Il cenone
Era da solo in casa. Tutta la sua famiglia , parenti vicini e lontani , si erano presi il covid. Ed erano in isolamento. Si accingeva a passare l’ultimo dell’anno da solo . Si sedette in poltrona e accese la radiolina. Era una piccola radio non digitale, tradizionale, con antennina. Fece scorrere il cursore e si fermo’ su alcune stazioni radio. Musica, notizie, deejay che commentavano-erano i nuovi opinionisti-e telefonate dei radioascoltatori. Questi ultimi ci tenevano a far sapere che avrebbero passato l’ultimo dell’anno in compagnia. Avrebbero brindato. Poi i botti. E i cani e i gatti, poveretti? Sei il solito animalista ed ecologista sognatore in un mondo che ha macellato migliaia di agnelli per il cenone, penso’. Dobbiamo uccidere l’anno che e’passato. Lasciateci festeggiare, dicevano i radioascoltatori. Lasciatelo lavorare, dicevano di Berlusconi. Quando non vedi le facce te le immagini. La radio e’ uno strumento per ciechi che stimola l’immaginazione. Le trasmissioni radio sono diari orali. Puoi ancora farti il tuo film. Dette una scorsa ai social, sul telefonino. La sua finestra sul mondo dove si affacciava per vedere le migliori versioni che gli altri volevano dare di se’. Figuriamoci le peggiori, penso’. La solita collezione di foto di piatti succulenti per il cenone. Gli auguri di rito. Cuoricini e vogliamoci bene. A volte pero’ i rapporti virtuali possono essere piu’sinceri di quelli reali, penso’. Durante il cenone sei impegnato a elogiare i cuochi e a spazzolare i piatti come un reduce del Biafra collezionando colesterolo invece che denutrizione. Il cenone e’ dispersivo. La comunicazione e’disturbata dal cibo consumato per gola. Come fosse droga. Poi prese il telecomando e fece zapping. Vide dieci minuti de Il barbiere di Rio, con Abbatantuono improbabilissimo barbiere romano che va ad innamorarsi in un Brasile altretranto improbabile. Poi le notizie. 127 mila contagi e quasi 200 morti, per covid. Inseguiamo l’immunizzazione con i vaccini ormai da tre anni. La gente quasi ha voglia di arrendersi. Curioso, penso’. La gente con maggior voglia di socializzare era quella meno comunicativa. Gia’. In che cosa si concretizzava questa voglia di socializzare. Questa voglia di liberta’? Perche’ soffrivano? Perche’ non potevano andare al ristorante? Il problema era il ristorante…non che ci fossero persone che non potevano mangiare. Ma che andava a pensare? Le crisi mondiali si erano risolte davanti ad una bella fiorentina. La fissione atomica l’avevano decisa davanti a dei cannelloni ripieni. Giusto? Avrebbero detto che era il solito snob, se avessero letto i suoi pensieri. Il solito radicalchic. Il solito asociale odiatore di bagni di folla. Invece sarebbe stato bello che fosse tutto aperto. Nuovi Freud avrebbero parlato del cunnilingus mentre mangiavano ricci di mare. Spense tutto e apri’ un libro che aveva a tiro. Era l’autobiografia di Che Guevara di Kalfon. Quasi mille pagine. Apri’ la pagina dov’era arrivato. Poi penso’ a quello che aveva letto sino a quel momento . Che Guevara per tutta la vita , riguardo al mangiare, era stato un fachiro. Aveva mangiato quanto poteva quando poteva. Per resistere meglio quando non avrebbe potuto mangiare. Aveva viaggiato in tutto il mondo e conosciuto migliaia di persone, in quel modo, molte delle quali gente comune. Ma alla fine era un uomo solo. Solo con la sua asma. Solo con le due idee. Solo con con i suoi affetti. Eppure cosi amato, a distanza. Si. Si poteva anche non consumare nessun cenone, quell’ultimo dell’anno, perso’ di se’. Si sarebbe nutrito degli affetti a distanza. Quegli affetti che costituiscono il vero nutrimento della vita e che un maledetto virus li separava da lui, con il corpo. Rendendoglieli pero’ piu’vividi in spirito.