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Sunyata. parte II

Comunque, dicevo, in una notte tale, quando ogni cosa pare svanire nella ruota degli eventi, io ero lì.

Buio intorno.

Silenzio.

Qualche traccia del mio passaggio nella cucina, dove le stoviglie erano ancora da riporre: un piatto e un bicchiere mezzo vuoto, le posate, un pezzo di pane sbocconcellato.

Appena appena, dalle tapparelle, filtrava una lama di luce.

Tutti dormivano. 

Lo senti quando la notte è piena. 

Sembra che il sonno della città avvolga ancor più intensamente le ore profonde, le 2, le 3… l’alba ancora da giungere, quasi non potesse sorgere se non con la nostra volontà di luce, ma essa non è abbastanza da farla anticipare e accelerare e in questo sta parte del nostro sconforto. 

Io ero lì. 

Ascoltavo il battito del mio cuore. 

Pulsava. 

Ero vivo. 

Ero vivo?! 

Ero. Vivo?

Scorrevano le immagini nella mia mente. Nel proiettore magico dentro il cranio, si affastellavano le immagini del giorno appena trascorso e poi più indietro e ancora e ancora… ricordi così lontani da apparire in super8 b/n e volti e azioni ed emozioni e sogni e rimpianti e ricordi…  Che scherzo del destino: si vuole vivere a lungo: senza tenere conto della pesantezza cui giungono i nostri passati archivi! Scartabellarci dentro diviene gravoso! 

E lo affermo con ironia: non ci sono che ossimori in queste nostre esistenze!

Ma torniamo a quella notte: mi domandai: a cosa potrei mai rivolgere la mia attenzione per non sprofondare nei soliti loop?

A DIO. 

Non che fosse una implorazione: per quanto si sappia che non vi sia nulla di eccezionale in chi si rivolge nei momenti disperati all’Entità suprema, anche per i più impenitenti e sacrileghi non credenti!  

Chapeau a chi si abbandona alla preghiera nel momento del disperazione: un conforto può giungere ed è una scommessa quella del credere e del non credere. 

Io mi trovavo su quel crinale: e perché non giungere a definire qualcosa cui nessuno era giunto prima di me? 

O forse lo aveva anche già fatto, ma nulla vale quanto il fare in prima persona. 

Mi domandai, con un tono di voce desto nella mia mente, ad acquietare le immagini che si erano, nuovamente e insistentemente, precipitate a scomporre la mia razionalità: la creazione di ogni cosa proviene dal nulla… no, non dal nulla: dal vuoto. 

Un dio, o DIO deve averla fatta emergere in quello spazio, ove nulla esiste e non esiste neanche il nulla (mi scuso per l’uso arzigogolato del linguaggio. Quando si compiono tali salti di natura, il linguaggio non tiene proprio! Capisco i mistici: che faticaccia tradurre in parole pensieri che non sono pensieri ma percezioni composite. Mai letto le Upaniśad?!), ovvero è il vuoto.  

Il vuoto è vuoto: potete voi pensarlo? 

Lascio un momento per farlo…

No?

Allora è proprio il vuoto. 

È più del nulla cui invece ci si può arrivare per sottrazione; esiste qualcosa, lo tolgo a se stesso: 1-1=0.

Ma il vuoto è proprio vuoto. 

Ebbene, da qualche parte, in qualche parte, un dio o DIO deve aver tratto il TUTTO dal Vuoto.

Specificando:

DIO+vuoto= ∞

ECCOLO! 

Perché il vuoto assume come sua idea che sia un potenziale, secondo la fisica quantistica. (Noi occidentali abbiamo necessità d un aggancio con il mondo scientifico, ricordate?) quello spazio non spazio dove si può estendere la Creazione. 

E un dio, o DIO, solo dal vuoto può aver dato origine. 

Dal potenziale intrinseco del Vuoto.

Ora, lo so che questo concetto emerge anche nella filosofia induista e buddista. Lo so perfettamente. (Qui stavo, quasi per un automatismo mnemonico, copiando e ripetendo quella che mi pareva la logica più concepibile di questa esistenza, dispiegatasi in un certo punto cosmologico.)

Se poi ci pensate bene, come ci pensai io quella notte, da questa equazione ne consegue che:

∞-vuoto= DIO

E se il vuoto è vuoto:

∞=DIO 

E pure:

∞-DIO=vuoto

Ma DIO deve assumere qualità sempre positive: assume in sé ogni elemento esistente (l’Inferno quindi è comunque parte di DIO, ma questo lo lascerei come tema ai teologi per trovarne una di quelle astruse giustificazioni cui per millenni ci hanno abituati!) 

E se così fosse davanti a DIO, il meno va commutato in +

Il che trasforma l’ultima equazione in 

∞+DIO= vuoto

Dal che se ne deduce che il vuoto è comunque un infinito potenziale.

Che è sia infinito, sia qualità positiva. 

Il mio timore di scivolare nel vuoto allora non poteva assumere una valenza così angosciosa, così come mi aveva tormentato, per anni, in quelle notti insonni: il vuoto era potenziale e io, una volta concluso il mio tempo, sarei ritornato nel potenziale infinito di DIO e nell’infinito stesso. 

Potevo dormire serenamente. 

Così come da allora avvenne. 

Mi bastava la mia equazione. 

Mi alzai da dove ero sprofondato nelle mie riflesso, quasi con un balzo, leggero. Tornai in cucina e mi finii il bicchiere mezzo pieno e conclusi con il pane: avevano ripreso sapore.

Poi mi alzai e me ne andai a dormire.

Sereno. 

Spero basti anche a Voi. 

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