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Scritto numero 2

Voi non mi conoscete, non sapete chi sono, cosa ho fatto durante la mia vita, chi ho conosciuto. Sono uno, un estraneo per voi, per voi tutti intendo, ma non è colpa vostra posso sembrare alquanto strambo con il mio cappotto nero lungo, scarpe nere, un viso colmo di rimpianti e rimproveri, capelli vecchi, anche il mio nome ha perso le speranze, senza niente senza più nessuno. Franco Macellaro è il mio nome, sembra quello di un killer forse, lo leggo negli occhi di te che mi guardi camminare lungo questa strada con una bottiglia di vino in mano e la mia aria cupa. Ognuno mi giudica, mi dà una targhetta in base a qualche piccolo dettaglio di me, eppure non ho mai ucciso mia moglie, la mia ex moglie Carla, una donna lontana da quello che ero, diversa da me, ma mi amava molto, era quello che più adoravo di lei, non aveva occhi che giudicavano perché sapeva leggere le persone solo guardandole. Eravamo felici, all’inizio era tutto semplice e facile, a volte le soluzioni arrivavano da sole, non ricordo quando tutto è iniziato a cambiare, alcuni dicono che ciò è grave perché vuol dire che non te ne sei proprio accorto pur vivendo con lei. Credo di essere d’accordo con loro, è grave, non mi sono accorto che piano piano stavo perdendo mia moglie… Era lì, in quella stessa casa dove vivevo io, lei soffriva, stava male, iniziava a pensare di non amarmi più e io non riuscivo a vedere nulla di ciò, non che Carla si lamentasse anzi era una donna molto forte, probabilmente quando io non c’ero lei piangeva, sfogava i suoi sentimenti. Forse quando parlava mi diceva qualcosa che io avrei dovuto leggere tra le righe nei suoi lunghi discorsi, sordo, stupido o qualunque cosa io sia, mese dopo mese, il rapporto deteriorava sempre di più, tra litigi, notti separati e le persone che iniziavano a entrare nei nostri discorsi, intralciandoci il cammino con le loro chiacchiere. Ma i nostri litigi sapevano d’amore forse poco sì, ma c’era, si litigava ancora, si cercava di migliorare la situazione fin che uno dei due si rimangiava la parola data durante quei rari momenti in cui facevamo la pace, a ogni delusione il nostro amore si indeboliva. Un freddo giorno di febbraio, forse più degli altri o forse lo ricordo così, poiché fu il giorno in cui io Carla smettemmo di litigare… Non credete sia bello ciò, né utile è solo la fine di tutto, noi arrivammo in questa orribile fase in cui ognuno dei due agisce pensando a come far soffrire l’altro, a come trovare la contro risposta migliore per avere ragione, un traguardo importantissimo per alcuni. Di tante cose ne sono venuto a conoscenza solo dopo, le persone chiacchierano, dicono e sparlano e quindi tra il dubbio e le bugie ho scelto ciò che io ricordavo e credevo di Carla. In questi momenti di rabbia e disprezzo si aspetta solo il passo falso, la mossa che da inizio al divorzio, e quella mossa la feci io cercando tra rimpianti e disperazione, qualche gioia che quella cameriera poteva darmi, bastò qualche messaggio, qualche incontro non nascosto bene e al ritorno a casa, di un martedì noioso, trovai sul tavolo della cucina, appoggiato in un piatto come se fosse la mia cena, le carte per l’annullamento del nostro matrimonio da firmare. Dopo due giorni firmai le carte.

Lunedì, un altro giorno come gli altri, giro per questa città, non riesco a restare a casa, non ho nulla da fare, e quindi scendo alla ricerca di qualcosa che ormai da anni non trovo. Sì forse vivo di speranza, anche se non troverò mai nulla, non decido cosa mettermi né dove andare, indosso un giaccone se fa freddo o una maglia se fa caldo, ma tu signora che ti sposti insieme a tua figlia se mi siedo su questa panchina non pensare che io sia una persona da evitare perché non ho mai fatto nulla ai miei figli. Li ho amati fino alla fine, ho amato Giorgio quanto Martina, anche se non erano miei figli naturali. Con Giorgio è stato facile fare amicizia, mi sono sempre piaciuti i videogame, cercavo di creare un rapporto con lui comprandogli dei giochi per la playstation e con lui giocavamo quando Carla si vestiva o cucinava, sembrava che dopo mesi qualche speranza stava nascendo, con il tempo avremmo avuto un rapporto normale, non avrei mai cercato di sostituire quella merda del padre, forse avrei voluto essere migliore di lui per dar loro un padre o una figura che gli voleva bene davvero. Purtroppo con Martina non ho potuto creare nessun rapporto, mi odiava, odiava il fatto che la madre uscisse con un altro uomo, ho cercato di spiegargli le mie intenzioni che sarebbe stata la mia principessa se lo avesse voluto. Mi scuso con lei di non aver portato a termine i miei obiettivi, all’inizio provai a farmela amica con i regali, ma non fu così semplice anzi, con la solita risposta me li ridava sempre indietro:<< Grazie del pensiero, ma non ho bisogno di questi regali Franco Macellaro>>. Nome e cognome se ero fortunato altrimenti mi chiamava con il cognome come se fossi uno sconosciuto, pur frequentando la madre da mesi ormai. I regali venivano sempre accettati da Giorgio, essendo giochi da poco usciti, e quindi con Martina cercai altri metodi, lei amava discutere dei film, criticare la sceneggiatura, la recitazione e la trama. Iniziai a guardare film di tutti i generi e cercavo di scrivermi dei commenti su un taccuino con cui avrei discusso con Martina, sembrò funzionare, almeno fino alla sua morte del ventisei Ottobre del duemila tredici, quella macchina che non avrebbe dovuto correre su una strada di città, troppo veloce per poter rallentare, troppo stupido per potersi fermare a dare soccorso…

Non urlatemi fallito con i vostri sguardi, quando cammino senza meta per il viale alberato, non sono un reietto né tantomeno uno scansa fatiche. Avevo un lavoro, ero un architetto del municipio di una città non molto lontana dalla mia, con un ufficio semplice quasi vuoto e una piccola reputazione grazie a quel coglione del sindaco che mi affidava degli incarichi che erano stupidi per me, andavo di qua e di là per i piccoli negozi della città, facevo dei sopralluoghi per controllare se il negozio fosse in regola con le norme. La maggior parte dei negozi erano nati in degli edifici occupati prima da altri negozi che erano stati venduti per cessazione dell’attività poiché nessuno poteva fare successo senza i clienti, e questi mancavano da anni e anni ormai in quella città. Andavo dai negozianti, per lo più quasi analfabeti e loro mi regalavano qualche prodotto per chiudere un occhio con le tante irregolarità dell’edificio, credetemi all’inizio della mia carriera ero irremovibile, o tutto era a norma di legge o altrimenti il negozio non apriva. Infatti due negozi non aprirono per colpa mia, cercavo di essere un buon lavoratore, fin quando vidi che quei negozi dopo una ventina di giorni aprivano lo stesso, quel sindaco inutile riceveva qualche bustarella e incaricava un altro architetto che dava il via all’attività, era così triste e deprimente vedere che le norme comunque non erano state rispettate e quei negozianti continuavano tranquillamente con la loro vita. Dopo quelle esperienze decisi, che i soldi erano più importanti dei pensieri e sforzi inutili per migliorare quella città e così mi condannai alla tristezza del mio lavoro. 

Molti mi dicono di non dare conto a ciò che le persone pensano di me, ma come si può fare ciò, se i loro sguardi, le loro chiacchiere mi condannano e mi feriscono, basta che una persona dia una targhetta a un’altra e tutti penseranno che sia vero. È l’odierna società che usa questi meccanismi di autodifesa, non si spreca più di tanto a conoscere realmente una persona, ammiro chi riesce a vivere senza dar conto a questi inutili ostacoli, chi riesce a vivere semplicemente come vuole, io forse non ci riesco perché questa mentalità mi è stata imposta dai miei genitori che sempre erano pronti a giudicare ogni mia azione che non rispecchiasse il loro pensiero di come avrei dovuto essere. Vecchie persone o vecchie mentalità erano i miei genitori, troppo grandi per avere un figlio, troppo inadatti a fare questo passo, non è colpa loro perché per troppi anni hanno cercato di avere un figlio senza successo e poi è avvenuto il “miracolo”. Nella gioia hanno dimenticato che io ero una persona viva e cosciente che non poteva essere per forza ciò che loro avrebbero voluto come un semplice soldato, io non sto sull’attenti ne rompo le righe a tuo piacimento papà. Come hai potuto credere che io volessi fare il geometra solo perché avevi conoscenze al comune e quindi si, ho bisogno di sfogare la mia rabbia, criticatemi pure se lo faccio, rompo le bottiglie di vino tristemente tracannate da solo per le vie di questa città. Mi piace bere e non ho bisogno di dirvi perché, bevo e spacco bottiglie contro i muri e rimango seduto a terra a guardare i cocci di vetro inermi, ogni giorno fin quando forse qualcosa troverò o cambierà nella mia vita. Anche gli spazzini hanno rinunciato a raccogliere il vetro su quel muro giù al palazzo dove da piccolo scappavo quando la vita era più dura del solito. Volete sapere perché proprio lì? Perché se invece di scappare dai problemi e subire le conseguenze delle scelte altrui avessi preso in mano la mia vita scegliendo io cosa fare e con chi stare, ora forse racconterei di avventure, di felicità e d’amore. Scusa Carla, ma non ti amavo davvero, volevo dei figli miei e non dei figli che non erano i miei e che mi odiano più di prima, scusatemi gente di quel paese i cui negozi prima o poi vi cadranno addosso e scusa mamma e papà ma io volevo essere uno scrittore.

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Scritto numero 1

Fra luce e Tenebre le terre dell oblio