LEONARDO: DIARIO DI VOLO
Mentre passeggiavo lungo il fiume Arno mi fermai sulla riva, incantato. Non riuscivo più a battere ciglio, come attratto da un magnete invisibile; ero lì, soggiogato dai cerchi disegnati nel cielo di primo mattino. Gli uccelli, coi loro movimenti, con quella maniera primordiale e leggiadra di roteare piume, corpo, ossa e pensieri, mi entravano nell’anima. Non riuscivo a guardare altrove, e se pur avessi voluto distogliere la mia attenzione non ci sarei riuscito, e non per mancanza di volontà ma per quel desiderio che mi teneva li, completamente avvinto… Quel desiderio che mi bruciava dentro e che mi muoveva verso il fascino dei cieli, dei limiti, dei non limiti, degli orizzonti sconfinati e pieni. Tutto ciò che è fissato da una legge, da un punto, una barriera, per me non ha senso. Tutto ciò che esiste non ha confini, e, qualora ce ne fossero, bisognerebbe osservarli, comprenderli ed abbatterli, per continuare a guardare “oltre il muro” della realtà apparente. Dovevo perciò studiare, indagare, carpire i segreti della natura, penetrarvi il mistero, per giungere a definire quella suggestione, quella tecnica che permetteva di librarsi in volo. A volte, da bambino, avevo desiderato essere un uccello, volteggiare accarezzato solo dalle correnti direzionali, governando le onde invisibili dell’aria, nuotando nel mare sconfinato chiamato spazio. Quanto avrei voluto! Che sensazione straordinaria sarebbe stata muovermi e spostarmi per aria a mio piacimento! Doveva esserci qualcosa di meccanico in quel meraviglioso marchingegno chiamato ali, ed io dovevo scoprirlo! Ogni giorno portavo con me una serie di carte e penna, per poter imprimere sulla carta e nella mente la più piccola tensione muscolare del corpo degli uccelli, il più sottile gioco delle piume, la minima pulsione delle vene, il minimo scarto tra angoli acuti ed angoli retti. Passavo ore a disegnare l’apertura e l’anatomia delle ali, sin nei più piccoli dettagli. Ero certo che soltanto mettendo insieme ogni infinitesimale caratteristica fisica e meccanica, ogni singola abitudine di vita, ogni anomalia di volo, persino ogni vibrazione del corpo, avrei un giorno compreso il segreto della tecnica del volo ed il modo più appropriato per adoperarla sull’uomo.
Spesso mi chiedevo perché il Creatore non ci avesse fornito d’un bel paio d’ali, da utilizzare per viaggiare, conoscere ed osservare il mondo da più prospettive. Riflettendo sulla faccenda, mi parve di avvertire nel cuore una sorta di illuminazione, la risposta più opportuna. Il Buon Dio non crea mai cose che non siano perfette, e se possediamo due braccia anziché ali esisterà di sicuro un buon motivo.
Quella considerazione infervorò ancor di più il mio spirito indagatore : “ Forse Dio desiderava che qualcuno ci pensasse, e quel qualcuno sono io.” Ciò che dapprima mi appariva visionario iniziava a farsi strada dentro di me fino a divenire caparbia convinzione. Intraprendere questo percorso non era stato facile, così denso di dubbi e, dapprima, privo d’ogni fondamento, malgrado lo sentissi pulsare ed attraversarmi le vene, come vera passione a cui non è possibile sottrarsi. In fondo era il mio regalo per l’umanità, il dono più ambito dall’uomo di tutti i tempi: poter volare.
Prospettive, mi direte… Intendevo forse offrire all’uomo nuovi punti di vista, nuovi orizzonti da valicare, nuovi spazi da esplorare, un nuovo modo di guardare alla vita, di pensare al futuro, di formulare tesi ed ipotesi, oltre le nuvole, oltre lo spazio, fino a toccare le stelle, comete e pianeti. Oppure tutto questo stavo per offrirlo semplicemente a me stesso, preso com’ero dalla mia voglia di sentirmi parte del mondo. Non credo d’esser mai stato soltanto un uomo d’arte e di scienze , ma uomo di coscienza fervente e luminosa, e doveri, missioni, vocazioni ed ispirazioni, non so se a torto o a ragione, facevano parte di me, sempre fedele a me stesso. Ci sono stati giorni in cui avrei voluto interrompere i miei studi, ma un particolare evento fu la chiave di volta del mio annoso, quanto desiderato “ brevetto di volo”.
Su commissione del Ducato di Milano, lavoravo ai Navigli per realizzare una serie di condotti, capaci di far confluire le acque in ordine, senza straripamenti. Stavo mettendo a punto uno stratagemma per collegare viuzze e strade e, allo stesso tempo, permettere la circolazione di grandi imbarcazioni. Avevo creato “i ponti mobili”, una coppia di portelli atti a chiuderne e schiuderne la struttura portante, agevolando il libero passaggio di velieri e bastimenti. Mentre osservavo il movimento dei portelli, un grosso falco, col suo battito d’ali, oltrepassò le nuvole, e, volteggiando su di me, si posò per qualche istante sulla mie spalle. D’improvviso mi apparve tutto chiaro. Nel suo fulmineo movimento intravidi una curvatura delle ali che in principio non avevo notato. Repentino, afferrai carta e matita e disegnai quella “curvatura”. Si trattava forse di quella piccola differenza che concedeva la giusta posizione di volo. Così, per gioco, disegnai un oggetto curvo, una palla a metà, simile a quella con cui giocavo da fanciullo. La immaginai non più pesante ma leggera, rigonfia d’aria che vi passava attraverso, dopodiché vi aggiunsi alcuni fili a cui aggrappai il mio pensiero. Avrei realizzato quell’affare, e lo avrei sperimentato su di me, tenendomi sospeso a quelle corde; dovevo provare l’ebbrezza del volo a tutti i costi, magari prendendo una vigorosa rincorsa giù dal Monte del Resegone! Volevo sentirmi uguale ad un falco, per forma, spirito e vocazione. Il movimento dei portelli cui stavo lavorando mi fece venire in mente che movimenti alari non più confusi e ripetuti a caso ma cadenzati da partitura fissa, metodica, precisa, consentivano alle ali di gonfiare le piume prima di spiccare il volo. Intuizioni che mi ripetevo in mente, per riunire tutti i concetti fino ad allora espressi, in un’ unica idea, un mosaico divino che prendeva sempre più forma. Desideravo ancor più affinare il mio prospetto, prima di costruire ali di pipistrello, magari realizzate con ferro, legno e cartongesso compresso, ali bellissime, tenute a mezz’aria da corde e carrucole, a più manovelle. Nei giorni seguenti, spinto dalla febbrile e costante ricerca di dare corpo alle mie intenzioni, mi procurai tutto il materiale necessario per dare vita ai miei “prototipi” volanti… Stavo probabilmente rischiando il tutto per tutto ma non m’importava nulla, amavo le sfide e soprattutto amavo sfidare me stesso.
Feci calcoli, ragionamenti sulle correnti, sui venti e le loro direzioni, studiai a fondo l’anatomia e la meccanica del corpo di questi misteriosi animali, febbrilmente, instancabilmente. Tuttavia compresi che per poter volare, dovevo vivere come un uccello, pensare come uno di loro, persino sognare allo stesso modo.
La mia passione per la falconeria giovò non poco ad appagare la mia curiosità e, nei giorni a venire, seguitai a studiare comportamenti ed abitudini osservando i due begli esemplari di falchi che avevo acquistato, a cui permettevo di volare liberamente nella mia bottega. Rimanevo altrettanto incantato rimirando la piccionaia di fronte alla finestra di casa, un vero spettacolo della natura! Volatili in grado di creare legami durevoli ed appassionati, che comunicavano gioia, protezione ed amore. Ma ciò che maggiormente mi colpiva era il forte senso della famiglia: nidificavano, mangiavano, si moltiplicavano, tubavano ed avevano nel corpo e nell’anima quella grazia e quel portamento che soltanto il Buon Dio poteva donare. Un giorno, dal davanzale, alle prime luci dell’alba, un usignolo mi entrò in casa, ne vedevo uno per la prima volta e rimasi estasiato ed intenerito nell’ascoltarne il meraviglioso canto. E fu per questo che volli dipingere due ali d’uccello sulla schiena dell’angelo che mi apprestavo a definire, per omaggiare la Vergine Maria, convinto che soltanto chi possieda ali racchiuda in sé tutta la poesia custodita nel Creato, ed ho ben compreso perché il Buon Dio m’ ha fatto uomo e non uccello: sono capace di dipingere ciò che sento e vedo, costruire ciò che spero e sogno, realizzare anche l’impossibile perché Lui mi ha creato donando abilità alle mie mani e finezza al mio intelletto, talenti con cui posso realizzare tutto ciò che io disegno.
Rosita Matera, 2019