È notte, un uomo si tormenta in un letto in preda a ipotetici deliri che tengono ben lontano il sonno e ben sveglia invece la carovana di pensieri che frullano nelle stanze della sua mente impolverata. Senza accendere la luce si alza e si avvicina alla finestra, dà un’occhiata alla strada sotto l’appartamento: i locali sono ancora aperti, c’è ancora qualche studente che prova a far festa e qualche ubriaco che biascica parole in una lingua incomprensibile. In lontananza il vecchio orologio scandisce il tempo e il fiume, silenziosamente nero, scorre sotto i grandi ponti. Dopo aver sciacquato la sua faccia va in cucina, prende una bottiglia dalla credenza e, poggiato ad una sedia, beve e poi beve ancora.
Dalla consolle tira fuori una vecchia cassettina di legno, la poggia sul tavolo e poi inizia a sfogliare e a controllare minuziosamente il contenuto.
Ci sono almeno cinque o sei lettere, sono delle lettere bellissime, lui lo sa e se ne rammarica; per vivere l’uomo scrive ed inventa storie, avrebbe fatto un patto con il diavolo per scrivere qualcosa con quella spontaneità e passione, erano davvero delle bellissime lettere. Ci sono anche due biglietti di quel famoso teatro, alcuni invece, mezzi strappati, sono delle ferrovie di vari Paesi e città. C’è un abbonamento ad una biblioteca civica e poi delle fotografie.
I soggetti ricorrenti sono per lo più vecchi o persone del ceto medio alle prese con le battaglie quotidiane: lavoro, discorsi, commissioni e futilità simili. Anche quelle foto sono bellissime, ci sono anche delle pellicole non ancora sviluppate. L’uomo le prende e le guarda da vicino. Pensa al tragico destino di quel tipo di pellicola, ormai sempre più rara, è una trentacinque millimetri, il soggetto è quasi sempre lo stesso: una donna.
È molto affascinante, ha dei tratti che potrebbero essere scandinavi ma di questo non ne è sicuro. Compare nelle pose più naturali, mentre beve un caffè, legge un libro, oppure assorta in chissà quale pensiero. Mentre scorre la pellicola l’ambientazione delle esposizioni si fa sempre più intima, nelle ultime la donna è ritratta nuda o perlomeno con pochi indumenti. Le sue pose non sono plastiche o studiate, sono sempre colte in un’omogena naturalezza, la vignettatura ai bordi dà allo scatto un alone di trascendentale come se avvolgesse la figura e la trasportasse in uno spazio metafisico. L’uomo si commuove e poi richiude la cassetta.
In controluce, tra il soggiorno e la cucina, poggiata alla parete, c’è una figura esile. Ha i capelli lunghi e arruffati, indossa una vestaglia, ha le braccia conserte.
«Ma che fai in piedi a quest’ora?» Dice poi con una voce svogliata per via del sonno.
«Non riuscivo a dormire» risponde prontamente l’uomo.
La donna si avvicina al tavolo, guarda la cassetta in legno, si siede e poggia la testa stanca sulla mano e fissa l’uomo con un sorriso rassegnato. «Ti sembra normale?» Chiede. L’uomo non risponde, fissa il tavolo da quattro soldi e gioca con il bicchiere svuotato poco prima.
«No… ma non posso farci nulla, non riesco a non pensarci» aggiunge dopo aver riempito un altro bicchiere.
«È successo otto, nove anni fa credo! Prima che ti incontrassi soprattutto… che importanza ha?»
«Nessuna, nessuna. Non riesco però a togliermi dalla testa questa cosa» spiega l’uomo.
«Sai che prima di questo ci sono state altre persone? Anche prima di conoscere te, lo sai perfettamente vero?»
«Certo ma qui è diverso… non riesco a spiegarmelo ma è diverso».
«Ascolta» dice la donna mentre con la mano stringe l’avambraccio dell’uomo «ho avuto delle esperienze, ho viaggiato – è il mio lavoro – ho conosciuto persone, con alcune di loro sono stata insieme, con altre no. È la vita… è la vita passata soprattutto, non posso mica cancellarla! E poi che senso avrebbe? Non puoi tormentarti e tormentarmi così, è una mancanza di fiducia lo capisci?»
«Sì che lo capisco… ma è questa che non lo manda giù» l’uomo si dà un colpettino sulla nuca e poi abbozza un sorriso.
«Io non posso farci niente, posso solo darti il mio tempo, sono anni che ti dedico il mio tempo, sono anni che ci concediamo il nostro tempo reciprocamente, è una cosa molto seria e molto bella sai? Scegliere di fermarsi è un gesto importante, non ti nego che a volte, qualche ricordo della mia vita precedente ancora compare, di alcuni non ricordo nemmeno la voce, di altri appena qualche movenza o segno particolare, di altri ancora invece tutto è nitido, come se fossero stati qui fino a qualche giorno fa. Ma non ha importanza, sono sei anni che ho scelto di seguire questa direzione, lo capisci?»
L’uomo annuisce, il monologo della donna non ha tuttavia l’effetto sperato. Non si tratta di accettare un passato, si tratta di capire come mai non si riesce a capire, è questo il tormento dell’uomo.
«E poi» continua la donna «anche tu hai avuto altre relazioni, altre storie e altre persone che hanno colmato le tue giornate. Su alcune di loro hai addirittura scritto, le hai rese immortali, eterne… io come dovrei sentirmi? Ogni volta che apro un tuo libro una di loro mi compare davanti e non solo a me ma a tutte quelle persone che leggono le tue storie».
L’uomo a questo non ci aveva mai pensato, scrivere storie è il suo lavoro, scrivendole cristallizza il tempo. In fondo non c’è nessuna differenza tra uno scrittore ed una fotografa, entrambi catturano dei momenti, usano solo strumenti diversi.
«Hai ragione… hai ragione in tutto ma capisci che il mio è un tormento mentale? Ho un blocco solo con questi ricordi» dice mentre indica la scatola.
«Se domani cestinassi tutto, ti sentiresti meglio?» Chiede la donna sempre più svogliata e insonnolita.
«No» risponde l’uomo «che senso avrebbe? Se si potesse cancellare la storia non credi che molti lo avrebbero già fatto? Riscriverla… questa sarebbe una buona tecnica ma poi diventeremmo tutti dei bugiardi e questo status è riservato solo agli artisti. Che senso ha cestinare i ricordi se poi continuano a vivere nella mente di chi li ha vissuti? Che senso ha demolire statue, bruciare libri, censurare film se poi la storia è comunque accaduta? Sarebbe solo da ipocriti».
«Esatto, quello che è passato è passato. Proviamo invece a progettarci un futuro… o perlomeno non intossichiamoci il presente».
La donna sorride, si alza e invita l’uomo a tornare a letto.
Il giorno dopo lei si alzerà tardi e non andrà al lavoro, lui le preparerà la colazione. Mangeranno uova e berranno caffè.
Ci ho trovato diversi risvolti in questo racconto. Complimenti.
c’
Ti ringrazio Caterina. Cosa ti ha incuriosito?