloristica, così pittoresca, ma anche così modaiola (nel senso che segue il conformismo dell'anticonformismo), soprattutto a livello giovanile. Ma essere di sinistra significa anche sapersi godere la vita: godersi i soldi, farsi la villa, guidare delle macchine di lusso. E se dici che sono incoerenti, che predicano male e razzolano ancora peggio tu allora sei l'invidioso,  il poveretto, il rosicone! Conosco gente che da adolescente rubava alle Mercedes il "mirino" (la stemma a stella per il cofano) e poi da grande se ne va a giro tutta tronfia in Mercedes: ciò la dice lunga sul finta ribellismo e sull'odio/amore nei confronti di certi status symbol. Non fatevi illusioni: antropologicamente ed eticamente le persone di sinistra sono italiani come tutti gli altri, consumisti e lavativi come tutti gli italiani; il "paese nel Paese" descritto da Pasolini non esiste, bisogna dire le cose come stanno. Ma quando fai qualche critica alcuni si sentono subito parte in causa, si sentono subito offesi e controbattono che uno come me di certo avrebbe fatto certamente peggio, scordandosi che era impossibile fare peggio di quello che hanno fatto loro con il keu. Dichiararsi non di sinistra, non mettere la testa a partito (il partito è il Pd) significa farsi terra bruciata, non perché istituzionalmente vengono presi provvedimenti (da questo punto di vista c'è assoluta civiltà), ma perché i cittadini comuni scelgono di non dare lavoro, di non frequentarti, di non farti favori, etc etc. Non essere di sinistra significa in un certo qual modo scegliere l'ostracismo nel migliore dei casi e nel peggiore la solitudine. Se non sei di sinistra, anche se ti dichiari un liberale apartitico, aspettati i predicozzi e i sermoni dei sinistrorsi. Ti diranno che bisogna saper scegliere la parte giusta, che la destra è becera e va sconfitta, che la sinistra è moralmente e intellettualmente superiore, che tutti gli intellettuali stanno a sinistra, che solo a sinistra c'è la verità e la giustizia. In fondo io lo vedo come c'è la giustizia in Toscana, ovvero quanto e come è giusto e doveroso relegare ai margini della vita sociale e lavorativa chi come me non sta a sinistra. A mio avviso molti fanno finta di essere di sinistra. Ci sono alcuni che ti si avvicinano e ti dicono che ho le mie ragioni,  ma qui in Toscana la tradizione è di sinistra. Altri più onestamente mi dicono che un poco è un peccato il fatto che non sia dei loro. Entrambe queste persone privatamente esprimono delle riserve sul centrosinistra. E poi che vogliono da me? Io sono per il partito del non voto e significa che delego agli altri la scelta di chi mandare al governo. Che cosa vogliono di più? La mia è una scelta legittima, così come totalmente legittime sono le mie critiche a questo andazzo generale. In realtà i partiti politici di sinistra non sono più né carne né pesce a forza di imitare le destre, dato che le masse e gli stessi operai votano a destra e i dirigenti sinistrorsi non potevano lasciare il campo completamente alle destre.  Così facendo politicamente non c'è più alcuna sinistra, ma ci sono due destre: la destra liberista selvaggia, identitaria di Salvini e Meloni, la destra socialdemocratica e apparentemente progressista del PD. La base della sinistra si accontenta, così come gli stessi burocrati dei piccoli partiti comunisti rimasti si accontentano di militanti comunisti che non hanno mai letto Marx. Importante è chiamarsi ancora compagni, anche se la falce e il martello sono scomparsi in nome della modernità.  L'insoddisfazione è reciproca, ma l'importante è salvare le forme, le apparenze. 

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Articolista, collaboratore di blog e riviste.

Nato nel 1972 a Pontedera,  laureato in psicologia.

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