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    La fine di tutto – Daniele Bomboi

    Fabrizio è un giovane che pensa di svoltare la sua triste vita, accettando di partecipare ad una rapina, scoprendo di possederne il sangue freddo necessario. Ma le cose non vanno sempre come previsto ed un effetto domino di eventi inaspettati, rovinano i suoi piani. Il fallimento che aggiunge disperazione alla sua già precaria esistenza, lo spinge ad abbandonare tutto e scappare lontanissimo, di... Altro...

    Fabrizio è un giovane che pensa di svoltare la sua triste vita, accettando di partecipare ad una rapina, scoprendo di possederne il sangue freddo necessario. Ma le cose non vanno sempre come previsto ed un effetto domino di eventi inaspettati, rovinano i suoi piani. Il fallimento che aggiunge disperazione alla sua già precaria esistenza, lo spinge ad abbandonare tutto e scappare lontanissimo, diventando solamente un vago ricordo. L'ossessione del raggiungimento della felicità, confusa troppo spesso con la futilità del possesso, sembra rappresentare un labirinto scuro ed infinito. Un'illusione che non lascia scampo. Un'iperbole irraggiungibile.

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    Dubbio

    Mi trovo qui… In questo incrocio maledetto identico a quelli precedenti e, suppongo, a quelli futuri… Assalito da un dubbio che, immagino, sia innato almeno alla mia persona… Nell’indecisione mi abbandono alle rimembranze risalenti a prima della mia partenza…Mi trovavo nella nostra sicura base, poco fuori questa maledetta città, insieme ai miei commilitoni ed attendevamo che arrivasse i... Altro...

    Mi trovo qui… In questo incrocio maledetto identico a quelli precedenti e, suppongo, a quelli futuri… Assalito da un dubbio che, immagino, sia innato almeno alla mia persona… Nell’indecisione mi abbandono alle rimembranze risalenti a prima della mia partenza…

    Mi trovavo nella nostra sicura base, poco fuori questa maledetta città, insieme ai miei commilitoni ed attendevamo che arrivasse il giornaliero ordine, tipicamente ricevuto all’alba, informandoci dell’identità del prossimo ricognitore. Durante gli infiniti attimi di attesa, iniziammo a parlare degli ultimi rapporti ricevuti dall’esploratore del giorno prima. Essi corrispondevano a tutti i 6744 fascicoli precedenti…

    Dire che eravamo in preda alla disperazione non sarebbe un’esagerazione…

    Di fronte all’immane colosso che era la città-labirinto Zycie, noi eravamo impotenti pedine prive di altra scelta oltre a quella di seguire le tracce del nostro predecessore fino al punto del suo patibolo e continuare l’eterna marcia verso un tesoro che ci era ignoto.

    In quei funesti momenti, discutemmo, fra noi 23255, del significato di questo luogo, della nostra missione e dell’obiettivo finale, del quale conoscevamo solo il nome… Sreca…

    Non so, neanche ora, dire con certezza quale sia il significato della nostra missione o, perlomeno, il nostro comandante, ma so, come tutti, che si tratta di una missione suicida dalla quale nessuno si può tirare indietro. Perso in questi vicoli in un labirinto di nebbia, mi chiedo quale maligno fato mi abbia posto in tale posizione e quali orribili gesta io abbia compiuto per meritarlo. Continuo a camminare ed a scegliere, quasi per sbaglio, il vicolo da percorrere. Ogni angolo, indistinguibile dagli altri, mi fa sperare di aver trovato il nostro obiettivo e, prontamente, ne rimango deluso quando vedo un ennesimo incrocio. Lascio sui miei passi una striscia di polvere di zolfo che rappresenterà la guida del mio successore e, pian piano, mi abbandono alla disperazione…

    Il calore sulla mia pelle sta scemando… Comprendo che l’ora del crepuscolo si avvicina… E, con essa, sta per giungere la fine della mia missione sicché nessuno di noi sopravvive alla notte di questo labirintico inferno… Esploratore 6746… Passo e chiudo.

    COMMUNICATION ENDED…

    RESOURCE ‘56-69-74-61/6746’: SIGNAL LOST…

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    Il vecchio che guardava il fiume

    Il cielo era carico di un azzurro così intenso da far male agli occhi. Non una nuvola nel cielo era rimasta dopo il forte temporale e il sole faceva capolino ad est dietro le vette appenniniche che incornavano la vallata verde oro, tempestata di alberi di giuda e rocce sedimentarie. Dabbasso, il fiume scorreva gonfio, biondo, pieno della pioggia caduta nei giorn... Altro...
    Il cielo era carico di un azzurro così intenso da far male agli occhi. Non una nuvola nel cielo era rimasta dopo il forte temporale e il sole faceva capolino ad est dietro le vette appenniniche che incornavano la vallata verde oro, tempestata di alberi di giuda e rocce sedimentarie. Dabbasso, il fiume scorreva gonfio, biondo, pieno della pioggia caduta nei giorni addietro. Le effimere, con le loro ali trasparenti e i corpi cangianti, saltellavano insistentemente sul pelo dell’acqua. Erano migliaia e stavano deponendo le uova; fragili e ignare, esse erano fonte di nutrimento delle trote e, ogni tanto, il balzo di una grossa iridea apriva uno squarcio nella superficie del fiume e, afferrata la preda, ricadeva in acqua tra schizzi e scialacqui.  Sulla sponda ovest del fiume, si alternavano vecchie canapine riconvertite in orti a campi in disuso pieni di sterpaglie e boschi di rovi di more. In uno di quegli orti, sostava un vecchio uomo perso nei suoi pensieri a guardare lo scorrere del fiume. L’uomo aveva trascorso almeno ottanta delle sue primavere, la pelle era color della sabbia e i segni sul volto e sulle mani erano profondi solchi similialla terra arata che tanto aveva battuto sotto i suoi piedi. Aveva corti capelli bianco candido in un taglio militare che denotava la cura per l’ordine ma la pocaimportanza alle apparenze. Gli occhi erano di un profondo verde del tutto identico ai numerosi lecci intorno a lui. Il corpo era ancora forte e nerboruto, ritorto dall’artrite come un bastone d’olivo ma possente come il tronco di una quercia. Indossava una camicia a scacchi dai colori stinti e un paio di pantaloni che in un epoca lontana dovevano esser stati color cachi. Viveva da solo ormai da più di trent’anni. Sua moglie, stanca della vita umile di vallata, lontana dalle grandi città, aveva deciso di andarsene a cercar fortuna chissà dove, o almeno così lui giustificava l’assenza, ma la realtà spesso è dura da accettare e la mente trova soluzioni più accomodanti. Non avevano figlioli e persero subito i contatti; fu l’uomo a non cercarla mai, non presentandosi neanche alle udienze. Non cercò mai neanche una nuova compagna; la solitudine che tanto poteva far paura ad altri, con il tempo, per lui divenne una taciturna amante. Il vecchio sedeva su di una sedia in legno, poco meno che sua coetanea, con la seduta impagliata ormai piena di trecce sciolte che pendevano a destra e a manca; avrebbe dovuto cambiarla già da un po’ ma trovava sempre una scusa per lasciarla lì dov’era: la nostalgia oscura i buoni propositi. Quella mattina si era svegliato più presto del solito, quando la notte non aveva ancora lasciato spazio al giorno. Ricordava solo vagamente gli agitati sogni che lo avevano svegliato e ora, quel piacevole frusciare delle acque del fiume e il suono melodico e ripetitivo del codirosso spazzacamino appollaiato su qualche ramo non lontano, lo cullavano con una ninna nanna antica.  «Vedere l’acqua che scorre inesorabilmente nella stessa direzione nel letto del fiume, mi dà la misura dello scorrere del tempo» Il vecchio, preso di soprassalto da quella voce, barcollò sulla sedia malconcia e riuscì a mantenere l’equilibrio correggendo il peso su di essa. Doveva essersi addormentato, ma chi mai era quella ragazza seduta a terra a fianco a lui? Si stropicciò gli occhi e schiarì la voce con un suono cavernoso «Devo essermi addormentato, tu chi sei? Che ci fai nel mio orto?»  La ragazza continuava a guardare fisso il correre del fiume «Chi sono io non ha importanza. Piuttosto direi, chi sei tu? Te lo sei mai chiesto?» Il vecchio rimase interdetto. Doveva essere una ragazzina di quelle dei paesi limitrofi che per evadere un po’ dalla routine della vallata si faceva di qualche droga. Aveva lunghi capelli biondi sciolti e lisci come seta filata, incarnato era molto chiaro, gli occhi brillavano di luce intensa e intelligenza, non certo uno sguardo imbambolato reso passivo dagli allucinogeni. Indossava una maglia bianca decisamente più grande della sua taglia che gli faceva da tonaca e a occhio e croce dimostrava tra i quattordici e i sedici anni. A dirla tutta il vecchio non era neanche sicuro fosse una femmina. I capelli lunghi e la voce squillante avevano fatto si che fosse catalogata nell’universo femminile ma uno sguardo più attento al volto duro, con zigomi alti e pronunciati e labbra dure e sottili, fecero sorgere dei dubbi all’uomo che pensava che i giovani di oggi non avessero più la cura di indossare abiti che, come una volta, non lasciassero dubbi sull’entità di genere. «Perché dovrei mai chiedermi chi sono io. Io so perfettamente chi sono e ora lasciami in pace ho da lavorare al mio orto. Ho già perso troppo tempo.» «E dove avresti perso il tuo tempo?» domandò la ragazzina «ricordi dove? Perché io potrei aiutarti a ritrovarlo. Io non perdo mai nulla. In realtà ho perso qualcosa solo una volta, e l’ho pagata cara, ma vedo tanti come te che perdono di continuo qualcosa: il tempo, l’amore, le persone, la pazienza e spesso, più di tutto, la speranza. Sono quelli che mi fanno più tenerezza e che decido quindi di aiutare: quindi vuoi che ti aiuti a ritrovare il tuo tempo? Ma poi sei sicuro di averlo perso? O hai perso qualcos’altro?» «A breve avrò perso la pazienza!» tuonò il vecchio «e la ritroverò solo quando te ne andrai, quindi smamma! Vattene e non prenderti gioco di un vecchio come me.» «Quindi vuoi veramente che io me ne vada? Sei sicuro sicuro? Quello che ti sto chiedendo è: che cosa vuoi veramente?» e la ragazza questa volta si girò a guardarlo e lui ne rimase come folgorato.  I suoi occhi brillavano come gelide stelle incandescenti e il vecchio rimase a fissarli come ipnotizzato. Rivide in quelle luci tutta la storia della sua vita che girava come la pellicola di un vecchio film. Si rivide in fasce coccolato da sua madre, rivide se stesso correre con la cartella verso la scuola, vide il ragazzo che era mentre lavorava la terra, rivide sua moglie il giorno del matrimonio e infine vide un uomo che invecchiava solo e amareggiato.  Il film della sua vita si interruppe e gli occhi della ragazza tornarono normali occhi  ma di un azzurro ineguagliabile. «Te lo ripeto. Cosa vuoi veramente?» «Vorrei tornare indietro nel tempo» disse il vecchio, appoggiando i gomiti sulle coscie, mettendo la testa tra le mani e coprendosi il viso «vorrei non essere stato un egoista per tutta la mia vita. Ho pensato sempre e solo a me stesso. Ho pensato che il lavoro venisse prima di tutto. Ho creduto che, guadagnando abbastanza soldi per una esistenza rispettabile mia moglie non avesse bisogno di altro. Non ho capito nulla e non mi sono mai preoccupato di capire chi mi circondava. E adesso, vecchio come sono ho perso la speranza. Ormai per me non c’è più nulla da fare. Morirò solo, perché è questo che mi merito.» «Bene» disse la ragazzina «finalmente parli con il cuore e non con la testa. Non è mai tardi per la speranza e io posso aiutarti a trovarla come ti avevo detto. Ricorda però di non perderla di nuovo, siamo d'accordo?» Quando il vecchio smise di piangere e tolse le mani dal volto per prendere un fazzoletto ed asciugare le lacrime, vide che la ragazzina era scomparsa. Un attimo prima era lì con lui e un attimo dopo non c’era più. «Ehi, vecchio ubriacone! Sta mattina batti la fiacca o sbaglio?» disse un signore anziano che passava sulla vecchia strada ferroviaria che divideva gli orti dalla costa rocciosa. «Mai quanto te!» disse il vecchio, vagamente sorpreso, rbrigandosi a nascondere fazzoletto e lacrime «Ma dico, hai visto per caso passare una ragazzina dai lunghi capelli biondi, occhi azzurri,  vestita di bianco?» «Ma no» rispose il passante «vengo dal ponte e nessuno è passato. Dico, non sarà mica che hai bevuto davvero e hai sognato Nera?»  «Chi è Nera?» domandò il vecchio, incuriosito. «Ooo, questa è bella! Sei qui da quasi un secolo e non conosci la leggenda della Ninfa Nera?» rispose il passante che si accinse a scendere gli scalini di terra e sassi per raggiungere il vecchio, e continuò a raccontare «Si narra che la Ninfa Nera venne trasformata nel fiume che vediamo per un amore proibito con un umano. Da quella volta, solo quando vede un umano triste per amore che guarda il fiume, ella possa tornare in forma umana per aiutarlo. Dalla tua descrizione sembra proprio lei! Bionda come il fiume in piena, occhi azzurri come il fiume calmo, veste bianca come gli spruzzi e la schiuma quando si infrange sulle rocce!» «Cosa ti fa pensare che io sia triste per amore, impiccione?» rispose il vecchio. «Ah, io non so se sei triste per amore ma triste lo sei di sicuro da quando ti conosco e la Ninfa mi è venuta in mente perché c’è la tua ex moglie che ti sta aspettando di fronte casa da un po’. Ero appunto venuto ad avvertirti.» Il vecchio spalancò la bocca come se la mandibola fosse caduta dai suoi perni. Si alzò in piedi e disse «Cosa aspettavi a dirmelo, sciocco che non sei altro a parlar di ninfe e leggende!» «Che cosa le dirai dopo tutti questi anni, vecchio ubriacone?» Disse il passante. «Le dirò che ho ritrovato la speranza!» e si incamminò con passo sicuro.     8

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    Biblioteca

    Una piccola biblioteca in un piccolo villaggio fra i monti…Era il mio luogo di lavoro fin dalla gioventù, essendo io uno dei pochi abitanti che aveva imparato a leggere. Si trattava di un lavoro facile, quasi noioso, sicché nessuno si interessava più a quei antiquati tomi fin dai giorni in cui gli amanuensi li avevano redatti.Le mie giornate di pace, però, finirono quando, in una giornata di... Altro...

    Una piccola biblioteca in un piccolo villaggio fra i monti…

    Era il mio luogo di lavoro fin dalla gioventù, essendo io uno dei pochi abitanti che aveva imparato a leggere. Si trattava di un lavoro facile, quasi noioso, sicché nessuno si interessava più a quei antiquati tomi fin dai giorni in cui gli amanuensi li avevano redatti.

    Le mie giornate di pace, però, finirono quando, in una giornata di primavera, un dedito studioso si trasferì nel vecchio monastero adiacente alla mia biblioteca. Fui tormentato dalle continue ricerche dell’erudito, le cui giornate si consumavano tra i polverosi manoscritti.

    Le sue ricerche rivelavano uno strano interesse per il paranormale. Tanto che, dopo una serie di nottate di continuo operato, mi consegnò, persino, una versione tradotta del famigerato Necronomicon. Affermando che quella in dotazione della biblioteca era datata e colma di errori.

    La famelica, e visibilmente disperata, ricerca, di quello che, ormai, era diventato il mio quotidiano compagno di studio, stimolò la mia curiosità fino al punto in cui, perso ogni freno, gli chiesi, con impropera sfacciataggine, la ragione di essa. Quel pomeriggio scoprì di sua figlia, Maria. Essa era gravemente malata e, tradita dalla scienza e medicina moderne, la sua condizione si era aggravata a tal punto che il padre scelse di affidarsi all’occulto, nella speranza di trovare, fra le ammuffite pagine, un segreto che restituisse la salute alla sua innocente progenie.

    Successivamente, grazie anche al mio aiuto, il disperato genitore analizzò i tomi di demonologia. L’ultima volta che lo vidi era un caldo pomeriggio di Luglio, stava controllando la descrizione di un particolare demone legato al fuoco e alla resurrezione.

    Quella notte vi fu un grave incendio…

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    Leggetelo se volete sapere di che cosa si tratta. Gli spoiler delle sinossi non mi sono mai piaciuti. 

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