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    Una notte

    Quanti mondi è possibile attraversare, fare nostri, sentire, veder passare, impossibili da fermare, semplicemente osservando il panorama che scorre lungo il finestrino di un pullman? Sarai stato dentro a un'intera playlist, a ogni viaggio, che non è poi così lungo, eppure è già così "tanto"; "Non posso dedicarti neanche un pensiero, titolo di coda dei sogni che chiamo alla mente quasi una ma... Altro...

    Quanti mondi è possibile attraversare, fare nostri, sentire, veder passare, impossibili da fermare, semplicemente osservando il panorama che scorre lungo il finestrino di un pullman? Sarai stato dentro a un'intera playlist, a ogni viaggio, che non è poi così lungo, eppure è già così "tanto"; "Non posso dedicarti neanche un pensiero, titolo di coda dei sogni che chiamo alla mente quasi una mattina sì e una no, tu che ti allunghi su di me per respirare lo spirito del giorno che questa volta affronteremo l'uno accanto all'altra, e che sfida averti accanto adesso. La tua mente è un intero appartamento da svuotare dalla convinzione che tutti i pezzi che potresti avere non potranno accoglierti mai al tuo ritorno; Io sono uno di quelli, che lasci alla mia vita sapendomi nella tua, come sei tu anche. Anche le ondine, tutte piene di rombi scomposti perfettamente contigui e modellabili ma che non si slegano mai, quelle le ho viste in un posto che tutti ti abitano, ma che solo io so. Ti costerò carissima la decisione di non avere atteso il tuo tempo dell'amore: ogni bacio che ricevi è il senso della passione che stavi cercando e hai amato anche quello, soprattutto quello, che era affezione e pelle, e ti si perfino premurato di amare ciò che hai ricevuto ma se è stato amore io non posso dirlo, io non posso crederlo, e neanche posso convincermene: l'amore è una polvere gravitazionale, non va mai via, nemmeno se ci soffi sopra con tutto il fiato che hai o se te ne dimentichi distratto nel corso dei giorni che non si arresta e non puoi fermare, e questo, esattamente questo mi fa paura, sapere che fra vent'anni, tu sarai ancora lì a sollevare la cornetta del telefono di una cabina pubblica sopravvissuta alle ruggini del tempo e ti aspetterai l'amore, tutto l'amore possibile, e certamente anche un cornetto e una tazza media fumante, tè per te e cappuccino per me, all'ora che preferisco e nel posto più tranquillo lì intorno, nella speranza che piova, tanto anche se fa caldissimo, stare vicini è la ricompensa per averci creduto, e la certezza che non potrà esserti negata, fin da subito, sarà la mia perfetta esimente. Se non avrai dato via, completamente disperso almeno la metà più uno di tutte le tue incontrovertibili ragioni, non aspettarti l'amore, non aspettarti un Sole rimasto dietro le nuvole per un quarto di vita: non potrà mai succedere come vorresti. <<Per me, potremmo amarci subito. Tu hai ... altri impegni?>>. <<Ho avuto una vita e ce l'ho ancora, anche adesso che ti ho incontrato>>. <<Non mi hai incontrato, ci siamo ritrovati>>. <<E? Dovresti sforzarti di aggiungere qualcos'altro, tipo tutte le volte che hanno solo detto di amarti, ti hanno intrappolato in un mondo sensazionale fatto di sole sensazioni, che puntualmente poi si sono risolte in vapore e andandosene non hanno creato neanche un temporale  e tu ti sei spinto così oltre da condividere comunque l'amore>>. <<E' l'unico amore che ho conosciuto e ho amato con tutto me stesso>>. <<E hai affidato a loro i tuoi respiri puri, quelli incontrollabili, le tue ansie e le hai amate tutte e anche tutte insieme, perché tu non sai smettere di amare e le ami ancora>>. <<Non si smette di amare, anche se è finita, e per qualcuna potrebbe anche essere finito il viaggio della sua intera esistenza, e questo me l'hai insegnato tu: anche tu ami ancora, ami lui e ami anche me, nello stesso modo diverso che non sei mai riuscita a capacitarti potesse esistere e convivere nel cuore umano. C'è un amore assopito e uno che arde e vive>>. <<C'è anche un tempo finito per ognuno di essi, e non ho mai vissuto amori contemporanei>>. <<Il cuore confonde sempre tempi e momenti, ma tu stai lottando contro te stessa, contro di me non c'è niente da vincere, se non i miei sentimenti imperfetti>>. <<I sentimenti sono perfetti, l'amore è completo, nasce così, e non ha bisogno di interventi regolatori né di consigli e soprattutto non è suscettibile di indecisione>>. <<Ma la mia vita sì, e tu eri solo una ragazzina divisa tra passato e futuro, il primo che non avevi accettato e il secondo che ti ha fatto sempre paura e io in nessun posto>>. <<Io sognavo un amore giusto>>. <<Una eccezione di amore allora: oggi, tutti hanno un prima e un dopo, e tu ti troverai spessissimo in mezzo e dovrai scegliere senza poterti rifiutare di farlo>>. <<Se mi avessi scelto, avresti violato la tua regola regina: amare solo chi ami. Può sembrare una contraddizione, ma per te no: tu sei piena di si e no insieme, sono il tuo connotato di riconoscimento: sì, per questo, questo e quest'altro, no, per tutto il resto, e i forse li devi capire tu, cioè io. Questo adoro di te. Non lasci esistere niente che sia incorreggibile, aggiustabile con gli occhi del tuo amore perfetto agli occhi tuoi, e se si può correggere, allora sbagliare è più di un buon motivo. L'amore che non sbaglia mai perché di fatto non può sbagliare: se ami, non sbaglierai mai, anche se hai toppato sulle ordinazioni. Mi auguro che il gettone della tua telefonata ci faccia restare in linea ancora un po': desidero sciorinarti tutti gli argomenti di cui sono capace perché tu possa lasciarmi amarti; Ti amo. Sì, lo so che è spiazzante>>. <<Mi ha spiazzata quando hai capito che ho fatto di tutto per impedirti di dirlo: non puoi dire qualcosa che non hai mai conosciuto, perché io, pur sapendolo, finisco per crederti, per credere a qualcosa che non esiste, ma dentro di me so benissimo che in realtà il tuo non è amore. Tu, in quello, cerchi una sicurezza e la senti solo quando ti si dona l'indonabile, ma quando lo si cerca da te, non se ne trova neanche un po', e si inizia a sentire un freddo gelido, il freddo che scompone le tende della stanza, senza che dopo aver chiuso le finestre il calore torni a riscaldare l'ambiente. A stringere questa cornetta sono questo, un freddo gelido che soffia fin verso di te e che tu non puoi riscaldare, neanche se io lo desiderassi con tutta me stessa amandoti. Non ti ho scelto perché non potevo amarti, non potevo e non posso neanche adesso. Il gelo colpisce basso, tutt'intorno a me, si è impadronito di me, custodisce una temperatura di 180° gradi Celsius all'ombra, ciò che ero, l'energia creatrice che faceva da propulsore al mio mondo, prima della mia personalissima tempesta. Se ti avessi lasciato amarmi, sai con che uragano avresti dovuto batterti? Il mio e il tuo interiore insieme. Ti avrei fatto così male che il dolore chiuso dentro di me mi avrebbe tolto perfino quello che mi ha lasciato tenere a caro prezzo e solo per un po'; Mi fa male anche solo dirti tutto questo.>>. <<Avrei desiderato tantissimo che tu mi avessi lasciato provarti che io sono il primo guerriero del cuore: puoi distruggermi soltanto tu. Odiavi il fatto che ti aspettassi, odiavi saperlo e sentirtelo dire, ma è così. Il tuo modo perfetto di amare è il mio bisogno; Il mio modo imperfetto di amare desidera essere guarito. Ho amato e sono stato amato e non ho mai chiesto che il mio bisogno venisse curato da chi sapevo non avrebbe potuto farlo. Oggi, mi basta questo, dirti che ti amo, dirti che la mezzanotte è sempre un orario magico in cui posso sempre incontrarti, è li che ti ho incontrata in tutti i miei sogni>>. <<In quel senso pieno di contraddizioni, ti ho amato anch'io>>. <<Se adesso ti chiedessi una notte, so che non sarebbe una richiesta che potrebbe aiutarmi davvero: non potrebbe mai bastarmi, però in tanti film una notte è sufficiente, eppure so anche che per te sarebbe già troppo... quindi, cosa posso chiederti?>>.<<Di dirti che ti amo adesso, ad esempio, prima ho usato il passato>>.<<Ho già sbagliato a chiedertelo una volta, non sognerei mai di rifare l'errore ancora>>.<<Te lo ricordi?>>.<<La presunzione è una delle mie ragioni inoppugnabili, senza l'amore. Oggi, ho un po' di tatto in più. Abbiamo finito il tempo, ma adesso so cosa dirti: avrei voluto meritarmi il tuo amore, sconfiggere le tue paure, una volta ho perfino pensato di chiederti di sposarmi, ma quello l'avevo rubato alla scena di un film in cui ti ho immaginato tutto il tempo: sono queste le cose che mi fregano, l'immaginarti ovunque: non ci siamo mai baciati, ma mi sembra che tra noi sia già successo il più inspiegabile amore, tutto l'amore che può esistere e per tutto questo tempo. Non ho idea di come sia stato possibile, sei un film d'amore e io non avevo mai neanche voluto pensare alla possibilità di un rosa; Sei un rosa che aleggia, perfino quando fisso il camino stando attento a non scottarmi>>.<<Ho sempre sognato una notte con te, e saresti pieno di regole e vincoli su tutto ciò che non potresti fare - e la prima è che non puoi avvicinarti a me -, e so che dirti questo è già un errore, so che dirti che muoio dalla voglia di stringerti, soltanto stringerti, è già un immenso errore ma...>>.<<Se non fossi a più di non so quanti Km di distanza sei da me, e fossi dietro di te, sarebbe bellissimo dirti di voltarti... sei un film, d'altronde, ti ho già detto anche questo>>.<<Tu sei il mio posto segreto, dove riverso tutto l'amore che ho dentro>>.<<Una notte>>.<<Una notte>>.

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    Senso unico

    La fuga, la corsa senza sosta, senza meta, con la consapevolezza che niente sarebbe cambiato, di star compiendo un giro, due o forse tre intorno a qualcosa, qualcuno che al mio ritorno ritroverò nel posto esatto in cui l'ho lasciato un tempo indefinito fa; Serviva comunque a me, per restare con me stessa, ingarbugliarmi i pensieri, metterci un bavaglio, coprirmi il cuore fin sopra gli occhi. L'am... Altro...

    La fuga, la corsa senza sosta, senza meta, con la consapevolezza che niente sarebbe cambiato, di star compiendo un giro, due o forse tre intorno a qualcosa, qualcuno che al mio ritorno ritroverò nel posto esatto in cui l'ho lasciato un tempo indefinito fa; Serviva comunque a me, per restare con me stessa, ingarbugliarmi i pensieri, metterci un bavaglio, coprirmi il cuore fin sopra gli occhi. L'amore è tutto lì, così: se non hai coraggio, aspettalo, aspettati, ma se sei a senso unico dove dovresti essere a doppio senso, con l'amore che trabocca un po' ovunque, con le mattine e le sere e tutto e ogni giorno da allora annebbiato dai sogni, dove siamo insieme, imperfetti, sbagliati, inconcepibili, perfettamente ubriaca di sogni già a colazione, quando il caffè sta per ricoprirmi di attenzioni mentre tu, la tua energia e io dovremmo essere i segni su un cuscino stravolto, ecco, tu sei quello, amore a senso unico, capriccioso, egoista, ignobile passione, passione insaziabile, solo passione, irrazionale, irraggiungibile, indimenticabile, che voglio vivere. Voglio viverti, almeno come fossi un sogno, la vita nella vita che vivo; Porta "l'amore", vista cuore, sesto piano: dove nasce il Sole e le stelle ballano un lento per tutta la notte; Porta socchiusa alla vita, sono già alla finestra, con gli occhi chiusi, le spalle al passato, lo sguardo fisso sulla strada: alla prima, svolta a sinistra, anche se è un vico, ti farà sorridere, sentire protetto: amami.

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    Quando rincorri quella Bellezza

    Quando rincorri quella Bellezza

    dell'Amore e del Dolore

    che respiri nell'infinito

    eterno azzurro.

    Si sentono ancora le voci antiche

    nel bisbiglío del mare

    nel muto cielo

    si sente la lama del tempo

    che mutila l'anima immortale

    eppur morente.

    [...]

    ©️Gio Loreley

    Memories

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    AMORE AL MACELLO (parte 2)

    Quello che succede quando Liam Van Heerden è online su Gayza è la metafora di ciò che era accaduto giorni prima nel vicino Zimbabwe, teatro di un tracollo economico-finanziario epocale.Nel Paese, definito fino al 2000 “Granaio d’Africa” o “Svizzera del Sud”, un camion carico di bestiame si ribalta per una manovra distratta.Un gruppo di affamati spettatori sulla strada assalta le vacch... Altro...

    Quello che succede quando Liam Van Heerden è online su Gayza è la metafora di ciò che era accaduto giorni prima nel vicino Zimbabwe, teatro di un tracollo economico-finanziario epocale.Nel Paese, definito fino al 2000 “Granaio d’Africa” o “Svizzera del Sud”, un camion carico di bestiame si ribalta per una manovra distratta.Un gruppo di affamati spettatori sulla strada assalta le vacche e le scuoia vive a pugni e mazzate contendendosi le carni macellate a mani nude. Uno scenario splatter degno di un b-movie, di una tragedia greca o di una chat per incontri fra allupati.Nella tragica, metaforica calca di affamati di carne di vacca, si identifica un conoscente…

    Lo attendo in pausa pranzo sul prato della facoltà di discipline sportive. I rugbisti del college si allenano al sole regalandomi una panoramica notevole. Liam arriva a piedi reggendo i roller con le mani.Si siede sull’erba e accenna un sorriso vacuo.

    Io sospiro intuitivo “Lo sapevo…spara.”

    “Avevi ragione, sei riuscito a trovare un soggetto peggiore di me.”

    “Quanto peggiore?”

    “Si chiama Isak, non Joshua. Ha 42 anni. Non è di Sandton, vive a Kymberly con sua moglie, hanno una figlia di dieci anni. Si sbatte un biondino minorenne che va al liceo di Fichardt Park. Tira coca e non è nuovo al bareback. L’unica cosa vera è il suo lavoro, i diamanti.”

    “Però! Quanto chiacchierate al Romeo…”

    “Mi dispiace Fax.”

    “Mi ha detto ti amo al secondo appuntamento, dovevo immaginarlo.”

    “Già, non credere mai alle parole di un maschio sulla sogliadell’ orgasmo. Io Sabato ho ansimato una proposta di matrimonio al fattorino della pizzeria.”

    “E non lo sposerai?”

    “Per ora no, si è arrabbiato.”

    “Perché?”

    “Credo c’entri il fatto che Lunedì ho scopato il tipo che dà i volantini per la promozione quattro formaggi.”

    Scuoto il capo. Liam incalza “Fottitene Fax, fatti un giro su uno di quei rugbisti. Ti presento io qualcuno.”

    “Si fa un biondino del liceo? E vuole convincermi a cavalcarmi a pelo!”

    “Se vuoi lo faccio pestare. Conosco un ex carcerato sempre pronto ad aiutarmi…”

    “Sei dolce, però no, devo affrontarlo io.”

    Stavo da schifo, una latta di carne in gelatina, così mi sentivo. Uno scarto di macello in lattina sottoprezzo esposto sugli scaffali di un discount, mentre un accattivante fast food offre hamburger, patatine dorate e gadget. Mi tormentavo immaginando Joshua (ora Isak) scoparsi quell’adolescente, odiandomi per non essere biondo e per essere tutto quello che ero. La richiesta del sesso non protetto poi, accompagnata da un’infilata di stronzate sul completamento di un sentimento mai provato prima, che avrebbe consolidato il nostro rapporto da un vincolo di complicità…Izak ignorava fosse caduta la maschera di Joshua, ma ignorava soprattutto quanto pericoloso e vendicativo fosse un ventenne umiliato che indossa la maschera dell’ingenuo, rassicurante, bravo ragazzo.

    “Una serata memorabile”, questo gli avevo promesso.Dall’anta dell’armadio nel dormitorio lo specchio mi riflette sobrio ed elegante.Prelevo i due biglietti dalla cassettiera alla testa del letto.Li custodisco separati, uno nella tasca destra dei pantaloni, l’altro nella sinistra. Quei cartoncini riveleranno “qualcosa” nel memorabile appuntamento.Ho scelto io il ristorante esclusivo in Brand Street, dove, casualmente (?) quella sera si riuniscono le Dame Boere della Carità Afrikaner, una congrega di borghesi razziste che alterna l’hobby della filantropia alle kermesse stagionali.Joshua mi preleva con il suo coupé fuori dal campus.Commenta quanto i pantaloni mi disegnino bene il culo.Mentre guida preme la mia mano sul suo pacco per farmi sentire quanto sia duro all’idea di scoparmi dopo cena (finalmente senza guaine di lattice). Dice che sarà come una nuova prima volta, liberi, pelle contro pelle. Schiocca le dita sul ritmo della musica pop in un patetico eccesso di giovanilismo ostentato.È sensuale, spavaldo, di ottimo umore, solo mi domanda perché abbia scelto un locale così pretenzioso. Imbocchiamo il viale alberato di Brand Street.Mi imbarazza quando nel parcheggio lancia le chiavi dell’auto al posteggiatore armato di mitra “Ti affido la bambina!”Il parcheggiatore in divisa non può saperlo, ma dentro di me gli prometto “Tranquillo, lo distruggo prima del dessert.”

    Il ristorante è un edificio nederlandese di fine 1800, con soffitti alti dai pannelli dipinti e pavimentazione in legno, un ampio camino in arenaria e un proverbiale utilizzo delle luci soffuse. Alle pareti, sequenze di dipinti del Great Trek e scene di vita nell’ Oranje Vrijstaat. Un presidio della resistenza segregazionista che non si è arresa alle trasformazioni occorse al di là delle siepi potate chirurgicamente. Gli unici “non bianchi” presenti sono dei subalterni relegati alle mansioni meno esposte. Il pianista suona qualche inno, probabilmente tratto dal repertorio della Banda nazionalsocialista.Joshua si incupisce un poco quando il maître ci conduce al tavolo centrale nella sala.A pochi metri da noi la moglie del sindaco, adorna di una parure sufficiente a sanare il debito pubblico del Malawi, pronuncia un’arringa al convivio delle Dame Boere della Carità Afrikaner.

    Ci accomodiamo. Lui, scruta la sala diffidente “Avrei preferito un posto più intimo…”

    Io, ingenuo “Non ti piace?”

    “Certo, è carino, ma è lo stile formale che frequento per i meeting di lavoro.”

    “Scusa, non lo sapevo…”

    “Quante cose devo insegnarti.”

    Io, malizioso “Che ne sai? Magari stasera scopri che ho imparato qualcosa di nuovo…e che so fartelo bene.”

    Geme sommesso “Mmmh, non fare così o ti porto via subito…Ti va? Saltiamo la cena!”

    “Scordatelo! Sulla carta dei dolci c’è il pudding alla malva e lo voglio!”

    Gioca sui doppi sensi tra il dolce e le farciture che mi offrirebbe al posto del pudding. Nuovi avventori occupano i tavoli circostanti. Controlla il tono della voce sussurrando.Gli sferro il primo colpo quando il sommelier versa l’assaggio dello Château d’Yquem.Mentre lui sorseggia il vino io incalzo “Allora, IZAK, com’è?”

    Esplode un colpo di tosse nervoso, nebulizza il vino dalle narici e si tampona con il tovagliolo.

    Il sommelier, preoccupato “Qualcosa non va signore?”

    Lui si ricompone e lo congeda.

    “Perché mi hai chiamato così?”

    Io, candido “Così come? Ti ho chiamato col tuo nome…”E tracanno il primo calice.

    Sembra sospettoso. Dissipo i suoi dubbi avviando una vivace conversazione di aneddoti sulla vita al college, lui parla della frenesia di Johannesburg e delle ingerenze capitaliste di un magnate cinese nel settore minerario locale. Monopolizzo la bottiglia da cui attingo generose porzioni. Prima di assaggiare l’agnello glassato allo zenzero la mia lingua è sufficientemente sciolta da schioccare le sferzate “Quell’industriale pechinese dovrebbe sapere che non si può prendere tutto senza riguardi. Digli che se trovasse il cadavere di una balena nel Colinshire, sarebbe obbligato a consegnare la testa e la coda ai Sovrani di Buckingham.”

    “Ah, ah, sul serio?”

    “Certo! Spesso ignoriamo la legge senza saperlo. Ci pensi mai?È importante conoscere le consuetudini del posto in cui vivi. Per esempio, tu sapevi che in Kenya è vietato fumare tabacco per le strade?”

    “No, non lo sapevo.”

    “Ecco, vedi? E magari non sai che l’età minima per un rapporto sessuale in Sudafrica è 16 anni per gli etero mentre 19 per i gay. Non si capisce perché i gay debbano pensarci tre anni più degli etero prima di darlo via! Ma è questa è la legge.”

    “Perché parliamo di questo?”

    Io, pacato “Perché forse ti sei distratto, forse non sai che scoparsi un quindicenne in questo Paese è un reato!”

    Lui, gelido “Ma cosa dici?”

    Dimentico di sussurrare “Dico che tu, fottuto bastardo, vuoi montarmi senza sella quando raccatti chiunque in chat e fuori dai licei!”

    “Cristo di un Dio, vuoi abbassare la voce? Ti sentono!”

    “E allora? Tu sei un protagonista dominante, però ti dò una notizia, a volte i ruoli secondari ti sorprendono e ti fottono la scena! Nelle tasche dei miei pantaloni ci sono due biglietti, in uno c’è il numero di tua moglie a Kimberly, nell’altro quello della famiglia del biondino che ti sbatti. Chi chiamerò prima?”

    (continua...)

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    AMORE AL MACELLO (parte 1)

    La prima volta non si scorda mai, purtroppo.La mia prima volta con Liam, il pattinatore dai glutei stellati, la volevo dimenticare.Per questo, matricola al college in Sudafrica, creai un profilo su una chat gay. La necessità di essere amati spinge a commettere delle scelte confuse. Dovevo essere davvero confuso per cercare l’amore in un sito che misurava le probabilità di trovarlo sui centimet... Altro...

    La prima volta non si scorda mai, purtroppo.La mia prima volta con Liam, il pattinatore dai glutei stellati, la volevo dimenticare.Per questo, matricola al college in Sudafrica, creai un profilo su una chat gay. La necessità di essere amati spinge a commettere delle scelte confuse. Dovevo essere davvero confuso per cercare l’amore in un sito che misurava le probabilità di trovarlo sui centimetri in dotazione.L’amore passava poi da un questionario che chiedeva se fossi attivo, passivo, versatile nelle gang bang, all’aperto o da interni, disponibile al pissing, bukkake, fisting, quanto amassi masticare i capezzoli o pressare i miei con le pinze, farmi legare, appendere, impalare, sostare al crepuscolo nella piazzola dei tir davanti al fast food per camionisti di Edemburg, frustarmi i testicoli con un fascio di ortiche del Limpopo o con un rovo del Karoo…Decine di varianti per tracciare il profilo della vacca ideale, pronta a condividere le sue carni, PER AMORE. Sembrava che tutti gli utenti collegati cercassero il principe azzurro, ma in attesa di riconoscere lo strepito degli zoccoli del cavallo bianco non disdegnassero rovistare l’arsenale di qualche arciere di passaggio.Aprii un profilo moderato e funzionò.La parvenza del pudico ventenne da alfabetizzare all’eros suscitava una fila di pulsioni hardcore quanto quelle dichiarate platealmente. Districandomi nell’umida giungla di erezioni rigogliose giunsi al profilo di “ForEverHard”.Una brillante strategia di emancipazione dal superficiale pattinatore tatuato.Dietro al sempre duro nickname si celava Joshua, 35 anni da Sandton, azionista nel settore minerario, spesso in trasferta nel Free State, sicuro di sé, realizzato professionalmente, gli occhi azzurro algidi, una fantastica fossetta sul mento e quella voce virile dalle proprietà orgasmiche.C’era qualcosa di nuovo nel gioco dei ruoli che si era creato fra me e Joshua. Lui esperto e fascinoso, io acerbo in fase di collaudo.L’idea di frequentare un uomo più grande di quindici anni, sfidare la mia immaturità sessuale facendo di lui un mentore, mi poneva nel costante bilico tra il timore e l’eccitazione per il rischio.Da neofita del sesso assumeva un’aurea trasgressiva anche quello che non lo era, ma riponevo in Joshua la fiducia nel farmi guidare dove prima avrei dubitato di giungere.Fiducia che si stemperò alla sua richiesta di sesso senza preservativo. Declinai. Fu il primo “NO” e i turgori svigorirono. Avevo infranto il gioco di accondiscendenza, l’ombra di un mio rifiuto rendeva per lui meno eccitante il nostro rapporto. Affrontai la questione apertamente. Avrei accettato se entrambi ci fossimo sottoposti al test hiv e mi avesse garantito che escludeva amplessi con altre persone. Mi accusò di essere diffidente, si dichiarò deluso e tradito.Mi chiedevo come un sudafricano potesse concepire la leggerezza meditata del sesso non protetto. Come poteva essere certo che io fossi a posto? Ero iscritto in un ateneo internazionale dove frequentavo il Drama Department e abitavo nel residence del campus, tutti i requisiti per una cittadinanza onoraria a Sodoma.I dati sulla diffusione di Aids e Hiv nell’Africa australe raccontano uno sterminio silenzioso che si compie per effetto di una guerra senza deflagrazioni. Luther, il mio compagno di corso namibiano, confermava che il business delle pompe funebri aveva reso suo padre uno degli uomini più facoltosi di Mariental.Il sagace patriarca aveva però seppellito due dei suoi figli sieropositivi. Nonostante l’hiv sia diffuso gli africani provano molta vergogna a parlarne. Nelson Mandela, sulle pagine del Sunday Times condivise la scomparsa del suo secondogenito “Lo dico pubblicamente, perché il virus non sia un tabù, mio figlio è morto di Aids”.Il nostro maestro di danza contemporanea biasimava la molliccia campagna di prevenzione sessuale programmata dal College. Preferiva condurci la Domenica mattina nel reparto di malattie infettive dell’ospedale civile e imporci come aiutanti agli infermieri.Un confronto pratico con le conseguenze delle scopate disinvolte.Ma è anche una realtà che milioni di persone hiv+ in Sudafrica e nel mondo conducono vite longeve e prive di limitazioni.Appena giunto nel luminoso Free State dal fosco Colinshire ero uno straniero diffidente tormentato dall’ombra dell’epidemia.Dopo sette giorni le ombre diventarono persone, nomi, storie, amici, compagni di corso, vita.Detestavo ammetterlo, ma per la faccenda del bareback con Joshua avevo bisogno della valutazione di uno scopatore seriale…LIAM, il pattinatore dai glutei stellati che mi aveva tradito con il barista del Romeo nei cessi del locale.

    Sono le 8.10 del mattino. Liam è in ritardo. Seduto al dehor di una tavola calda boera fingo di memorizzare le battute di un monologo per conferire all’attesa un distacco disinteressato. La cameriera indossa un costume tradizionale afrikaner rabberciato.È irritata perché occupo il tavolino senza ordinare, io quanto lei perché comincio a temere l’umiliazione di un bidone all’appuntamento.Dal pergolato pendono i glicini che disperdono petali viola sul mio copione. Un polveroso pick-up con il cassone carico di pecore lamentose inchioda davanti al locale. Sgusciano dall’abitacolo due giovani farmer con fucile a tracolla seguiti da un cane.Distraggono la cameriera con lusinghe ruvide che lei non disprezza. Ordinano frittata di funghi saltati, speck e birre.Poi lo scorgo librare sui roller appena svoltata la collina dei girasoli. Plana sull’aria sfiorando il lastricato con il portamento di un atleta ellenico in slim shorts e canotta fluo. Mi odio perché lo penso, ma penso che non ricordassi quanto fosse bello.Incurante della panoramica luminosa che sembra studiata da un team pubblicitario per celebrare il suo ingresso, Liam frena davanti al dehor. Ha colorato con striature smeraldo i capelli biondi.Il cane lo circuisce con latrati rabbiosi. Gli allevatori lo richiamano severi ma fissano Liam sprezzanti.

    Guardo il cane ringhiare mentre lui si accomoda -“È il comitato di accoglienza che ti meriti…”-

    Sorride smagliante -“Sono in ritardo!”-

    Io, nervoso -“Certo che lo sei, ti avevo scritto che ho lezione alle nove.”-

    -“Scusa! Ma lasciami parlare prima che mi spieghi perché siamo qui, ho pensato a un discorso. Farei qualunque cosa per farmi perdonare Fax. Sono stato pessimo, tutte le bugie, il tradimento. So di aver fatto sanguinare il tuo cuore.”-

    -“Beh mica solo quello, visto che ti sei preso la mia verginità!”-

    I due farmer ci osservano dal loro tavolo.Io mi schiarisco la gola e modero il tono della voce, ma continuo ad aggredire Liam -“E poi piantala di parlare come in una soap opera.”-

    -“Volevo dare un tocco teatrale al discorso, pensavo ti facesse piacere.”

    -“Non è teatrale, mi dà sui nervi! Sembri la caricatura di un episodio di Egoli.”-Una tensione fastidiosa si concentra sulla mia epiglottide, respiro per combattere il reflusso di rancori e ammetto -“Però un tocco teatrale c’è …”- Gli mostro la coincidenza nel titolo del copione che sto memorizzando, “Il ragazzo dai capelli verdi” di Betsy Beaton. Lui, divertito lisciandosi il ciuffo smeraldo con la mano -“Wow! Sono già diventato leggenda!”-

    -“Sicuro, se i cessi del Romeo potessero parlare…”-

    -“Comunque Fax sono contento del tuo messaggio, non pensavo di risentirti.”-

    -“Neanche io, ma ho un secondo fine.”-

    -“Spara!”-

    -“Prima ordiniamo, rischio due ore di training a stomaco vuoto con quell’invasato di Kosta.”-

    -“Quel tipo balcanico che vi addestra come militari?”-

    -“Lui!”-

    La cameriera ci porge caffè e waffel con i bricchi di sciroppo d’acero e cioccolata fusa. Dal tavolo dei farmer si leva un rutto, lei sghignazza complice.

    Mentre annego il mio pasto sotto una colata iperglicemica dico a Liam -“Ho visto il tuo profilo sulla chat Gayza, scrivi che cerchi l’amore.”-

    -“Beh, è la verità!”-

    -“E come mai le pose della tua gallery sembrano la fase preparatoria di una colonscopia?”-

    -“Per mostrare le stelle! Che senso ha tatuarsi il culo se nessuno può vederlo?”-

    -“Sei una vittima dell’altruismo. Ma non temere, in quelle foto si vedono le stelle, i pianeti  e un buco nero.”-

    -“Cosa avrei dovuto fare? Non hai più voluto saperne di me.”-

    -“Devi prestarmi il tuo culo Liam, ecco cosa devi fare!”-

    -“Non credevo lo volessi ancora!”-

    -“Non voglio scopare con te, idiota!” (Mentivo, volevo eccome). “Devi contattare un tipo che frequento dal tuo profilo Gayza, per capire che intenzioni abbia.”-

    -“Sei fuori? Scordatelo!”-

    -“Oh, ma dai! Hai detto che faresti qualunque cosa per farti perdonare. Mi trovo in una situazione spiacevole e in parte sei responsabile.”-

    -“Io?”-

    -“Dovevo dimenticarti e forse nella fretta sono riuscito a trovare un soggetto peggiore di te.”-

    -“Ti tradisce?”-

    -“No! Non lo so. Mi ha proposto sesso condom free.”-

    -“Non lo hai fatto?”-

    -No. Gli ho chiesto il test hiv e si è offeso.”-

    -“È un idiota!”-

    -“Capisci perché ho bisogno di te?”-

    -“Ma non puoi aprire un profilo fake con la foto di un concorrente del Big Brother svedese come fanno tutti?”-

    -“Io non rubo le foto di uno svedese, e poi nessun reality ha mostrato il culo come fai tu in quella gallery.”-

    -“Mi descrivi come una puttana senza morale!”-

    -“Liam, non costringermi a essere amaro…Da quando hai le stelle sul didietro ricevi più visite del planetarium di Naval. Provocalo un po’ online e fai qualche domanda su di lui, i tuoi amici del Romeo sono un comitato di comari del gossip.”-

    I due allevatori si dirigono al pick up seguiti dal cane, uno di loro sputa per terra nella nostra traiettoria, l’altro mugugna -“moffie.”- (frocio in afrikaans).Liam ha le labbra lucide di sciroppo, le ripulisce con un giro di lingua, mi diventa duro.Accetta la missione -“Va bene, ti aggiorno fra una settimana.”-

    -“Ti dò quattro giorni. Devo rivederlo nel week end!”-

    Aspetto che passi l’erezione, mollo conto, mancia e fuggo via verso il campus. Kosta mi farà vomitare il waffel di corsa a salti e piegamenti in serie da 20, secondo uno schema di allenamento che chiama “suicidio”.

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    My secret

    Quel noi doveva essere un posto da raggiungere soltanto dopo aver posato la testa sul cuscino, chiuso gli occhi, tutto quello che non va, fuori da te. Un posto dove potevamo essere tutto ciò che sognavamo, senza dar spiegazioni a noi stessi, agli adulti che cerchiamo di essere ogni giorno; Dove andare al luna park insieme, fare a gara  chi arriva prima, a chi si stende prima sul prato, a chi... Altro...

    Quel noi doveva essere un posto da raggiungere soltanto dopo aver posato la testa sul cuscino, chiuso gli occhi, tutto quello che non va, fuori da te. Un posto dove potevamo essere tutto ciò che sognavamo, senza dar spiegazioni a noi stessi, agli adulti che cerchiamo di essere ogni giorno; Dove andare al luna park insieme, fare a gara  chi arriva prima, a chi si stende prima sul prato, a chi ferma una canzone che passa alla radio; Dove assaporare ogni goccia di pioggia, ogni racconto segreto, ogni confessione, ogni dolcezza, ogni fragilità; Dove ridere incuranti del tempo che resta; Dove continuare a crescere, osservare da fuori le nostre vite senza cambiare nulla, senza desiderare di farlo, senza mai aspettarci niente, senza provare a cambiarci, senza mancare una promessa, senza ferirci: solo sogni; Dove tenermi per mano; Dove tenerti per mano; Dove amarti; Dove amarmi; Dove poter essere me stessa con te senza curarmi del mio buio, la mia notte che avanza ogni volta che ti fai più vicino e ti allontani; Dove non possiamo stringerci senza essere noi; Dove te stesso è silenzio e perfino tu ti scordi finalmente le parole, smetti di aggrapparti e ti fai indifeso e mi lasci entrare. Dove non avremmo avuto bisogno di spiegare, di chiedere, di essere capiti. Dove osservarti in ogni centimetro e accarezzarti l'anima; Anima mia. 

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    Esperienze

    -fatti non foste a viver come bruti ma per seguir virtute e canoscenza- (Inferno, canto XXVI)Ah, sì, l’inferno! Luogo di sepoltura per l’anima!Io son già stato all’inferno, e da poco son tornato.Pensavo d’incontrar, meschino, della tenebra il giullare,eppure m’appare, in un sussulto, della luce il portatore.Quel ceppo, nelle carni stretto, ancor mi duole e trattiene,non mi lascia poich... Altro...

    -fatti non foste a viver come bruti ma per seguir virtute e canoscenza- (Inferno, canto XXVI)

    Ah, sì, l’inferno! Luogo di sepoltura per l’anima!

    Io son già stato all’inferno, e da poco son tornato.

    Pensavo d’incontrar, meschino, della tenebra il giullare,

    eppure m’appare, in un sussulto, della luce il portatore.

    Quel ceppo, nelle carni stretto, ancor mi duole e trattiene,

    non mi lascia poiché andarmene non conviene.

    L’attracco alla mente è l’approdo che lui vuole,

    perché, dimmi, quando entri in quel girone,

    riuscirai mai a risalirne lo sperone?

    Approssimato ormai per sempre a quel luogo,

    la mia anima sospira e aspira a un mondo luminoso.

    Non andar molto lontano, poiché l’ombra della notte

    ti segue e con la mano ti accompagna.

    L’inferno non cercarlo in un altrove,

    poiché, se ben guardi, è qui, in ogni dove!

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    I pazzi iniziano dove finisce la loro comprensione

    In coda al supermercato, un sabato pomeriggio.Me ne stavo lì in coda al supermercato e vedevo i carrelli davanti e dietro e intorno. Ovunque carrelli. Ma cosa c'era nei carrelli? E c'era un uomo corpulento...scusate, volevo dire grasso, la mania del politicamente corretto ci ucciderà più dei trigliceridi. Ma poi voi se foste una puttana vorreste essere chiamati/te operatrice sessuale? Nel suo c... Altro...

    In coda al supermercato, un sabato pomeriggio.

    Me ne stavo lì in coda al supermercato e vedevo i carrelli davanti e dietro e intorno. Ovunque carrelli. Ma cosa c'era nei carrelli? E c'era un uomo corpulento...scusate, volevo dire grasso, la mania del politicamente corretto ci ucciderà più dei trigliceridi. Ma poi voi se foste una puttana vorreste essere chiamati/te operatrice sessuale? Nel suo carrello c'erano wurstel, una montagna di wurstel. Stava parlando ad una signora lì accanto e diceva che lui adorava i wurstel. Poi stava dicendo anche che strozzerebbe il suo capo al lavoro. Deduco che scarica sui wurstel. La soluzione di trasformare il suo capo in carne da wurstel non la prendeva in considerazione. Spesso il cibo è il simbolo dell'autoflagellazione masochistica quando non riesci a essere violento con gli altri, che non è nella tua natura. Dimmi come mangi e stenderò io tuo profilo psicologico. La signora che parlava con il tipo sovrappeso era magra come un'acciuga di quelle che mettono sulle pizze il sabato sera quando danno fondo alle scatole di acciughe che hanno lì da quando c'era la lira...epperò te le vendono in euro. Lei odiava il suo capo. Cavolo, ero nel supermercato dei paria vessati da capi. Era celiaca. Nel supermarket dov'ero c'era uno scaffale intero per celiaci. E ovviamente, in coda, non si ha niente da fare, esauriti i like sui social ( lasciamoli stare per un po', magari più tardi ci sembreranno tanti, anziché vederli volta per volta che sembrano sempre pochi-tranquilli, nessuno vi vuole bene lo stesso e pochi leggono veramente quello che avete scritto, già se mettete una foto è un like sincero che significa: grazie per non aver scritto niente e avermi mandato il cervello in pappa...che in molti non si capisce la differenza fra il prima e il dopo...il cervello in pappa), che si fa? Si chiacchiera amabilmente. Mi sono fatto una cultura sui celiaci. Non è una cosa da poco essere allergici al glutine. Praticamente devi cambiare passaporto...figuriamoci, un italiano allergico alla pasta! Ma se la chiediamo anche all'estero. Persino in Cina, la chiediamo ( trova l'assurdità di quest'affermazione e vincerai la mia stima...bè, è chiaro, non voglio mandarvi il cervello in pappa, i Cinesi hanno inventato la pasta!). Questa fa il paio con quel mio amico pugliese che per fare l'arguto disse:”a me quando parlo in dialetto mi capiscono persino in Spagna”. E certo, se sei pugliese e hai avuto i Borboni. C'è pure il caffè, Borbone, al mio supermercato. Insomma la signora la capivo e la misericordiavo, senza pietismi, quelli li lascio a Salvini mentre fa la spesa tricolore all'Esselunga. M'è scappata la satira, scusate, del resto Salvini, satiricamente , è una tautologia vivente. Guardavo la spesa sul nastro della cassa di una signora davanti a me: birra, olio per frittura, maionese, wurstel, hamburgers, patatine, fonzies( scusate, questa la debbo dire a latere...sapete quegli uomini che camminano sulle spiagge tutto muscoli e spalle larghe e faccia squadrata e sguardo all'orizzonte del vasto latifondo del globo terracqueo? Nelle mutande gli s'intravede un minuscolo fonzie e lui non saprà mai di essere una satira di costume, da bagno, appunto, vivente!), che a un certo punto ho detto, signò..e già mi ha guardato con sospetto, come, questo a Milano, mi chiama signò e non sciura? Uhmmm, sentono puzza di terrone. Signò, dico, a casa sua i trigliceridi si sono arresi per omeopatia?Non conosco questa malattia, mi risponde. E certo, che pretendo pure di essere capito?Cazzooo, ho dimenticato il dado, e come faccio senza dado? Già, penso io come farà senza dado. Se vuole dare un po' di sapore a questi cibi industriali, il dado, ci vuole, i dado è tratto. Ah, le urlo da dietro, “alea acta est? Tangenziale ovest, prego, è stata la risposta! I pazzi iniziano dove finisce la loro comprensione!

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    La mosca

    La mosca.Stavo azionando le mie ali mesotoraciche e ad un tratto entrai nel pronto soccorso di un he gli umani chiamano Milano. Mi posai su un banco della reception, come veniva chiamato dagli umani. Dietro al banco c'era una ragazza umana , giovane. Riceveva le prenotazioni di certi esami che vengono chiamati Risonanze Magnetiche. C'erano delle persone umane che dovevano fare questo tipo di esami... Altro...

    La mosca.

    Stavo azionando le mie ali mesotoraciche e ad un tratto entrai nel pronto soccorso di un he gli umani chiamano Milano. Mi posai su un banco della reception, come veniva chiamato dagli umani. Dietro al banco c'era una ragazza umana , giovane. Riceveva le prenotazioni di certi esami che vengono chiamati Risonanze Magnetiche. C'erano delle persone umane che dovevano fare questo tipo di esami per capire se erano malate o meno. Io strofinavo le zampine, ferma sul banco della reception, indisturbata. Mi stavo rilassando. Fuori stava arrivando l'autunno e iniziava a fare freschetto, lì dentro in quell'antro due piani sotto terra dove gli umani facevano le Risonanze Magnetiche, si stava bene. Una umana un pò anziana, curva, grigia di capelli, occhiali da vista, non sembrava sentire bene, stava parlando con la ragazza dietro il banco della reception. La ragazza urlava e ripeteva cose ma la signora anziana non sentiva. La ragazza sbuffava e commentava con la collega , un'altra ragazza umana seduta al suo fianco, che pizza, sti anziani, non capiscono niente. Ma la signora capiva tutto, solo che non sentiva bene. La ragazza ripetè che doveva togliere tutte le cose di metallo e le monete dalle tasche dei pantaloni e mettere tutto via. La signora aveva la gonna e disse non ho niente nella gonna. La ragazza ripeteva quelle cose 200 volte al giorno. Non vedeva l'ora di finire il turno e andarsene a casa. Sarebbe diventata vecchia e sarebbe stata trattata a quel modo, come una disabile. Che strano, questi umani, chiamano umane le loro reazioni, umani i loro sentimenti e dicono di noi mosche che facciamo schifo perchè ci posiamo sugli escrementi. Ma noi siamo pulite. Io per esempio ho raccolto un pò di gel caduto sul bancone della reception e mi sto strofinando le zampe. Gli umani stringono mani non lavate di uomini umani che hanno orinato se non peggio senza disinfettarsi le mani e si sentono puliti! Stringono le mani ad assassini, ladri, truffatori, che si sono disinfettati bene le mani e si sentono più puliti di noi mosche che voliamo su milioni di cadaveri prodotti da quegli stessi esseri umani che hanno, per inciso, cessato di essere umani. Si avvicinò alla reception un umano di pelle nera. Non parlava bene la lingua della ragazza umana dietro la reception. La ragazza umana disse all'umano nero di compilare bene un questionario e gli passò una cartella col questionario a cui rispondere, con una penna blu. L'umano nero compilò come potè il questionario di cui non capiva alcune cose e si avvicinò alla ragazza umana dietro la reception per farsi aiutare. Vi abbiamo aiutato già abbastanza a tenervi qui con noi, disse la ragazza umana dietro alla reception. Interessante, pensai, gli umani non si considerano uguali, ma tendono a distinguersi per colore. Noi mosche non abbiamo questo problema, perchè siamo tutte nere ed è questo forse il motivo per cui quando si vede una mosca bianca ci si meraviglia. Ma non per questo cessa di essere mosca. Noi quando vediamo una mosca bianca ne esaltiamo le sue virtù. Tra gli umani non sembra essere così, quando vedono umani di altri colori ne esaltano i difetti. Che strani che sono gli umani. Si credono i padroni del mondo, credono di poter comandare su tutti gli esseri viventi, ma davanti ad esseri minuscoli come virus e batteri sono impotenti. Finii di riposarmi e volai via dalla reception, per i corridoi, libera e felice, nessun geco o lucertola in giro, nessun mio nemico naturale, tutti debellati dagli uomini per i quelli noi mosche non contavamo niente e potevamo essere schiacciate come mosche in qualsiasi momento. Gli umani ci hanno sempre odiato. Perchè ce ne siamo sempre state lì a guardare come gli umani avessero cessato di essere umani. In fin dei conti i bradipi erano più interessanti degli umani. Se ne stavano su un albero a mangiare foglie e scendevano dall'albero una volta alla settimana per fare i loro bisogni. Non avevano molto da dire quando ci avvicinavamo, se ne stavano perciò zitti. Per cui la scena era zitti e mosca. L'uomo era solo capace di farsi venire una mosca al naso e in alcune zone del pianeta negli anni '70, gli umani non facevano nemmeno sapere che temperature ci fossero a Mosca. Inoltre da bambini ci imitavano quando stavano in gruppo e bendavano qualcuno giocando a mosca cieca. Sono ridicoli, questi umani, ogni tanto qualcuno di loro si illude di fare la mosca cocchiera, ma dimentica che non si può avere il miele senza le mosche. Dio ha creato milioni di esseri viventi ciascuno con uno scopo, una funzione. Di noi mosche gli umani dicono che portiamo malattie. Ma non è vero. Noi siamo solo dei segnalatori, indichiamo dove ci sono malattie, non le portiamo noi. Noi potiamo ronzii, l'uomo porta urla, epidemie e bombe atomiche. Poi ad un tratta un uccello in volo mi ingoiò. Ora sono rinato umano. Sono in coda alla reception di un ospedale milanese, e devo fare una risonanza magnetica. Sul banco della reception c'è una mosca che si è appena posata. Avverto qualcosa di familiare. Poi qualcuno mi chiamò: "Siddharta Gautama?". Sono io dissi. Ha compilato il questionario? Chiese la ragazza dietro la reception. Non ancora, vorrei farmi aiutare, dissi. Vi abbiamo già aiutati sin troppo, disse la ragazza. Guardai la mosca. Avevi sempre pensato che la loro presenza indicasse epidemie. Fui contento di non essermi sbagliato.

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    Fra i miei domani

    E ti ho detto mille volte che non puoi restare; L'ho detto a me stessa attraverso di te, e sono stata ingiusta, anche con me stessa. La scoiattolina ne "La spada nella roccia" si accorse che Artù non poteva restare dopo che ormai lo desiderava già, ma non fu colpa sua, perché le sembianze di Artù erano quelle di uno scoiattolo qualunque quando accadde, mentre tu non eri uno qualunque fin dall'... Altro...

    E ti ho detto mille volte che non puoi restare; L'ho detto a me stessa attraverso di te, e sono stata ingiusta, anche con me stessa. La scoiattolina ne "La spada nella roccia" si accorse che Artù non poteva restare dopo che ormai lo desiderava già, ma non fu colpa sua, perché le sembianze di Artù erano quelle di uno scoiattolo qualunque quando accadde, mentre tu non eri uno qualunque fin dall'inizio, e io l'ho sempre saputo. Quindi, adesso? <<Per me va bene così.>>. Hai e abbiamo già detto abbastanza? Senza che sia successo nulla, le parole, e solo quelle, che peso possono avere? O sei follemente innamorato o niente. <<Io sono qua.>>. Non me ne faccio nulla. Una vita non la puoi cambiare cancellando il passato. Il passato è l'unico che resta com'è esattamente accaduto e, a volte, troviamo che le persone cambiano, altre, siamo fermamente convinti che non possano cambiare mai, e a volte vale l'una, altre l'altra, a volte accade, altre no, tranne il passato. <<Se non sei amore, niente, neanche un'emozione>>.<<Ma l'amore non si dice soltanto, accade, ti stravolge e un desiderio diventa il tuo "dentro di te">>.<<Cosa c'è dentro di te?>>.<<Tu>>.<<Solo la sera, negli spazi angusti e reconditi che restano nella tua giornata>>.<<Nei momenti in cui vorrei accadesse con te. Mi addormento così, sognandolo>>.<<E non capisco più esattamente chi sono io e chi sei tu, se prima i desideri appartenevano solo a te, perché io non mi nutrivo di niente che fosse meno di un amore totale e completo>>.<<Perché il mio amore è imperfetto? Io ho bisogno di presenze, odori, sguardi, strette allo stomaco, respiri bloccati che si riprendono solo con mille baci>>.<<Ma questo non può accadere>>.<<L'amore accade, se lo vuoi>>.<<Così, con le nostre vite incasinate, non posso>>.<<La pena la conosci>>.<<Devo perderti, non ho altra scelta>>.<<Non mi oppongo, a te la scelta>>.<<E se torno indietro? Avremmo un bacio in sospeso>>.<<Potremmo ritornare, tu decidi. Più di un bacio e allora dovrai abbandonarti tu a me>>.<<Non potrei mai>>.<<Allora non tornare. Se non puoi amarmi, non tornare>>.

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    Le quattro categorie

    Il mondo si divide in quattro categorie: quelli che rompono le palle, quelli che si rompono le palle, quelli a cui rompono le palle e quelli che rompono le palle perché gli rompono le palle.Almeno una volta nella vita, tutti noi facciamo parte di queste categorie e anzi, molto spesso, saltiamo da una all'altra quasi senza rendercene conto. Questo è sempre stato il mio pensiero su come andassero ... Altro...

    Il mondo si divide in quattro categorie: quelli che rompono le palle, quelli che si rompono le palle, quelli a cui rompono le palle e quelli che rompono le palle perché gli rompono le palle.

    Almeno una volta nella vita, tutti noi facciamo parte di queste categorie e anzi, molto spesso, saltiamo da una all'altra quasi senza rendercene conto. Questo è sempre stato il mio pensiero su come andassero le cose nel mondo e niente poteva farmi cambiare idea.

    Esisteva però anche una quinta categoria, quella di cui speravo di far parte, quella che conteneva solo pochi eletti in confronto all'enorme numero di persone che popolavano le prime quattro: la categoria delle persone che non rompono le palle. M’impegnavo quotidianamente per non essere un rompipalle ma, in numerose situazioni, questo mio sforzo risultava vano e allora finivo per rompermi le palle, rientrando così a pieno titolo nella seconda categoria.

    Per dirla tutta, finivo di frequente anche nella terza categoria. E già, la non facile condizione di non rompipalle espone alle vessazioni e ai soprusi di grandissimi rompipalle i quali, profondamente innamorati della loro categoria, fanno di tutto per rimanervi attaccati. Un membro della prima categoria ha bisogno che il resto delle persone si accorga della sua esistenza perché si nutre di quello e vive per quello, se passa inosservato, viene a mancare la legittimazione del suo essere rompipalle da parte di chi non lo è. Da lì, l’escalation è un attimo. Ti rompono le palle, ti rompi le palle perché ti rompono le palle, rompi le palle perché ti rompono le palle, diventi un rompipalle. Preciso, pulito, neanche te ne accorgi. Una volta innescato il processo, c’è ben poco da fare, la strada è tracciata e non si torna indietro. Lo senti, lo percepisci che le cose stanno cambiando, in giro le facce hanno sguardi diversi, la pizza è meno saporita, i tuoi amici fanno cagare, inizi a vedere cessa anche Ornella Muti. Sì, proprio lei, Francesca Romana, quella che da brufoloso adolescente osservavi davanti al letto prima di addormentarti. Come dicono nei film americani, ci sei dentro fino al collo, stai a galla in un mare di rottura di palle che da tanta parte dell'ultimo orizzonte il guardo esclude, in un rigurgito di leopardiana memoria che in quanto a rottura di coglioni non è secondo a nessuno.

    Perché in quei casi viene in mente Leopardi e non Montale, perché? No dico, in confronto, se proprio è inevitabile rompersi le palle, molto meglio meriggiare pallido e assorto presso un rovente muro d’orto.

     Vuoi mettere Giacomo con Eugenio? Leopardi, una vita di merda a Recanati, brutto, gobbo, malato, muore a 39 anni che sembra ne abbia il doppio. Montale, belìn, nasce a Genova ed è certamente sampdoriano, con quella faccia da nonno buono, senatore a vita, premio Nobel per la letteratura nel 1975, come fai a non amarlo.

    La sfida poetica, determinata dalle incrostazioni del liceo classico, aveva un terzo incomodo, l’inventore di neologismi più famoso d’Italia, il Vate Gabriele D’annunzio. Le simpatie verso il poeta pescarese erano dovute non tanto al fatto che fosse fascio, cioè l’estremo opposto alle mie idee politiche, quanto alla creazione dell’acronimo Saiwa, il marchio dei miei fedeli biscotti della colazione e alle lodi tessute verso il Nepente, Cannonau rosso rubino dal gusto intenso, ottimo per le carni alla brace.

    C’era poi quel verso finale, quello che conclude “La pioggia nel pineto

    «Piove su le nostre mani

    Ignude,

    Su i nostri vestimenti

    Leggeri,

    Su i freschi pensieri

    Che l'anima schiude

    Novella,

    Su la favola bella 

    Che ieri 

    M'illuse, che oggi t'illude, 

    O Ermione»

     

    I vestimenti leggeri ricordavano “quella sua maglietta fina tanto stretta al punto che m’immaginavo tutto”. Fina e non Fila, come per anni aveva pensato e cantato. Lì, descritta in una sintesi folgorante, c’era la fotografia della mia storia con Giulia, una favola bella che mi aveva illuso e che ancora continuava a illudermi con rabbia.

    A pensarci bene, che cavolo c’entra tutto questo con le cinque categorie del mondo? C’entra e pure parecchio. Durante la nostra breve storia, avevo scritto numerose poesie, parola grossa, io le chiamavo “stronzate” e a Giulia erano piaciute, la facevano sentire importante, amata, viva. Avevo trascritto le migliori in un quaderno intitolato “Storie dell’allegra tristezza” e un giorno, con le mani tremolanti, trovai il coraggio di regalarglielo.

    La sua preferita era “Il tempo senza tempo

    «Mentre la risacca accarezzava la spiaggia

    La tua testa si poggiò sulle mie ginocchia

    Vidi allora come mai prima

    L’immenso del tuo sguardo

    Trapassarmi i sensi in un solo momento

    Il tempo diventò senza tempo

    E tutto il resto intorno

    Scomparve»

    La nostra relazione non durò molto. Senza rendermene conto, mi trasformai in un rompipalle seriale e un bel giorno Giulia, satura di tutto, mi mandò a fanculo. Troppi punti di attrito in un rapporto costellato da silenzi che cercavo di forzare nei modi meno opportuni, gli unici che allora conoscevo, gli unici che avrei dovuto evitare. Ma il sentimento no, quello era enorme, totale, entrambi eravamo l’uno per l’altro la metà mancante, perché noi non c’eravamo conosciuti, c’eravamo riconosciuti.

    A distanza di quasi cinque anni, le nostre vite navigavano senza bussola. Giulia entrava e usciva da storie senza presente e futuro con un bisogno d’attenzione e d’amore mai soddisfatto appieno, io mi trascinavo dentro un rapporto sgualcito fatto di arrivi e partenze. Volevamo trovare la felicità consapevoli che stavamo facendo di tutto per allontanarci da essa.

    Quella sera di giugno, dopo l’ennesimo litigio fatto di accuse e scuse senza ritorno, decisi di evadere da una gabbia sempre più stretta e soffocante. A costo di sanguinare, dovevo rimediare agli sbagli di una vita. Chiamai Giulia per un appuntamento e lei accettò senza che io dovessi insistere.

    Ci sono strade che conducono alla salvezza o alla perdizione o, più banalmente, strade che avvicinano e altre che allontanano. Quelle che mi conducevano verso il palazzo di Giulia erano senza tempo, immutabili nel loro fluire di emozioni mai sopite. Bruciando un rosso e due stop, fui capace di compiere un’impresa: arrivare in orario all’appuntamento, io che ero il re dei “cinque minuti”.

    Giunto davanti al suo portone, citofonai due volte, come sempre. Giulia scese in un attimo, vestita con dei jeans chiari e una camicia in seta bordeaux, senza trucco e una massa di ricci indomabili.

    Quando fu di fronte a me, fece partire una sonora cinquina che si stampò sulla mia faccia, aggiungendo al gesto: «Sei stato uno stronzo!». Poi mi baciò, stringendomi con passione. Dopo anni passati a ricostruire certezze distruggendo ricordi, potevo di nuovo sentire il respiro di Giulia, il suo profumo, accarezzarla.

    «E con Marco come farai?», le chiesi esterrefatto e anche piuttosto indolenzito. Le dita di Giulia erano lunghe e affusolate, ottime per il basket e per creare un evidente rossore.

    «Che si fotta!» replicò Giulia e mentre pronunciava quelle parole, un sorriso da fossette e denti le illuminò il viso.

    Da grandi rotture scaturiscono grandi rinascite. Il problema è che nessuno sa quando è arrivato il momento giusto per rompere e soprattutto quando ci sarà la rinascita. Tutto è avvolto dal caso, da circostanze inattese che mutano il corso della vita e portano a prendere decisioni impensabili e assolutamente vitali per la sopravvivenza.

    Entrambi alla ricerca di un imprevisto per colmare il vuoto che ci soffocava, quella sera, poi diventata notte, avevamo provato un’emozione quasi dimenticata: la sensazione di sentirsi vivi.

    In poco più di un anno, ci siamo sposati e poi, è nata Eleonora. Da quando il Covid se l’è portata via senza nemmeno un saluto, vivo nella seconda categoria, quelli che si rompono le palle e non ho alcuna voglia di cambiarla.

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    DUE TIRI IGNORANTI

     DUE TIRI IGNORANTIPoi ti osservi intorno, noti che sei oltre la linea dei tre punti e che quel tiro lo devi prendere perché è tutto tuo. Sai benissimo che la tua percentuale è ridicola ma intorno non c'è nessuno e in fondo ti sei rotto di non aver fatto ancora un punto. La tecnica di tiro è rivedibile però il movimento è buono e la palla, seguendo una parabola pressoché perfetta, toc... Altro...

     

    DUE TIRI IGNORANTI

    Poi ti osservi intorno, noti che sei oltre la linea dei tre punti e che quel tiro lo devi prendere perché è tutto tuo. Sai benissimo che la tua percentuale è ridicola ma intorno non c'è nessuno e in fondo ti sei rotto di non aver fatto ancora un punto. La tecnica di tiro è rivedibile però il movimento è buono e la palla, seguendo una parabola pressoché perfetta, tocca leggermente il ferro per poi entrare docilmente dentro il canestro. È andata, hai messo una bomba da tre! Lo stupore è tanto, forse più dei compagni che non avrebbero scommesso un centesimo sul buon esito del tiro. La partita prosegue, cerchi di essere utile, diciamo di fare meno danni possibili, marchi il tuo uomo, piazzi blocchi, qualche buon rimbalzo, alcuni assist. Poi, come un déjà vu, ti arriva un passaggio e ti rendi conto di essere nuovamente al di là dell'arco dei 6,75, con il canestro proprio di fronte che sfida la tua mano a tentare ancora una volta. Sai che puoi farlo e in fondo non t'importa di sbagliare, hai acquistato credibilità nei confronti degli altri, un errore sarebbe perdonato con benevolenza, in definitiva tutto gioca a tuo favore. Ci pensi giusto il tempo di essere il più coordinato possibile e lasci partire il tiro. Leggera sospensione, braccio esteso, polso spezzato, non avresti potuto fare di meglio anche perché non sai fare di meglio. 

    La palla sale, sale e poi scende, scende, scende dolcemente dentro la retina senza neanche sfiorare il ferro. 

    Incredibile, l'hai fatto un'altra volta! 

    Ormai gli altri ti guardano come fossi un giocatore vero e dentro di te, da qualche parte, quel giocatore esiste ancora, è solo imprigionato in un non luogo dei ricordi, bloccato da decenni d'inattività causati dalla pratica di uno sport dove tu sei l'unico che gioca usando le mani. 

    La partita prosegue, la tua squadra vince, puoi dare il cinque a tutti a testa alta, hai messo due bombe da tre, gli dei del basket hanno voluto farti rivivere le emozioni di quando saltando toccavi il ferro, avevi i capelli neri e tutte le parti del corpo ancora integre. 

    Esci dal campo per un meritato riposo e inizi a metabolizzare l'accaduto per arrivare alla conclusione che alla tua età, puoi ancora stare dentro un campo di basket senza suscitare l'ilarità di compagni e avversari, facendo cose semplici e, ogni tanto, qualche tiro ignorante. Hai giocato col ricordo e la memoria ti proponeva azioni che il tuo corpo aveva dimenticato. Non ti è rimasto che accettare la sfida perché solo così avresti saputo se saresti uscito vincitore o sconfitto. Hai giocato a basket e ti sei divertito di più che in un anno di calcio. La sensazione è stata la stessa che provavi quando da ragazzino prendevi la palla e andavi al campo sotto casa, si facevano le squadre e si giocava fino a che non calava il sole. Le caviglie pulsano, i quadricipiti trasudano acido lattico, è ora di andare via. Sai che dovrai usare il ghiaccio e molto probabilmente un antidolorifico però non te ne frega niente, assapori ogni dolore e sei contento così, ti sei sentito vivo, tutto il resto passa in secondo piano, ti sei sentito vivo. 

    Raccogli il tuo pallone, prendi lo zaino, ti togli la replica dei Sixers del 1983 e saluti tutti. Sali in macchina e punti verso casa col pensiero che tua moglie, come al solito, ti farà un mezzo casino perché sei andato al campetto. Ma chi cazzo se ne frega, hai segnato due bombe da tre giocando contro dei ragazzini, l'ascolterò, le farò un sorriso e andrò a farmi una bella doccia. 

    Che se ne vada tranquillamente a fanculo!

    Su un campo di basket si dimentica tutto, il dolore fisico, le ansie di una vita in salita, le domande senza risposta, i ricordi opprimenti di sensazioni perdute, ogni cosa sembra prendere una dimensione diversa perché sei tu, la palla e il canestro e loro non ti giudicano, non ti criticano, non fanno inutili polemiche. Se entra hai fatto bene, se esce hai sbagliato, semplice, chiaro, netto, nessun significato nascosto, nessuna ulteriore interpretazione, nessun possibile fraintendimento. 

    Il basket è terapeutico a costo zero, non ha bisogno di ricette e, soprattutto, non causa effetti indesiderati per sovradosaggio. A volte crea dipendenza ma niente che poi si abbia paura di nascondere alla guardia di finanza o che possa determinare una diminuzione di punti sulla patente.

    Il basket non è un gioco, il basket è vita.

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    A noi, solo il passato

    Probabilmente, quando certe cose accadono, si dovrebbe solo pensare a come venirne fuori il prima possibile, per non sentirsi intrappolati lì dentro, non soffocare in un passato senza futuro, senza alternative o vi d'uscita. A loro la vita ha riservato buon tempo, tempo sufficiente per vivere bene, godere degli attimi felici e accorgersene solo dopo, tanto erano impegnati a viverli. Loro avranno ... Altro...

    Probabilmente, quando certe cose accadono, si dovrebbe solo pensare a come venirne fuori il prima possibile, per non sentirsi intrappolati lì dentro, non soffocare in un passato senza futuro, senza alternative o vi d'uscita. A loro la vita ha riservato buon tempo, tempo sufficiente per vivere bene, godere degli attimi felici e accorgersene solo dopo, tanto erano impegnati a viverli. Loro avranno un posto che chiameranno casa, che affaccerà sui giardini residenziali o sulla via trafficata del centro o sulla viuzza di campagna con le colline sullo sfondo, che si illuminano di tutti i colori che il giorno e la notte portano con sé e con le stagioni che scandiscono  gli anni. Loro supereranno mano nella mano le difficoltà che affolleranno di tanto in tanto i loro giorni, dalle più stupide a quelle più serie, ricordando l'accaduto davanti ad una tazza di cioccolata o tè al tavolo del bar di una capitale europea o, chissà, in America: il grande sogno che diventa realtà. Non avresti voluto andare in America? Andare per scoprire ciò per noi sarebbero stati nuovi mondi, tutti i mondi che avremmo potuto essere insieme: sul letto dell'albergo ad assaporare caramelle e torroni, niente che non abbia un dolcissimo sapore e che non sia caramellato. Sgusciare fuori il naso dalla finestra e accorgerci che da pochissimo a iniziato a nevicare e le lucine sui davanzali delle finestre stanno prendendo vita e i camini sono più vivi che mai; Chissà se vi sono ancora spazzacamini laggiù. Quale sarebbe stato il luogo che avresti scelto per scartare il mio regalo per te? Il simbolo del per sempre fra le tue mani avrebbe preso a roteare tutt'intorno e ti si sarebbe posato luminoso sul dito, con te incredulo e immobile per lo stupore. Saremmo saliti sulla prima giostra con i cavalli e non avremmo smesso di guardarci neanche per un secondo. Avremmo fatto a gara per scaldarci le mani e davanti a un fuoco scoppiettante ci saremmo sciolti come neve: il fuoco è il Sole della notte, d'altronde. Davanti alla solita panchina, anche noi avremmo riassaporato ogni attimo dei nostri momenti magici, avremmo riso e non mi sarei mai stancata di tenerti per mano, anche se erano le mie mani a venire trovate sempre per prime. E poi avranno dolci perfino le parole ogni volta che qualcosa non andrà, per ogni momento di felicità, qualcuno di essenziale con cui proseguire sicuri: qualcuno che li protegga sempre nel modo unico in cui sa fare l'amore. Per noi, solo ricordi, carissimo Fritz; Per me, solo speranze infrante. Ti ho visto cedere solo con me accanto, solo per un attimo e poi mai più, neanche quando non potevi sentirmi. Ti ho visto andartene senza lasciarmi mai, che credo sia il modo più doloroso di non potersi avere: non perdersi senza potersi avere mai. Mi hai sentita chiudermi la porta alle spalle certo che presto, prestissimo, l'indomani, sarei ritornata, mi avresti avuta con te, come il giorno prima, ma dopo quel giorno, tutto si è riempito di forse e di mai, con me che mi aspettavo di vederti io alzarti e venirmi incontro: che l'impossibile potesse farsi realtà. Ho perduto il cuore e la spensieratezza, che è tutto per chi aveva vent'anni come noi. Li avremmo inseguiti fino a riprenderceli di nuovo, con qualche anno di più, anche dieci, forse un po' ammaccati dalla stanchezza di chi lotta e non sa se ne uscirà, ma certi che sarebbe arrivato ancora Natale, anche per noi. Un peluche fa sempre Natale; Fa sempre freddo, quando non sei accanto a me, forse è per questo che me ne hai regalati, perché ti avessi accanto quando sapevi che non avresti potuto esserci. E ti ho tenuto accanto, ti ho sempre avuto con me. Molte cose non si realizzeranno mai, ma basta davvero anche un solo Natale perché possano tornare ad esserlo tutti gli altri. Non è il fatto di perdere, è che quando vedi l'amore fare i bagagli e andarsene per sempre, con te appoggiato alla porta, che resti a guardare e non puoi fare altro, capisci che ti sta' chiedendo di rinunciare, di smettere, di fermarti, perché per voi non ci sarà più nient'altro, e questo mi smonta, in infinitesime particelle di me, che non torneranno insieme e non daranno più "me stessa" senza di te. Per questo è importante donarsi l'infinito, perché possa continuare a vivere quando niente ti sembrerà essere una buona ragione per farlo e alla vita non potrai dire di no, perché lei proseguirà inarrestabile. E chissà, chissà se in fondo il Natale non eri tu, e così ritornerai.

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    Storm

    Un saluto che dura giorni, il desiderio infinito che dura anni; Lo sa il cielo.<<Non si amano, si vogliono solamente. Per provarsi, per sentirsi adolescenti insieme, per una sola volta. E allora si inseguono, poi si allontanano, poi si cercano ancora ma non accade niente. Si difendono, l'una dall'altro, l'uno dall'altra: si perdono. Un unico desiderio: il riflesso del mai vissuto consumato a... Altro...

    Un saluto che dura giorni, il desiderio infinito che dura anni; Lo sa il cielo.

    <<Non si amano, si vogliono solamente. Per provarsi, per sentirsi adolescenti insieme, per una sola volta. E allora si inseguono, poi si allontanano, poi si cercano ancora ma non accade niente. Si difendono, l'una dall'altro, l'uno dall'altra: si perdono. Un unico desiderio: il riflesso del mai vissuto consumato a poco a poco al cospetto della vita di ogni giorno e ad ogni passo non si corrono mai incontro, ma resta sempre qualcuno a sorvegliare il ricordo di quel che avrebbe potuto essere; Chissà se si vivranno mai, se avranno il coraggio di smontarsi le vite che si sono cuciti addosso alla perfezione - loro credono -, ma l'una sembra sentire freddo e l'altro ha uno spazio libero nell'interno della sua giacca, fra gli occhiali e il cuore>>. 

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    Time

    Tre mesi non ancora, ed eccoti ritornare. Si torna sempre dove ci si è sentiti bene, dove si è stati amati, anche solo per curiosità. Sapevi di avere incontrato "una da cui non si torna più indietro". Quando siamo davvero lontani, una lancia qualunque cosa che possa reggere e l'altro ci si aggrappa, stretto, perché quello che chiamavi niente è qualcosa, che ci piaccia o no. Saremo lontani pe... Altro...

    Tre mesi non ancora, ed eccoti ritornare. Si torna sempre dove ci si è sentiti bene, dove si è stati amati, anche solo per curiosità. Sapevi di avere incontrato "una da cui non si torna più indietro". Quando siamo davvero lontani, una lancia qualunque cosa che possa reggere e l'altro ci si aggrappa, stretto, perché quello che chiamavi niente è qualcosa, che ci piaccia o no. Saremo lontani per sempre, e sempre troveremo il modo di restare abbastanza lontani, ma visibili, che ci si  veda a vicenda. Il pianeta Terra è rotondo ma il mare unisce, a noi unisce: avrebbe dovuto separarci e invece per me e te non funziona così. Ci sei dentro anche tu; Ognuno la sua astronave marina, ognuno fra le sue bolle. Ti aspettavo, sì, ed ero felice e non dovrei, dovrei essere arrabbiatissima, ferita e avrei dovuto voltare pagina, mille pagine. Avrei dovuto trovarmi almeno al capitolo 19, quasi a fine libro, e invece sono solo all'inizio, con te sono sempre all'inizio della mia personalissima fine. Probabilmente non significherà niente, e forse per te è soltanto una prova, o solo curiosità... o? Non seguirà nient'altro, solo altro tempo, che non condivideremo. Ero serena, perché così potevo sognarti, adesso non posso più farlo perché so per certo che se ti desidero forte tu spunti, tu spunti qui in un baleno, e a noi non è permesso neanche l'ultimo giro in vespa, l'ultimo abbraccio o la prima confessione occhi negli occhi perché tu ancora non hai capito chi sono, e nonostante tutti i tuoi casini, vorresti e questo non è proprio possibile. Noi non siamo possibili. Volevo solo starti accanto, eri il mio nuovo casino e avrei voluto prendermi cura di te, ma questo non è possibile. E' stato come un sogno, e sta' per arrivare la mezzanotte e tu dovresti andar via, dovresti ritrasformarti in un bellissimo rospetto e non mandarmi più neanche un segnale del tuo ritorno. Resterai per sempre il mio casino preferito, anche se adesso che è estate sono tentata di dedicarti una canzone e anche di... No, non è possibile, non posso fare più nulla. Adesso posso andare via ancora, posso lasciarti a te stesso e alla tua vita, riprendere il largo. Grazie per essere passato di qui. Ti ho aspettato a lungo, a lunghissimo e non ti potrò scordare, però vai avanti; Io l'ho fatto. Resta solo se hai imparato come si fa ad amarmi, come ti ho amato io: completamente.

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