Storie recenti

  • in

    "Senti Caro Carlo”, di Maria Pia Selvaggio

    Si intitola "Senti Caro Carlo”, il saggio di Maria Pia Selvaggio, frutto di uno studio di tre anni, che mira ad avvicinare soprattutto i più giovani alla complessa figura del grande scrittore milanese in modo non “accademico” attraverso la corrispondenza tra Gadda, giovane soldato al fronte durante la Prima Guerra Mondiale e sua zia.Il libro, già best seller in nella sezione Critica Letter... Altro...

    Si intitola "Senti Caro Carlo”, il saggio di Maria Pia Selvaggio, frutto di uno studio di tre anni, che mira ad avvicinare soprattutto i più giovani alla complessa figura del grande scrittore milanese in modo non “accademico” attraverso la corrispondenza tra Gadda, giovane soldato al fronte durante la Prima Guerra Mondiale e sua zia.

    Il libro, già best seller in nella sezione Critica Letteraria d Amazon, parte dall’analisi e dalla ricostruzione del carteggio custodito presso il Gabinetto Vieusseux di Palazzo Strozzi a Firenze e danneggiato dall’alluvione dell’Arno del 1966.

    Affrontare la gigantesca figura di Carlo Emilio Gadda, personalità tra le più affascinanti e importanti della letteratura italiana del ‘900, per Maria Pia Selvaggio, è stata una scommessa vinta. Da pochi giorni infatti l’editrice e scrittrice sannita di Telese Terme (Benevento), ha dato alle stampe il saggio dal titolo "Senti Caro Carlo. Fibre epistolari tra Carlo Emilio Gadda e Isabella Rappi Lehr".

    Il saggio scaturisce dal lungo studio di un carteggio, contenente la corrispondenza epistolare tra Gadda, giovane soldato al fronte durante la Prima Guerra Mondiale, e la zia Isabella Rappi Lehr, medico specialista al Rizzoli di Bologna.

    Le epistole sono state concesse in esclusiva all’autrice del saggio, dagli eredi di Gadda con l' approvazione del Gabinetto di Stato Viessaux di Firenze e della commissione gaddiana della ricerca di dell’Università La Sapienza di Roma. Le lettere, in parte illegibili data l'usura del tempo, sono state analizzate e decodificate da Maria Pia Selvaggio in un lavoro solitario durato tre anni.

    Pur mantenendo quella "armonia prestabilita", che rende unico il labirinto gaddiano, la saggista Selvaggio ricostruisce, attraverso il piano della "realtà" e quello del "caos", il momento di deformazione strutturale, che serve a svelare la trama poetica di Gadda oltre l'apparenza, minando la provvisorietà e la costruzione barocca, atta a sollecitare un profluvio di emozioni, nel centro del vortice nevrotico tra linguaggio e verità.

    Il carteggio diviene solo lo spunto da cui Maria Pia Selvaggio parte per "puntellare" le risorse gaddiane, che screpolano le ansiose richieste della zia Isabella: "Come sta il mio caro Carlo?; Ho conosciuto un ingegnere che ti potrà dare una mano, raccomandarti...; Senti Caro Carlo, la tua cara mamma...;".

    La guerra "imposta" ai vari intellettuali, diviene l'itinerario di un disordine non "ordinato", anche se quell'eredità dolorosa, in cui perderà l'amato fretello scuoterà e riscalderà il Gadda scrittore.

    Il disordine oggettivo del reale, l’affetto dell’autore nei confronti del fratello, l’orrore della guerra, il disprezzo per le gerarchie, la ricostruzione del pensiero, sono le tematiche principali intorni alle quali riflette la Selvaggio, dividendo il saggio in quattro sezioni che analizzano e "rosicchiano" i pensieri di Gadda (filosofo, uomo, nipote, figlio e fratello).

    In evidenza, le geniali   creazioni linguistiche, le  accensioni liriche, le pennellate impressionistiche, di una costante vena ironica e di un’arguta vis polemica, tipicamente ed isolatamente gaddiane

    È evidente il coinvolgimento emotivo dell’autrice, lontano anni luce dalla fredda analisi d’un Gadda “critico”; l’arte, il linguaggio, la storia (delle idee e degli eventi), le scienze, la tecnica sono organi d’un essere vivente, come tali avvertiti e vissuti.

    Il lavoro di Maria Pia Selvaggio mette anche a confronto due mondi differenti: quello della zia, Isabella, medico ortopedico, donna borghese, e attenta alla sorte lavorativa e preoccupata per la salute del nipote, e quello di Carlo, soldato ventiduenne, irascibile e oltremodo critico .

    Il saggio è dunque un’epopea letteraria che parte dalla famiglia e approda alle opere più significative dello scrittore milanese.

    Lascia un commento

    Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

  • in

    'L'edera'. La Sardegna di Grazia Deledda

    L'edera, romanzo del 1908 di Grazia Deledda, è il racconto di un solo personaggio, Annesa, la "figlia d'anima", la giovane serva che si innamora del proprio padroncino. La sua maturazione avviene significativamente sulla "via di Damasco", dalla cecità del male alla luce del bene, implicata nella pragmatica di esistenti immodificabili nei loro ruoli e dietro le loro tragiche maschere. La coscienz... Altro...

    L'edera, romanzo del 1908 di Grazia Deledda, è il racconto di un solo personaggio, Annesa, la "figlia d'anima", la giovane serva che si innamora del proprio padroncino. La sua maturazione avviene significativamente sulla "via di Damasco", dalla cecità del male alla luce del bene, implicata nella pragmatica di esistenti immodificabili nei loro ruoli e dietro le loro tragiche maschere. La coscienza del peccato che si accompagna al tormento della colpa e alla necessità dell'espiazione e del castigo, la pulsione primordiale delle passioni e l'imponderabile portata dei suoi effetti, l'ineluttabilità dell'ingiustizia e la fatalità del suo contrario, segnano l'esperienza del vivere di una umanità primitiva, malfatata e dolente, "gettata" in un mondo unico, incontaminato, di ancestrale e paradisiaca bellezza, spazio del mistero e dell'esistenza assoluta.

    Più volte e in separate pagine chi scrive ha creduto di scorgere, concordemente e sulla scorta di buona parte della vulgata critica, l’originalità e la forza della narrativa deleddiana proprio nella appassionata e magistrale rappresentazione dell’auto-modello sardo e, soprattutto, nellaproiezione simbolica del suo universale concreto. Sullo sfondo di paesaggi edenici, carichi di emozioni e di suggestioni incantatorie, l’isola è restituita e intesa, nelle pagine della scrittrice, come luogo mitico e come archetipo di tutti i luoghi, terra senza tempo e sentimento di un tempo irrimediabilmente perduto, spazio ontologico e universo antropologico entro cui si consuma l’eterno dramma del vivere.

    Grazie Deledda per questo romanzo si avvale l’artificio per parlare d’altro, lo piega ad un ine più alto. Questo è ciò che la rende una grande scrittrice, figlia ed erede, a suo modo, della grande tradizione umanistica, che aveva teorizzato il miscēre utile dulci e il docēre delectando, e costituito il fondamento di un’idea della letteratura come «formatrice della vita intellettuale e morale dell’uomo, come moderatrice della sua natura»; un’arte educatrice con finalità essenzialmente etiche, che nei secoli aveva mirato ad insegnare e a dilettare, a consolare e a far riflettere.

    Con la Deledda, e tramite la sua operazione artistica, la Sardegna entra a far parte dell’immaginario europeo.Una realtà geografica e antropologica si trasforma, come ha efficacemente rilevato Nicola Tanda, nella «terra del mito», metafora di una condizione esistenziale, quella del primitivo, che proprio la cultura del Novecento aveva recuperato come unica risposta possibile al disagio esistenziale creato dalla società industriale e luogo per eccellenza dove rappresentare le angosce dell’uomo contemporaneo di fronte al progresso scientifico.

    Lascia un commento

    Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *