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Camera anecoica. 1.

..ero al buio. in quello strano silenzio riempito dai suoni del mio corpo. 

potevo immaginare che vi fosse qualcun altro, al di là e oltre: il mondo esisteva ancora in me, come immagine cui mi volevo ricongiungere. ma ero, lì. disperatamente solo. in quell’ovattato crepuscolo sonoro. una condizione che raramente sperimentiamo, non fosse altro per il rumore di fondo che ci accompagna, inascoltato ma udibile, della città o della natura. e poi c’è sempre qualcosa che si muove nei pensieri, nella mente. e la mente, infatti, si agitava. riottosa a calmarsi, una proiezione impazzita 24/7: fotogrammi e parole che si accavallavano privi di una logica e di un criterio di definizione su cosa volessi io proiettare, libera e selvaggia. io ero diventato una sorta di identità isolata e messo faccia a faccia con me stesso, in quella stanza: non solo preso  dai miei pensieri, ma anche e soprattutto a contatto intimo con il mio corpo. un prodigio a pensarci bene: organi e sistemi che in autonomia ci mantengono in vita senza la nostra partecipazione. in quei momenti, chissà come, seppur sia comprensibile, mi si presentava alla mente la struttura dell’orecchio interno. che pensiero assurdo: la sua immagine, vista chissà quando e dove, e memorizzata, evidentemente, a mia insaputa, mi si proponeva costantemente e io la ruotavo nella fantasia, sospeso in quel tempo che scorreva piano e denso.  vedevo chiaramente le parti dell’orecchio interno. come si erano formate, in quanto tempo e seguendo quale legge di selezione naturale… erano  nate o si erano evolute, per prove e funzionalità, in quel modo? il che mi portava a pensare che ci fosse, che dovesse esistere un qualcosa all’origine che, con la potenza infinita e strabordante della sua immaginazione, con la sua capacità di valutare cosa sarebbe andato meglio per vivere sul pianeta sul quale posiamo le nostre orme, ci avesse dotato di un qualcosa di così sofisticato, progettato per garantirci una forma di sopravvivenza  tramite il suono captato del mondo esterno. attenzione però: entro una determinata fascia di frequenze e non più ampia o più limitata, per non confonderci e renderci vulnerabili.  forse un nostro antenato poteva udire ben oltre noi, ma la sua capacità lo aveva posto davanti a un problema di sovraesposizione che non lo aveva avvantaggiato: la tigre dai denti a sciabola se lo era divorato, d’un balzo, incredula per quella scarsa attenzione al pericolo della sua preda, ed era lui, il nostro antenato potenziato, distratto dal cinguettio voluttuoso di qualche uccello e dall’impetuoso gorgoglio di un rivolo d’acqua: selezione naturale immediata e così ci siamo persi la possibilità di udire l’attuale inudibile. andata! addio al super udito! e mentre il mio antenato diveniva un ramo evolutivo brutalmente potato, permaneva la domanda sulla possibilità e la probabilità del nostro pur semplice esistere.  e io mi chiedevo, in quel mostruoso monologo interiore, che tutti noi abbiamo provato e che ci inonda con il suo flusso incoerente le menti generalmente prive di una qualsiasi forma di argine, ma come era possibile essere divenuti quali siamo? perché non altrimenti? perché poi così differenti fra noi? il contesto ci aveva plasmato e un ordine interno, autoregolamentato da differenti tipi di “tigri dai denti a sciabola” , pronte a selezionare, a scremare  e a ottimizzare.  una efficienza quasi paradossale nella sua varietà infinita di forme animali e vegetali… intanto il tempo trascorreva e pareva aver preso una sua dimensione tangibile. avrei potuto afferrare un minuto e stringerlo tra le mie mani, la trasposizione materiale di sessanta secondi che scorrevano tra le mie dita: in quel momento il tempo era allineato con me. ero nel e del tempo. uno, due, tre e quattro e via così.  fisso nell’istante. provavo una pace in quel ritmo che si affiancava al mio, a quello dei battiti del mio cuore. che pace, in quel preciso istante… poi ritornavo al confuso apparire e svanire del film 24/7. la sensazione mi aveva sconcertato: noi siamo sempre un po’ sfalsati rispetto al tempo: quello della storia, della società e del mondo. ci portiamo un po’ in avanti: ecco ci sporgiamo sul futuro. un po’ indietro e precipitiamo nel passato. in bilico su una sfera di ore e giorni e anni, confusi e precari quali siamo. poi, magicamente, accade. entriamo nel tempo e ci ricolleghiamo al suo ritmo: il nostro cuore incontra la follia di un altro essere, sfalsato anch’esso, che gli risponde. il prodigio! come si fa a sapere se si è innamorati, se si è un più vivi, se non quando il tempo acquisisce una sua temporanea sospensione che ci immerge nel tempo del mondo e libera quella nostra follia, relegata in un angolo, a ricomporci nel presente? a reinserirci nel tempo, a farci abitare un tempo che è un luogo dell’anima, finalmente, presenti e vivi… mi sembrava un pensiero profondo: ne provavo una sorta di commozione, quella che accompagna le grandi scoperte. quelle verità che forniscono ossatura alla nostra esistenza. mi ci sarei anche voluto soffermare, per coglierne le sfumature e i rimandi ai miei giorni, ma la mia mente si era rimessa in azione. il moto implacabile dei pensieri, in quel silenzio, pareva assurdo a dirsi: in quella condizione di isolamento, mi sentivo come quegli speleologi che si fanno rinchiudere per mesi nelle grotte e poi, tornati in superficie, credono di aver guadagnato un giorno o due. il tempo interno si è dilatato ed espanso, privo com’è di riferimenti. tic tac tic tac… 

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