Che ai giorni d’agosto non ci ho mai creduto
alla loro verve posticcia
alla spensieratezza incostante
fino a diventar incombente
Giorni che biasimo
come il senso di felicità che non penetra
ormai non so più da quando
Svogliatezza insensata
Vuoto avvinto
Pensieri spezzati
che mi balenano con Pinocchio in pancia
col naso lunghissimo che punge manifesto
e lo stare, sta:
nemmeno giaciglio
avviluppato in sé in immoto perpetuo
Vidi la resa e la rivincita mai concessa
Vidi il clamore dell’idea che incondivisa
prospetta il parto che abortisce e non lega
Eppur insieme generammo
l’afflato del noi
che inseminai io stesso
e che da allora divenne gestante
nelle viscere della mia fantasia
Infante di belle e luminose speranze
baldo,
frutto lustro e succoso
come quelli di una vanagloriosa pubblicità
Così non fosse, lo seppi e lo so, fin d’allora:
s’annida, però, un però:
minuscolo, pulviscolo che ancor m’incendia
in certi giorni d’agosto vinti d’inedia
in cui un solo gesto, mimando carezza,
stagliato ricordo indelebile m’inebriò
Non v’è miglior astemìa di chi fu ebbro per una volta sola.