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La decisione difficile

A volte, ci capita di dire agli altri che nella vita sia normale che possano capitare delle decisioni difficili da prendere.

Ma quando quelle decisioni capitano a noi stessi, capiamo veramente quanto siano difficili da affrontare e non è sufficiente appoggiarsi ad una banale frase fatta per aiutarti ad affrontarla.

Questa decisione difficile, quella che dovrei prendere per poter placare il mio animo, mi sta passando per la testa da giorni, anzi da settimane.

La notte non riesco più a dormire.

Quando provo ad addormentarmi, mi viene in mente quella decisione che dovrei prendere, allora mi giro e mi rigiro tra le lenzuola perdendo completamente il sonno.

Inizio a sudare, mi innervosisco.

Così, mi alzo dal letto prestando attenzione a non svegliare mia moglie e mi metto a camminare per la casa, innervosito e intimorito da quella decisione.

Dico a me stesso che non dovrei pensarci.

Mi ripeto che non è così importante e che potrei pensarci con tutta la calma del mondo, nonostante so bene che prima o poi dovrei affrontarla.

Dico a me stesso di rimanere calmo, di abbandonare quei pensieri, ma quella decisione torna puntualmente a torturarmi l’anima.

Ormai con mia moglie non parlo più da giorni.

La vedo ormai come un’estranea che gira per la mia casa ignorandomi a sua volta, senza neanche tentare di chiedermi cosa mi passi per la testa.

Quella donna non ha nemmeno il coraggio di chiedermi cosa ci sia che impegna i miei pensieri, che mi tormenta la notte.

Niente, mi evita.

Forse lo fa perché mi conosce, oppure perché a lei non interessa sapere cosa mi stia succedendo.

Vorrei spiegarle cosa mi sta capitando, cosa assilla i miei pensieri.

Ma so già che lei non capirebbe.

Neanche lo farebbe, neanche ci proverebbe.

Quella donna, dai capelli rossastri e gli occhiali intonati, pensa solo alle bollette da pagare e alla sua fottuta parrucchiera.

Che ne sa lei della vita?

Cosa ne sa di quante decisioni dobbiamo prendere noi uomini?

E poi ci sono i nostri figli.

A volte penso che loro potrebbero aiutarmi.

Ma come posso fidarmi di quei bambini?

Sono così piccoli, così innocenti e puri.

Inoltre, non hanno quell’esperienza di vita che ti permette di comprendere chi hai davanti.

Non hanno la capacità di aiutare il prossimo. Non ancora.

Preso da quella decisione, li vedo ormai come minuscoli sconosciuti che vagano per la casa portando con sé troppo rumore.

Quel rumore che non fa altro che confondere e disturbare la mia mente.

Al lavoro non combino più niente di buono.

Ricevo solo lamentele dai miei superiori e dai colleghi.

Facile per loro!

Mica hanno una decisione così importante come la mia da prendere!

Perché è davvero importante!

Quella decisione potrebbe cambiare interamente la mia vita, in meglio se prendo la giusta via, o in peggio se prendo quella sbagliata.

Cosa ne sanno loro?

Presi dal loro lavoro, senza distrazioni, senza decisioni da prendere.

Non capiscono ciò che sto vivendo!

Per questo si sfogano su di me quando commetto degli errori che non sono nemmeno così gravi. Non da farne una tragedia come fanno loro, almeno.

Non gliene faccio una colpa!

Non sanno cosa sto vivendo!

Quando esco dal lavoro mi ritrovo a vagare per le strade, incontrando altra gente, tra i suoni e i rumori della città, senza alcuna voglia di tornarmene a casa.

Perfetti sconosciuti ai quali potrei proporre la mia questione.

Ma cosa gliene importerebbe, mi dico.

Siamo dei perfetti sconosciuti.

Perché dovrebbero aiutarmi?

Li osservo mentre passano intorno a me.

Li osservo mentre cercano di evitarmi per non infastidirmi.

Sembrano che sappiano cosa stia vivendo.

Oppure, si comportano in quel modo perché per loro non esisto.

In effetti non esisto più.

Non sono più vivo.

Ora, esiste solo quella decisione.

Non riesco a rimanere in quella strada e l’abbandono per dirigermi verso la stazione ferroviaria, come facevo quando ero un ragazzo.

Ho sempre adorato quel posto.

Non so il motivo, ma mi distende e mi aiuta a pensare liberamente.

Appena arrivo intravedo una panchina libera, proprio di fronte al binario tre.

Vado a sedermi ed osservo quella via di ferro che si estende davanti ai miei occhi.

Una via senza fine su entrambi i lati che conduce verso altre città, verso nuove storie di vita.

Abbasso lo sguardo verso la pavimentazione di quella stazione e ritorno a riflettere sulla mia decisione.

Dio quanto è difficile!

Ma perché doveva capitare proprio a me?

Perché?

E perché in quel periodo della mia vita, dove tutto andava per il verso giusto?

La vita è ingiusta e devo trovare una soluzione al più presto, non posso continuare a vivere così.

Mi rendo conto che non sto più vivendo e la causa è quella dannata decisione.

I miei pensieri vengono distolti dall’arrivo di un gruppo di persone.

Mi volto verso di loro, le osservo.

Sono tutti sorridenti, felici con le loro valigie in mano, pronte ad affrontare il viaggio che li aspetta.

Così, mi armo di coraggio.

Mi alzo da quella panchina e mi volto verso di loro.

Allargo le braccia a mezz’aria e urlo più forte che posso per farmi sentire da tutti quanti.

 «Aiutatemi, ve ne prego!» urlo per attirare la loro attenzione «Dovrei prendere un telefono Android o Apple?»

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