Psicologia
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in PoesiaL’INNESCO Il pensiero è così potente, ferma il tempo. Non voglio pensarci! I rumori si fanno pressanti, lei, &n... Altro...L’INNESCO Il pensiero è così potente, ferma il tempo. Non voglio pensarci! I rumori si fanno pressanti, lei, la mia glock, è lì sul tavolo ed io l'ammiro. Un rivolo di sole penetra dalla persiana e la illumina come a dire "Eccomi, oggi è il tuo giorno" Ed io ci penso, sul serio, se far udire alla stanza quel click. Tic Tac, Tic Tac...DRIIIIIIIN Il timer del forno mi risveglia dai pensieri intrusivi della mattina. io non lo farò oggi, non lo farò in uno sporco monolocale da tossico, non lo farò sparandomi alla testa o legandomi a quel traliccio. Il pensiero è forte, ma io sono coraggiosa, non lo farò né oggi né mai, s perché ci vuole più coraggio a vivere una vita così complessa che sparire dall'universo. Ad un tratto il gatto spalanca la persiana con una zampina, ancora così piccola da far tenerezza. Ed è la tenerezza della sua zampina, unita alla valanga di luce solare, che mi riportano lontano dall'Ade. Una luce calda, amabile, gioiosa. La gioia, che non so cosa sia, fa capolino dalla mia finestra. Ed io resto immobile, scaldandomi l'epidermide, convinta che oggi non lo farò.
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in Fantasy
Il vecchio che guardava il fiume
Il cielo era carico di un azzurro così intenso da far male agli occhi. Non una nuvola nel cielo era rimasta dopo il forte temporale e il sole faceva capolino ad est dietro le vette appenniniche che incornavano la vallata verde oro, tempestata di alberi di giuda e rocce sedimentarie. Dabbasso, il fiume scorreva gonfio, biondo, pieno della pioggia caduta nei giorn... Altro...Il cielo era carico di un azzurro così intenso da far male agli occhi. Non una nuvola nel cielo era rimasta dopo il forte temporale e il sole faceva capolino ad est dietro le vette appenniniche che incornavano la vallata verde oro, tempestata di alberi di giuda e rocce sedimentarie. Dabbasso, il fiume scorreva gonfio, biondo, pieno della pioggia caduta nei giorni addietro. Le effimere, con le loro ali trasparenti e i corpi cangianti, saltellavano insistentemente sul pelo dell’acqua. Erano migliaia e stavano deponendo le uova; fragili e ignare, esse erano fonte di nutrimento delle trote e, ogni tanto, il balzo di una grossa iridea apriva uno squarcio nella superficie del fiume e, afferrata la preda, ricadeva in acqua tra schizzi e scialacqui. Sulla sponda ovest del fiume, si alternavano vecchie canapine riconvertite in orti a campi in disuso pieni di sterpaglie e boschi di rovi di more. In uno di quegli orti, sostava un vecchio uomo perso nei suoi pensieri a guardare lo scorrere del fiume. L’uomo aveva trascorso almeno ottanta delle sue primavere, la pelle era color della sabbia e i segni sul volto e sulle mani erano profondi solchi similialla terra arata che tanto aveva battuto sotto i suoi piedi. Aveva corti capelli bianco candido in un taglio militare che denotava la cura per l’ordine ma la pocaimportanza alle apparenze. Gli occhi erano di un profondo verde del tutto identico ai numerosi lecci intorno a lui. Il corpo era ancora forte e nerboruto, ritorto dall’artrite come un bastone d’olivo ma possente come il tronco di una quercia. Indossava una camicia a scacchi dai colori stinti e un paio di pantaloni che in un epoca lontana dovevano esser stati color cachi. Viveva da solo ormai da più di trent’anni. Sua moglie, stanca della vita umile di vallata, lontana dalle grandi città, aveva deciso di andarsene a cercar fortuna chissà dove, o almeno così lui giustificava l’assenza, ma la realtà spesso è dura da accettare e la mente trova soluzioni più accomodanti. Non avevano figlioli e persero subito i contatti; fu l’uomo a non cercarla mai, non presentandosi neanche alle udienze. Non cercò mai neanche una nuova compagna; la solitudine che tanto poteva far paura ad altri, con il tempo, per lui divenne una taciturna amante. Il vecchio sedeva su di una sedia in legno, poco meno che sua coetanea, con la seduta impagliata ormai piena di trecce sciolte che pendevano a destra e a manca; avrebbe dovuto cambiarla già da un po’ ma trovava sempre una scusa per lasciarla lì dov’era: la nostalgia oscura i buoni propositi. Quella mattina si era svegliato più presto del solito, quando la notte non aveva ancora lasciato spazio al giorno. Ricordava solo vagamente gli agitati sogni che lo avevano svegliato e ora, quel piacevole frusciare delle acque del fiume e il suono melodico e ripetitivo del codirosso spazzacamino appollaiato su qualche ramo non lontano, lo cullavano con una ninna nanna antica. «Vedere l’acqua che scorre inesorabilmente nella stessa direzione nel letto del fiume, mi dà la misura dello scorrere del tempo» Il vecchio, preso di soprassalto da quella voce, barcollò sulla sedia malconcia e riuscì a mantenere l’equilibrio correggendo il peso su di essa. Doveva essersi addormentato, ma chi mai era quella ragazza seduta a terra a fianco a lui? Si stropicciò gli occhi e schiarì la voce con un suono cavernoso «Devo essermi addormentato, tu chi sei? Che ci fai nel mio orto?» La ragazza continuava a guardare fisso il correre del fiume «Chi sono io non ha importanza. Piuttosto direi, chi sei tu? Te lo sei mai chiesto?» Il vecchio rimase interdetto. Doveva essere una ragazzina di quelle dei paesi limitrofi che per evadere un po’ dalla routine della vallata si faceva di qualche droga. Aveva lunghi capelli biondi sciolti e lisci come seta filata, incarnato era molto chiaro, gli occhi brillavano di luce intensa e intelligenza, non certo uno sguardo imbambolato reso passivo dagli allucinogeni. Indossava una maglia bianca decisamente più grande della sua taglia che gli faceva da tonaca e a occhio e croce dimostrava tra i quattordici e i sedici anni. A dirla tutta il vecchio non era neanche sicuro fosse una femmina. I capelli lunghi e la voce squillante avevano fatto si che fosse catalogata nell’universo femminile ma uno sguardo più attento al volto duro, con zigomi alti e pronunciati e labbra dure e sottili, fecero sorgere dei dubbi all’uomo che pensava che i giovani di oggi non avessero più la cura di indossare abiti che, come una volta, non lasciassero dubbi sull’entità di genere. «Perché dovrei mai chiedermi chi sono io. Io so perfettamente chi sono e ora lasciami in pace ho da lavorare al mio orto. Ho già perso troppo tempo.» «E dove avresti perso il tuo tempo?» domandò la ragazzina «ricordi dove? Perché io potrei aiutarti a ritrovarlo. Io non perdo mai nulla. In realtà ho perso qualcosa solo una volta, e l’ho pagata cara, ma vedo tanti come te che perdono di continuo qualcosa: il tempo, l’amore, le persone, la pazienza e spesso, più di tutto, la speranza. Sono quelli che mi fanno più tenerezza e che decido quindi di aiutare: quindi vuoi che ti aiuti a ritrovare il tuo tempo? Ma poi sei sicuro di averlo perso? O hai perso qualcos’altro?» «A breve avrò perso la pazienza!» tuonò il vecchio «e la ritroverò solo quando te ne andrai, quindi smamma! Vattene e non prenderti gioco di un vecchio come me.» «Quindi vuoi veramente che io me ne vada? Sei sicuro sicuro? Quello che ti sto chiedendo è: che cosa vuoi veramente?» e la ragazza questa volta si girò a guardarlo e lui ne rimase come folgorato. I suoi occhi brillavano come gelide stelle incandescenti e il vecchio rimase a fissarli come ipnotizzato. Rivide in quelle luci tutta la storia della sua vita che girava come la pellicola di un vecchio film. Si rivide in fasce coccolato da sua madre, rivide se stesso correre con la cartella verso la scuola, vide il ragazzo che era mentre lavorava la terra, rivide sua moglie il giorno del matrimonio e infine vide un uomo che invecchiava solo e amareggiato. Il film della sua vita si interruppe e gli occhi della ragazza tornarono normali occhi ma di un azzurro ineguagliabile. «Te lo ripeto. Cosa vuoi veramente?» «Vorrei tornare indietro nel tempo» disse il vecchio, appoggiando i gomiti sulle coscie, mettendo la testa tra le mani e coprendosi il viso «vorrei non essere stato un egoista per tutta la mia vita. Ho pensato sempre e solo a me stesso. Ho pensato che il lavoro venisse prima di tutto. Ho creduto che, guadagnando abbastanza soldi per una esistenza rispettabile mia moglie non avesse bisogno di altro. Non ho capito nulla e non mi sono mai preoccupato di capire chi mi circondava. E adesso, vecchio come sono ho perso la speranza. Ormai per me non c’è più nulla da fare. Morirò solo, perché è questo che mi merito.» «Bene» disse la ragazzina «finalmente parli con il cuore e non con la testa. Non è mai tardi per la speranza e io posso aiutarti a trovarla come ti avevo detto. Ricorda però di non perderla di nuovo, siamo d'accordo?» Quando il vecchio smise di piangere e tolse le mani dal volto per prendere un fazzoletto ed asciugare le lacrime, vide che la ragazzina era scomparsa. Un attimo prima era lì con lui e un attimo dopo non c’era più. «Ehi, vecchio ubriacone! Sta mattina batti la fiacca o sbaglio?» disse un signore anziano che passava sulla vecchia strada ferroviaria che divideva gli orti dalla costa rocciosa. «Mai quanto te!» disse il vecchio, vagamente sorpreso, rbrigandosi a nascondere fazzoletto e lacrime «Ma dico, hai visto per caso passare una ragazzina dai lunghi capelli biondi, occhi azzurri, vestita di bianco?» «Ma no» rispose il passante «vengo dal ponte e nessuno è passato. Dico, non sarà mica che hai bevuto davvero e hai sognato Nera?» «Chi è Nera?» domandò il vecchio, incuriosito. «Ooo, questa è bella! Sei qui da quasi un secolo e non conosci la leggenda della Ninfa Nera?» rispose il passante che si accinse a scendere gli scalini di terra e sassi per raggiungere il vecchio, e continuò a raccontare «Si narra che la Ninfa Nera venne trasformata nel fiume che vediamo per un amore proibito con un umano. Da quella volta, solo quando vede un umano triste per amore che guarda il fiume, ella possa tornare in forma umana per aiutarlo. Dalla tua descrizione sembra proprio lei! Bionda come il fiume in piena, occhi azzurri come il fiume calmo, veste bianca come gli spruzzi e la schiuma quando si infrange sulle rocce!» «Cosa ti fa pensare che io sia triste per amore, impiccione?» rispose il vecchio. «Ah, io non so se sei triste per amore ma triste lo sei di sicuro da quando ti conosco e la Ninfa mi è venuta in mente perché c’è la tua ex moglie che ti sta aspettando di fronte casa da un po’. Ero appunto venuto ad avvertirti.» Il vecchio spalancò la bocca come se la mandibola fosse caduta dai suoi perni. Si alzò in piedi e disse «Cosa aspettavi a dirmelo, sciocco che non sei altro a parlar di ninfe e leggende!» «Che cosa le dirai dopo tutti questi anni, vecchio ubriacone?» Disse il passante. «Le dirò che ho ritrovato la speranza!» e si incamminò con passo sicuro. 8Lascia un commentoAnnulla risposta
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in Saggistica
Sulla giustizia e sull'ingiustizia…
Che cosa ci spinge a invocare giustizia e uguaglianza dal profondo del nostro cuore quando tutto nel mondo è ingiustizia e disuguaglianza? Non è forse un'ambizione mal posta, un'utopia? Di solito quando si parla di ingiustizia ci si riferisce a quella economica. È questa che crea più sofferenza e che addirittura fa morire di fame nel mondo. Ma esiste non solo il lato Marx ma anche quello Freud... Altro...Che cosa ci spinge a invocare giustizia e uguaglianza dal profondo del nostro cuore quando tutto nel mondo è ingiustizia e disuguaglianza? Non è forse un'ambizione mal posta, un'utopia? Di solito quando si parla di ingiustizia ci si riferisce a quella economica. È questa che crea più sofferenza e che addirittura fa morire di fame nel mondo. Ma esiste non solo il lato Marx ma anche quello Freud. Ci sono le ingiustizie sentimentali, sessuali, psicologiche. La lunghezza della vita, la modalità della morte di ognuno sono diverse e ognuno può percepire come ingiuste. Ci sono lo stato di salute, le patologie, le malattie, gli incidenti. Impossibile sarebbe rendere gli uomini tutti uguali. Non sarebbe cosa umana e farlo sarebbe una forzatura spaventosa, bisognerebbe eliminare gran parte della libertà individuale e lo sforzo sarebbe vano lo stesso perché l'uomo non è fatto per essere in catene. Per eliminare totalmente le ingiustizie bisognerebbe rendere tutti uguali e tutte le vite uguali: ciò è impossibile. L'ingiustizia è fisiologica per l'umanità e per questo mondo. Si può ridurre ma non eliminare, anche perché quello che io considero giusto per un'altra persona è ingiusto e viceversa. Il valore di un uomo si vede molto da come sopporta il suo dolore e le ingiustizie subite o ciò che ritiene tali. Anche se tutta questa disparità di trattamento fosse dovuta non alla sorte ma alle capacità individuali e alle differenze individuali sarebbe comunque una grave ingiustizia. In fondo i limiti e le possibilità di ognuno dipendono da Dio e oltre a questo la psicologia delle differenze individuali non è una scienza esatta: tutt'altro. Diciamocelo onestamente: spesso la differenza tra vita e vita non è dovuta solo al merito, anche se chi ce l'ha fatta tende a percepire come unico fattore determinante solo il merito, l'impegno, la capacità, mentre tende a sottostimare la fortuna, il caso, Dio. E poi cristianamente parlando la salute, la volontà, la possibilità di impegnarsi, la capacità di realizzare un progetto, la fortuna che un'altra macchina vi venga addosso quando guidate chi ve le concede se non Dio? Certi self made man si comportano come se la sorte e con essa Dio non esistessero. È quello che in psicologia si chiama locus of control interno. Può essere molto utile, ma è una percezione errata, un'illusione che non corrisponde al vero. La dottrina cristiana dice che Dio ha dato all'uomo il libero arbitrio, ma naturalmente molti si scordano che tutto ciò avviene nel dominio e nei limiti della volontà divina perché poi alla fine è Dio che dà e toglie la vita: alla fine viene sempre fatta la volontà di Dio. Un interrogativo assillante, pressante nell'animo di ognuno è quanto ogni ingiustizia dipenda dalla sorte, dalla natura umana, dalla logica del sistema, dell'etica del singolo individuo, dalle relazioni umane che si sono venute a creare in quel determinato frangente. Poi bisogna valorizzare ogni nostra scelta, cercare di valutare, di ponderare bene, di agire con criterio, di non farsi prendere dagli impulsi, di comportarsi bene senza andare fuori di sé. Bisogna sempre ricordarsi, come cantava Pierangelo Bertoli, che "in quell'attimo c'è anche Dio".
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in Thriller
La notte dell'assassino
"La notte dell'assassino" è un thriller psicologico, in cui le indagini ufficiali sono sullo sfondo e a cercare il colpevole degli omicidi sono i diversi personaggi che si improvvisano detective. La vicenda inizia venti anni prima: nel prologo, Maria, una donna testimone di un crimine atroce, viene investita da un misterioso pirata della strada. Venti anni dopo nuovi delitti, collegati a quello, ... Altro..."La notte dell'assassino" è un thriller psicologico, in cui le indagini ufficiali sono sullo sfondo e a cercare il colpevole degli omicidi sono i diversi personaggi che si improvvisano detective. La vicenda inizia venti anni prima: nel prologo, Maria, una donna testimone di un crimine atroce, viene investita da un misterioso pirata della strada. Venti anni dopo nuovi delitti, collegati a quello, avvengono in una piccola città, durante una notte di dicembre. L'assassino si rivolge ai lettori per spiegare il suo desiderio di uccidere. Lui è il famoso "killer dei barboni" e vuole eliminare i senzatetto, in quanto li considera esseri inutili. Nel romanzo si intrecciano di volta in volta le storie e le voci dei vari personaggi e si mescolano a quella dell'assassino che commenta i fatti dal suo punto di vista distorto e alienato.
Tra i vari temi trattati (quello dell'amicizia, dell'amore, della solitudine, del volontariato), c'è anche e soprattutto quello della follia, perché ognuno pensa di essere normale dal suo punto di vista e considera strani e folli gli altri. Nel romanzo l'autrice, in virtù della sua esperienza di giornalista a contatto con la gente, ha cercato di dare voce, attraverso i vari personaggi, ad un'umanità variegata, spesso sofferente, ma alla ricerca della propria felicità e desiderosa di riscatto. Sono persone con dei sentimenti nei quali possiamo facilmente riconoscerci.
"La notte dell'assassino" è un thriller originale e intrigante, da leggere tutto d'un fiato, con un finale sorprendente e una trama che si basa non solo sui delitti, ma anche sugli intrecci tra i vari personaggi.
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in Opinioni
Volersi bene…
A poco conta ogni "volemose bene" se noi non riusciamo innanzitutto a volerci bene. Ma per volerci bene dovremmo innanzitutto volerci, ovvero desiderare di continuare a stare con noi stessi, mentre alcuni non riescono a sopportarsi. Un proverbio dice che volersi bene non costa nulla. In realtà costa molta fatica. Per volersi bene bisogna accettarsi, accettare anche le parti più sgradite di sé s... Altro...A poco conta ogni "volemose bene" se noi non riusciamo innanzitutto a volerci bene. Ma per volerci bene dovremmo innanzitutto volerci, ovvero desiderare di continuare a stare con noi stessi, mentre alcuni non riescono a sopportarsi. Un proverbio dice che volersi bene non costa nulla. In realtà costa molta fatica. Per volersi bene bisogna accettarsi, accettare anche le parti più sgradite di sé stessi e per farlo bisogna instaurare una relazione profonda col proprio sé. Pascal scriveva che molti problemi del mondo nascono dal fatto che i più non riescono a stare da soli nella loro stanza. Quanti dittatori sono stati tali perché perennemente in lotta con sé stessi? Se ognuno risolvesse i propri problemi interiori l'umanità e il mondo stesso ne trarrebbero un enorme beneficio. Ma spesso molti non riescono a risolverli perché non hanno l'umiltà di riconoscerli, ovvero non sono in grado di fare il primo passo che è quello dell'ascolto e della conoscenza di sé stessi. L'amor proprio è alla base di tutto, la condizione senza la quale non può esserci alcun legame affettivo. Se non vogliamo bene a noi come possiamo voler bene agli altri, come scrisse Erasmo da Rotterdam? Il rischio sarebbe quello di trascinarli nel nostro vortice di autodistruzione. Come scriveva Rimbaud inoltre il primo altro è proprio il nostro io. Volersi bene? Facile a dirsi e difficile a farsi perché spesso siamo noi stessi i primi a punirci, a sabotarci, a infliggerci delle torture. Le giornate spesso sono complicate, ci sono ricordi che fanno male, ci sentiamo inadeguati, non sempre le cose e le persone ci fanno stare bene, non sempre possiamo sceglierci le cose e le persone che ci fanno stare bene. Talvolta ci facciamo del male e difficilmente riusciamo a porre un limite, un freno. Eppure se non ci vogliamo noi stessi un poco di bene non è assolutamente detto che gli altri ci vengano incontro: è meglio non sperare in un aiuto perché potremmo andare verso il naufragio. Stare bene con noi stessi è anche il riflesso, la diretta conseguenza di come gli altri ci trattano, delle circostanze in cui ci imbattiamo. Ma al contempo stare bene con sé stessi è il prerequisito fondamentale per stare bene con gli altri. Bisognerebbe non essere egoriferiti e però essere egosintonici, ma l'equilibrio interiore è sempre precario, il combattimento interiore dura per tutta la vita, se si ha lucidità e piena coscienza. Noi stessi talvolta siamo i primi ad avvelenare i nostri pozzi; siamo i primi nemici di noi stessi. Esiste lo stress per tutti, ma bisogna cercare di far fronte, di porre un rimedio, di reagire positivamente, ovvero quello che in psicologia si chiama coping. È difficile trovare una vita talmente lineare senza dolore, anche se c'è chi è più fortunato e chi meno. È vero che ci sono esistenze in cui tutto sembra filare liscio come l'olio, delle vite totalmente facili da vivere, ma guardiamo l'altra faccia della medaglia: sono persone che non hanno mai avuto modo di riflettere seriamente su sé stessi. Non sapremo mai veramente chi sono i prescelti da Dio, se sono coloro che non hanno mai avuto difficoltà o viceversa (ammesso e non concesso che esistano degli eletti). Un dubbio incessante sorge in noi a riguardo: perché Dio da alcuni pretende di più e da altri meno? Ma siamo dei piccoli esseri e non possiamo ambire a capire il volere divino. Le crisi e le sofferenze sono prove di Dio per chi è cristiano e più laicamente sono un'occasione per evolverci e per crescere interiormente, anche se tutto ciò è molto arduo da accettare. Non sapremo mai in questa vita se è Dio o la vita stessa a chiamarci a una prova. Ma come cantava Angelo Branduardi in un brano dedicato al poeta Franco Fortini, di cui era stato allievo: "Non è da tutti catturare la vita. Non disprezzate chi non ce la fa". Talvolta alcuni scogli sono insormontabili, alcuni problemi sono insolubili, alcuni drammi sono insuperabili per noi e ci travalicano. Ci sono problemi della vita talvolta più grandi di noi. È molto difficile essere in pace con sé stessi e col mondo: riesce solo di primo acchito alle persone molto giovani e molto superficiali oppure dopo un lungo travaglio a chi ha fatto un grande lavoro su sé stesso, ma già gli antichi greci ritenevano che la consapevolezza aumenta il dolore. Stare bene con sé stessi significa trattarsi bene, a volte senza pensare troppo. È questo l'unico modo per tirare avanti, per evitare guai, anche se i guai e i drammi sono sempre dietro l'angolo. Mai dire con aria di sufficienza che una persona ha dei problemi, che un tale è un individuo problematico: tutti noi, prima o poi, nel corso della vita abbiamo dei problemi e chi pensa di essere senza problemi è solo momentaneamente fortunato o è totalmente inconsapevole di sé stesso e della sua vita.
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in Saggistica
Due parole sulla Pnl…
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