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L'aziendalese

 Negli ultimi, circa, 20 o 30 anni, nel nostro paese, colonia economica e politica americana, anche nel linguaggio, siamo stati pervasi da un uso dell’inglese massiccio e diffuso. A tutti i livelli, nel giornalismo, ma soprattutto nelle aziende, mano mano che le innovazioni informatiche dei processi lavorativi, avanzavano, si è venuta a creare e ad entrare nell’uso comune, una lingua che, come detto, pesca molto dall’inglese , ma si è andata via via arricchendo ( il termine è improprio, credo) di termini informatici e italiano filtrato dai gerghi periferici. Il ritorno di Babele, penserete. Magari! La diversità di linguaggio e di lingue, persino attraverso l’uso dei dialetti, che in Italia assumevano la valenza di vere proprie lingue, con tutto il meraviglioso corredo di onomatopee e metafore ( basti pensare ai sonetti del Belli), sta per essere definitivamente seppellita da questo nuovo linguaggio che non è più italiano, non è neanche inglese, mai stato dialetto…ma bensì un’accozzaglia di termini che meno mano le generazioni succedutesi hanno cominciato ad usare per caratterizzarsi e differenziarsi da quelle che le hanno precedute. Almeno così credono. Il concetto di colonialismo aziendalese, non gli è ancora chiaro: in un’epoca in cui si sono abbandonati ai libri di storia contemporanea, gli afflati rivoluzionari che avevano contrassegnato epoche precedenti e che, lasciatevelo dire, sbagliati per quanto fossero, hanno comunque creato nuove direzioni nella storia. Oggigiorno le nuove generazioni sguazzano nel linguaggio unico del pensiero unico ( il capitalismo dei social che danno l’illusione di contare grazie alla bolla dei tuoi amici o contatti), tranne rare eccezioni, per cui si è autorizzati a dire che i giovani o sono troppo impegnati, troppi pochi, tanto da sembrare marziani, oppure nuotano nel conformismo più becero, i più, inseguendo chimere carrieristiche, per le quali, in attesa, si accontentano di aneliti corrieristici ( quelli degli autobus che li accompagnano ogni giorno a compiere lavoretti insulsi e sottopagati). Carriere corrieristiche che per i più si trasformano nel lavoro di una vita, che, se una volta, per noi, aveva qualche garanzia, oggi ha come unica certezza, la polverizzazione di contratti di lavoro a termine che finisce per creare intorno a questi poverini, una fitta nebbia di incertezza. E cosa si fa in attesa di diventare qualcuno che non si diventerà mai ( perchè quel qualcuno lo sono già, come individui e personalità, solo che non lo sanno)? Ci si adegua. Si naviga a vista e soprattutto, si parla lo stesso linguaggio schizofrenico, che ci rende uguali ai nerd di Chigago e a quelli di Calcutta ( senza la fantasia di ridere di Er Monnezza, Tomas Milian, che fa alla signora americana stravaccata sul divano che ha appena detto, “vengo da Chigago”: “mò ce vado pure io!”). Sotto questo aspetto l’uso dell’inglese, che secondo me da noi non si usa come in Inghilterra o come negli Stati Uniti , ma rifondato e rifonduto in un nuovo linguaggio che, per comodità, definiremo, Anglitaliano o, se preferite, Italinglese, abbonda in modo inusitato nelle aziende, specie private ( benchè abbia ormai preso piede anche in quelle pubbliche, ma con molta calma, com’è costume di queste realtà lavorative dai ritmi sudamericani trapiantati al centro dell’Europa occidentale). Si leggono delle meravigliose mail fantasmagoriche, mandate dai dirigenti di queste aziende, che, tra l’altro, come funzione, si sono dati delle definizioni lunghe un chilometro che fanno impallidire qualsiasi supercazzola prezzoliniana e che probabilmente coprono il fatto che sono appena un gradino sopra i loro sottoposti gerarchici (sembrando invece, in tal modo, inarrivabili presidenti galattici di fantozziana memoria), che capiscono solo loro. Eccone un esempio: “Update, sul forecast di alcuni prodotti, la cui pipeline, ha risentito nel TRANSIT, di un trasport issue a causa di un bottle neck, dati che riceveranno ulteriori updates, asap”. Sull’asap c’e’ una standing ovation…ops! Ora miei cari amici che mi leggete, io che non sono della generazione di “Amici miei” e che le supecazzole del conte Mascetti le ho introiettate dai racconti di mio padre, che pure egli e la sua generazione , si divertivano a inventare con molti tipi di fantastici giochi di parole a scopo  ludico, mostrando creatività e ironia, ma che vengo dalla lettura dei sonetti del Belli, dall’Inferno di Dante e dal Decamerone del Boccaccio, testi,  specie questi ultimi due, fondanti della nostra bellissima lingua italiana rispettivamente in poesia e prosa, come credete che possa rapportarmi a generazioni che parlano e soprattutto scrivono in questo modo? Ovviamente ci saranno molti trentenni o giù di lì che mi offenderanno dicendo che le lingue mutano e che è giusto, facendo violentare la nostra lingua considerata, a livello mondiale, pensiamo alla musica, ad esempio, fra le più belle e romantiche, nata dal latino, ceppo che è all’origine dello spagnolo e del francese, parlare in inglese  (che poi neanche inglese, è) e che dire “Food” invece che “Cibo”, introduce la sfumatura che Food è una cosa molto più elaborata ed elegante, di Cibo ( infatti, come dire blowjob invece che chinotto), via andando  fino a Zaia, presidente del Veneto, che dichiara coram populo: “bisogna fare il vaccino ai cargiver, si insomma, a quelli che portano in giro in macchina gli ammalati”…e certo, nella parola c’è “car”! Cari amici, cari lettori, questo pezzo è l’ennesimo tentativo di accendere una torcia sulla direzione grigia che stiamo prendendo, proprio come umanità. Un’umanità che anzichè esaltare le proprie virtù metropolitane e moderne, nate dal rispetto delle buone tradizioni passate, scade sempre più nel provincialismo del linguaggio e delle definizioni linguistiche omologate e omologanti. Anticamera del provincialismo antropologico e sociologico (sia detto  senza tema di supercazzole). Diciamo che è un pò come vedere qualcuno che entra in un museo con bermuda e ciabatte. Solo che non è il museo del surf. Magari definirlo così:” young accidentally enters a museum wearing shorts and slippers” anzichè “tizio con un vuoto a perdere di cervello”, serve solo a dire, in realtà: tutto è consentito, nella terra dell’unico tipo di comunismo realizzato: quello del linguaggio! E del siamo tutti uguali; l’unica differenza la fanno i soldi. Non pensiate che la ricchezza dei sentimenti conti ancora qualcosa: “no way!”

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