Il fato ha voluto che fossi il membro più giovane della mia famiglia, il figlio più piccolo, quello più vulnerabile, più stupido e più incompreso.
Non credo sia così in tutte le famiglie, o almeno lo spero, ma nella mia l’età contava moltissimo, i discorsi rilevanti erano solo per grandi.
Esprimere il proprio punto di vista sul mondo, o più semplicemente su un qualsiasi argomento, era preso come può essere presa una battuta udita in sottofondo alla televisione mentre si fa altro.
Se penso alla mia infanzia penso alla costante voglia di comunicare qualcosa senza essere percepito, immagino un bambino che urla in una stanza piena di manichini, indifferenti nei loro vestiti, immobili nelle loro pose.
Il mio carattere, almeno quello che mi ha accompagnato fino alla tarda adolescenza, non ha contribuito: timido, introverso e insicuro, probabilmente amalgamato dal fatto che per mia madre qualsiasi cosa ci fosse fuori dalle mura domestiche potesse brutalmente uccidermi da un momento all’altro, un carattere sorto sulla base che il mondo è pericoloso, spietato, la gente è malvagia e bisogna sapersi accontentare di quello che si ha.
E cosa può fare un bambino infelice per esprimersi?
CREARE CON CUORE
fortunatamente quel bambino urlante un giorno ha capito, non so come, che per dire la propria vi erano molteplici modi, ha compreso il potenziale di impugnare una matita nel modo giusto e da lì non si è più fermato.