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    quarantadue

    Il freddo mi pungeva l'interno delle narici. Mi sfregai il naso con violenza, facevo sempre così per far andare via il gelo. Una ragazzina snob mi guardò con sdegno. Bambinetta del cazzo, le feci un versaccio dei miei, e quella scappò. Mi incamminai compiaciuto, stavolta la parte del maiale mi era venuto proprio bene. Era uno di quei versacci che avrebbero fatto ridere Ingrid. Sono convinto che... Altro...

    Il freddo mi pungeva l'interno delle narici. Mi sfregai il naso con violenza, facevo sempre così per far andare via il gelo. Una ragazzina snob mi guardò con sdegno. Bambinetta del cazzo, le feci un versaccio dei miei, e quella scappò. Mi incamminai compiaciuto, stavolta la parte del maiale mi era venuto proprio bene. Era uno di quei versacci che avrebbero fatto ridere Ingrid. Sono convinto che buona parte dei suoi clienti siano tali per la sua quinta di reggiseno e nient'altro. A dire il vero neanche a me dispiace. Rimuginando e facendo pensieri sporchi sulla cameriera del Crown ero già di ritorno al mio appartamento.«casa dolce casa!» mi venne da ridere. Che posto di merda.«neanche stavolta hai pulito le zone comuni! Non so più come dirtelo Edward, dobbiamo collaborare. Collaborare!» mi aggredì così Francis senza neanche farmi vomitare una parola. Ma cosa credeva quel perfettino? Che se avessi sistemato tutta casa sarebbe diventata una reggia? Avremmo fatto una vita da principi? Il sangue mi arrivò alla testa e sbraitai«da dove esce questo caratterino? Torna lavare i piatti da brava mogliettina» risi e mi chiusi in camera.«reagisci sempre così! Quando ti mettono di fronte qualcosa che ti fa paura ti incazzi, e sfoghi tutto sugli altri. Sei un frustrato Edward!» strillò Francis battendo i pugni contro la porta marcia. Non ci badai. Si sarebbe calmato dopo una mezz'oretta come suo solito. Nel frattempo, mi sarei fumato una cicca, la trentanovesima del giorno. Non perché le contassi, tutt'altro, le fumavo senza badarci, mi aiutavano a smaltire lo stress. Ma sapevo che quella era la trentanovesima sigaretta perché ne avanzava solo una nel pacchetto.«devo uscire a comprare le sigarette» dichiarai a voce piena. Come fosse un fatto di stato. Francis mi guardò con gli occhi languidi, e portò le braccia conserte a snodarsi, e ad appoggiare una mano sul fianco e l'altra con l'indice puntato verso di me e mi ammonì dicendo«ma quante ne hai fumate oggi? Ti verrà qualcosa un giorno, smettila una volta per tutte!» era tornato il Francis premuroso di sempre. La rabbia mi sbollì in un attimo. Gli poggiai la mano sulla spalla e sussurra nel suo orecchio«con questa sono quaranta, e fatti gli affaracci tuoi» sbattei la porta e uscii«tanto lo so che ti fa piacere che qualcuno si preoccupi per te sotto sotto!»Non ci badai. Quello stronzo credeva di conoscermi come le sue tasche. Peccato che le mie tasche sono da sempre state bucate. Altrimenti come mi sarei ridotto a vivere in quell'appartamento con lui? Dovrei essere stato matto da legare. Compra la mia stecca. Quella con la scritta verde al lato, come al solito, le più economiche. “Il fumo è un vizio non un lusso” dissi a me stesso come se fossi un estraneo a parlare con un io interiore. Camminavo lungo la solita stradina che puzzava di piscio, sembrava tutto normale, ma tra l'alternarsi di luce e ombra dei vecchi lampioni della strada, pusher, maniaci, e forse anche venditori di organi umani, notai una luce accecante, rossa. Bingo. Erano due anni che non ci entravo. Una donna uscì dal locale, aveva tacco a spillo su cui camminava male, una borsa rossa e rossetto sbavato, le feci un fischio e le urlai che era proprio una donna d'alto borgo. Ma sotto sotto mi fece tenerezza. Mi ricordava la mia ex moglie. Ricordo quando mi lasciò. Eravamo in cucina a lanciarci piatti, lei afferrò quello dalle venature dorate, forse la cosa più lussuosa che possedevano e me lo scagliò contro. Mi accusò di essere un fallito che giocava tutto a poker, "fossi almeno stato bravo" mi ripeteva. Ma io ero bravo, ero fottutamente bravo. E glielo avrei dimostrato, il sangue mi arrivò ancora alla testa. Il bingo sotto casa era un chiaro segno del destino che potevo avere la mia rivincita nella vita. Non che ci credessi, al destino dico. Siamo tutti delle merde, chi più chi meno. A qualcuno tocca la vita da signore, ad altri una vita di merda, letteralmente. Ma restiamo sterco, tutti noi umani. Tutto è causale, tutto è inutile. Il cuore mi batteva a mille, forse avrei potuto cambiare la mia vita in meglio. Entrai nel locale.

    Uscì dopo quattro ore piene. Avevo perso anche quei pochi dollari che avevo portato con me. Porto sempre tutti i miei soldi quando esco, sono più al sicuro con me che in casa. “Che posto di merda” dissi al mio vecchio io ubriacone. Trascinai le scarpe scollate fino a casa, aprii la porta, e Francis non c'era. Quel bastardo non era mai uscito di casa. Mai in due anni. Possibile che se ne fosse andato proprio adesso? Ora che avevo bisogno di una spalla su cui piangere. Ma cosa dovevo aspettarmi? Francis non era mio amico, anche se lui si considerava tale. Lo cercai per l'intero appartamento di quaranta metri quadri. Niente, si era dileguato. Ma tutte le sue cose erano lì. Che incosciente. Ora erano mie. Andai in camera sua, forzai il cassetto che teneva con un sigillo, trovai soldi, tanti soldi. Pensai subito che avevo un altra possibilità per vincere a poker. Sollevato lo scatolo con i soldi trovai una mia fotografia ingiallita. Ma cos'era un maniaco? La raccolsi con le mani che tremavano, girati la foto e con calligrafia elegante lessi«questi sono i soldi che non hai giocato a poker in questi due anni. Ho già sottratto il prezzo di tutte le stecche di sigarette che hai fumato.»Era uno scherzo? Chissene fotteva. Avevo guadagnato cinquecentoventisei dollari e trentacinque centesimi. Andai verso la porta, pronto ad immergermi nel mio mondo. Ma la porta era bloccata, come se fosse stata chiusa a chiave. Che strano, non avevo chiuso a chiave ne ero certo. Ma le mie chiavi dov'erano? Le avevo perse nel caos generale che avevo creato nella mia catapecchia.«karma» dissi sornione. Tanto nessuno poteva sentirmi, parlavo nuovamente al mio io sporcaccione. Ero tornato ad essere solo come un cane. Forse avrei dovuto pensare a prendere uno, di cane intendo. Sarei passato da essere solo come un cane, ad essere solo con un cane. Un gran passo avanti mi sembra. Risi di gusto. Tanto chi poteva saperlo? La solitudine mi piaceva, era l'unico modo che avevo di dar sfogo alla parte di me che più mi piaceva, quella vera e grezza, come un diamante. Ma a pensarci ero sempre stato solo, anche con Francis. Motivo per cui ero libero e rude anche con lui. Facevo uscire il meglio di me. Scartai la stecca di sigarette. Gettai la carta sul pavimento e afferrai una sigaretta, la quarantunesima, del giorno. Avvertì un vuoto in quel momento, come se mi mancasse qualcosa. Ma non era qualcosa di fisico, ma qualcosa di immateriale, ma non riuscivo a capire cosa. Passarono i giorni, e quel senso di turbamento aumentava, non toccai più una cicca da quel giorno. Mi ero addirittura scordato del mio vizio. Di tanto in tanto uscivo a fare la spesa, di solito se ne occupava Francis, era l’unico motivo per cui usciva di casa. Ma dove si era cacciato quel figlio di puttana? La casa mi sembrava più vissuta con tutto il mio casino trai piedi, ma più vuota. Paradossale. Che mi mancasse quel tipo strano? Dovevo cominciando a metterlo in considerazione. Un martedì pomeriggio tornai a casa dopo essere stato da Ingrid. Mi ero scolato una bottiglia di vodka da solo. Ero fradicio. Aprii la porta, e scoppiai a piangere.«dove sei? Perché mi hai lasciato con me stesso?»Gridai. Vidi la dirimpettaia che mi spiava da una tenda. E proprio da una tenda, spunto Francis.«sei sempre stato solo Edward. Tutto il resto è stato fantasia»«mi dici cosa vuoi da me? Io non avevo bisogno di nessuno. Ma tu. Con le tue attenzioni mi hai fatto credere di avere il lusso di non essere solo»«stare in compagnia è un vizio non un lusso, è come il fumo» ammiccò Francis.«ma come fai a sapere questa cosa che ho pensato? Tu, tu non c'eri»«io ci sono sempre stato, sono io quell’io sporcaccione. Ma da quando hai scelto di rigiocare lo stipendio a poker, il mio ruolo è finito, io ho fallito»«dimmi chi sei» Urali afferrando la lampada in vetro sul davanzale e puntandogliela gliela contro.«io sono l'ordine nella tua testa che non vuoi accettare, la premura che nessuno ti ha mai dato. Sono la parte buona di te»«spiegami perché hai fallito tu e non io» avanzai poggiando la lampada sul tavolo«Siamo una cosa sola Ed, abbiamo fallito entrambi. Tu sei ricaduto nella spirale che ti ha quasi portato alla bancarotta, io sono caduto perché mi sono lasciato calpestare da te»«puoi aiutarmi?» singhiozzai piangendo a dirotto«ma smettila di parlare da solo, sei folle?» intervenne la dirimpettaia con una risata sguaiata. La vecchia mi aveva distratto, rivolsi nuovamente lo sguardo di fronte a me, e Francis non c'era più.

    Quarantaduesima sigaretta.

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    Al bar per Pasqua…

    I parenti non sono ancora arrivati. Ho finito di mangiare. Mi sono già steso sul letto e ho fatto la mia pennichella. La mia controra è già trascorsa. Decido di vestirmi per andare a prendere un caffè al bar. Prendo un euro perché là costa solo un euro. Di solito c'è sempre qualcuno che cammina, che va o che viene sui due lati della strada principale,  che faccio sempre. Invece oggi è... Altro...

    I parenti non sono ancora arrivati. Ho finito di mangiare. Mi sono già steso sul letto e ho fatto la mia pennichella. La mia controra è già trascorsa. Decido di vestirmi per andare a prendere un caffè al bar. Prendo un euro perché là costa solo un euro. Di solito c'è sempre qualcuno che cammina, che va o che viene sui due lati della strada principale,  che faccio sempre. Invece oggi è festa. Rimango fino all'ultimo incerto e penso che forse anche il bar è chiuso. Intravedo che il ristorante accanto è chiuso. Ma poi vedo un uomo che entra nel locale. Affretto il passo. Mi metto la mascherina. Apro la porta. Saluto la barista. Ci rifacciamo gli auguri. Prepara il caffè.  Mi chiede se ho pranzato in famiglia. Le dico che ho mangiato troppo e che ho mangiato anche due fette di pastiera. Anche lei mi dice che ha mangiato troppo. Poi si mette a parlare con tre avventori di mezza età.  Dice loro che si è divertita con le amiche e ha riso molto la sera prima. Io non parlo con lei per conquistarla: è molto più giovane di me e io non ho più gli ormoni a mille; piuttosto parlo con lei perché mi sento a mio agio. Ma mi va bene anche sentire una conversazione altrui in sottofondo: anche questo è un modo per sentirmi meno solo. Probabilmente a lei non interessa niente di me, forse è così quasi sicuramente, ma ormai per lei conversare con i clienti è una abitudine, una prassi consolidata. Forse è una deformazione professionale, forse anche un modo per sapere i fatti altrui. Ma ha una funzione sociale definita la barista perché oggi ci sono tre avventori tra i 55 anni e i 65 anni molto probabilmente soli, senza compagne e senza più genitori, che durante le feste sentono ancora di più la solitudine, sentono la morsa della solitudine che stringe l'animo e lei sta conversando amabilmente,  li sta intrattenendo, mentre loro bevono una birra o qualcosa di alcolico, seduti ai tavolini. Io ho preso il caffè. Lei fa del bene. Rompe la solitudine delle persone. Picchetto un poco un dito sul bancone. Resto perplesso sul da farsi. Pago il conto. Dico che vado. Auguro buona serata. In fondo sono fortunato. Ho la mia famiglia a casa che mi aspetta. Al ritorno mi imbatto in un ubriaco che parla a voce alta e traballa, barcolla, poi continua imperterrito ondulato un poco. Lui è meno fortunato di me. Probabilmente è più solo. Ritorno a casa e i parenti non sono ancora arrivati. Ma noi li aspetteremo come aspetteremo Godot fino alla fine della serata. 

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    Perché vado sempre al solito bar?

    Sono in macchina con mio padre. Andiamo piano con la sua utilitaria datata. La vorrebbe cambiare, ma le concessionarie fanno attendere troppo e poi finché la macchina va lasciala andare! Per ora ha dato davvero pochi problemi. Abbiamo sempre speso poco per la manutenzione. Le strade sono quasi  deserte oggi che è Pasqua. I cretini sono sempre in giro. Anche stamani c'è chi va di fretta. Ma... Altro...

    Sono in macchina con mio padre. Andiamo piano con la sua utilitaria datata. La vorrebbe cambiare, ma le concessionarie fanno attendere troppo e poi finché la macchina va lasciala andare! Per ora ha dato davvero pochi problemi. Abbiamo sempre speso poco per la manutenzione. Le strade sono quasi  deserte oggi che è Pasqua. I cretini sono sempre in giro. Anche stamani c'è chi va di fretta. Ma dove corre? Sono le 8 di mattina ed è festa. Quali impegni improrogabili ha? Posso capire oggi solo se è un chirurgo chiamato per un'urgenza.  C'è uno con il Suv che sorpassa in linea continua su un dosso. Mio padre sfanala e protesta. Gli dico sempre di non inveire, di non fare gestacci perché in giro ci sono troppi delinquenti pronti a menare le mani e a dare in escandescenze. Poi se ci scappa il morto accade che si prendono una piccola pena per omicidio preterentenzionale, subito dopo sono fuori dalle patrie galere e trovano subito qualche cooperativa pronta a dare loro lavoro. Così vanno le cose. Capisco il recupero dei tossicodipendenti e degli ex carcerati, ma il lavoro agli altri? Dimenticavo che qui bisogna mettere la testa a partito e qui in Toscana so bene di quale partito. Io comunque continuo a essere per il partito del non voto e me ne frego. Ma è inutile lamentarsi. L'andazzo è questo, anche perché se fai un minimo di critica qui ti zittiscono tracotanti che qui si è sempre fatto così, che qui comandano loro, che da altre parti fanno peggio e che se non ti vanno bene come stanno le cose qui allora devi andare a vivere da un'altra parte. Cerchiamo una pasticceria a San Sisto, vicino a Riglione, perché mio padre vuole comprare una schiacciata di Pasqua. Prima ci fermiamo a metà strada in un bar. Mi fanno un cappuccino con troppa schiuma e poco latte. Molto probabilmente il barista è andato in tilt perché oggi ha troppi clienti da servire. Mio padre esce dal bar e commenta che nessuno comprerà quelle colombe ben in vista al modico prezzo di 34 euro sia perché c'è la crisi sia perché si trovano prodotti buoni anche nei supermercati. Rimugino tra me e me. Penso un poco. Sono un flâneur di provincia (di solito da Baudelaire in poi, passando per Benjamin e finendo per Maurizio Cucchi si intende di metropoli), anzi a onor del vero sono un  flâneur di quartiere. Vado a zonzo nel mio rione in mancanza di meglio, ovvero di un'occupazione. Ieri pomeriggio sono andato al bar solito. Sono ormai un cliente abituale. Avevo saputo che cercavano un/una barista. Ho chiesto informazioni a riguardo, ho saputo che vogliono persone con un minimo di esperienza e io non ho la benché minima esperienza come barista, anche se ho lavorato per alcuni anni come commerciante. Ho anche io le mie esperienze ma in altri settori. Niente di che. Niente di fatto. Anzi l'unico fatto assodato è che, come si dice in Toscana, sono nel dolore per quanto riguarda il lavoro. Alla mia età ormai sono tagliato fuori da tutto e da tutti. E non ho nessuno che mi raccomanda!  Ma cambio argomento. Sono stato nella mia giovinezza un poco viveur  e ora sono blasè, sono indifferente e quasi sazio di mondanità.  Addirittura oggi rifuggo i luoghi, i locali troppo affollati. Non mi piace la ressa, la calca. Non mi piace nemmeno l'affollamento. Quel bar che frequento abitualmente è il locale che mi si addice di più. C'è sempre qualcuno ma non è mai troppo pieno. Sono anche déraciné, non perché sia andato a vivere all'estero, non perché mi senta uno straniero in patria, ma perché sento che l'Italia è un Paese senza redini, senza capo né coda, ormai in preda ai banditi. Sono spaesato, smarrito prima di tutto a livello esistenziale. Non appartengo a niente, a nessuna comunità.  Non appartengo nemmeno a me stesso. Sono estraneo anche a me stesso. Ma tutto questo non è un dramma né una tragedia; è solo un mancato senso di appartenenza,  che non genera in me crisi esistenziali né crisi di identità. Sono troppo vecchio per entrare in crisi, salvo casi eccezionali.  Ho i miei genitori e mia sorella. Ho un mio amico con cui mi sento spesso per telefono. Mio padre mi chiede dove tira il vento. Rimaniamo così un attimo interdetti a osservare gli alberi. Poi gli dico di guardare la strada e di non distrarsi troppo mentre guida. Abbiamo trovato la pasticceria. Ha comprato la schiacciata. Oggi è Pasqua, verranno a trovarci i parenti che vediamo solo per le festività. Io non vedo l'ora di pranzare e poi prendere il solito caffè al bar. Diciamo che come barista non ho la minima esperienza ma come avventore mi conoscono e poi quel bar è l'unico della zona che è aperto tutti i giorni dalle 7 a mezzanotte. Io lo frequento il giorno. È un modo per fare una camminata, osservare e guardare attorno. Gli altri bar, quelli dell'ospedale, sono frequentati da gente di passaggio, da infermieri, impiegati, medici, dirigenti amministrativi. Nel bar che frequento io c'è l'umanità più varia; lo frequentano persone di tutte le età e di tutte le nazionalità. È un angolo di mondo in questo quartiere. Diciamocelo in tutta onestà: gli altri bar sono più da fighetti, vogliono essere per la gente bene e rispettabile. In molti   bar della cittadina  se ti fai una birra seduto ai tavolini non sei visto bene, anzi ti considerano male perché rovini la reputazione del locale. Allora molti sarebbero più coerenti se mettessero un'insegnante con la scritta: "non si somministra alcolici". Al bar dove vado io se ti fai una birra nessuno ti guarda in cagnesco, ma se uno va troppo su di giri allora la barista lo ferma e non gli dà più da bere: magari quando è ubriaco la manderà al diavolo ma da sobrio, una volta ritornato in sé, la ringrazierà in cuor suo. Il bar dove vado è anche il bar più economico del quartiere. È anche il bar dove c'è maggiore convivialità perché lì una barista parla volentieri con tutti i tipi di clienti, anche quelli occasionali o che vengono di rado. A volte mi ci metto a fare due chiacchiere anche io. Ho bisogno di tanto in tanto di sentirmi chiedere "come va?" dalla barista tra prendermi il caffè e pagare il conto e mi accorgo che non è convenienza sociale o una formula di cortesia stereotipata:  semplicemente sanno trattare i clienti con umanità. 

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    Darsi del lei, darsi del tu…

    Ai tempi del fascismo Mussolini abolì il lei. Voleva che tutti si dessero del voi perché il lei secondo il regime derivava dalla dominazione spagnola, mentre il voi derivava dagli antichi romani. Questa fu la spiegazione fornita, per quanto i linguisti abbiano discusso se ciò fosse corretto o meno. Il tu, il voi, il lei sono detti allocutivi di cortesia. Oggi il voi non lo usa più nessuno, tra... Altro...

    Ai tempi del fascismo Mussolini abolì il lei. Voleva che tutti si dessero del voi perché il lei secondo il regime derivava dalla dominazione spagnola, mentre il voi derivava dagli antichi romani. Questa fu la spiegazione fornita, per quanto i linguisti abbiano discusso se ciò fosse corretto o meno. Il tu, il voi, il lei sono detti allocutivi di cortesia. Oggi il voi non lo usa più nessuno, tranne un'esigua minoranza di sadomasochisti,  durante i loro giochi erotici. Dare del tu a un estraneo non è più una mancanza di rispetto. Dargli del lei non è più segno di rispetto. Se una donna mi dà del lei è solo per tenermi a distanza, per mancanza di una benché minima considerazione/attrazione, per trattarmi in modo freddo. Non c'è altra spiegazione di solito. Marco Masini cantava: "le ragazze serie non ci sono più. Ti toccano il sedere dandoti del tu". Naturalmente era una canzone scherzosa oltre che la testimonianza che Masini, essendo ricco e famoso, aveva visto un bel mondo. Comunque il lei in segno di deferenza è finito. Così come sono finiti i tempi delle signorine Gradisca. In principio gli esperti della convivialità e del neuromarketing decisero che i commercianti,  le bariste, i camerieri e le cameriere dessero del tu ai clienti per stabilire un clima informale, per farli sentire a loro agio, per fidelizzarli. La stessa identica cosa accade anche dal benzinaio. È un modo come un altro per stabilire un'atmosfera cordiale e far scattare l'istinto di acquisizione.   Il tu si è poi esteso a ogni ambito della società.  È diventato di moda. In alcuni settori il tu va saputo conquistare. Nel mondo universitario un semplice studentello deve dare del lei al professore e il professore gli dà del lei,  ma quando il professore dà del tu a un laureando, a un dottorando è una conquista, un atto di stima, un segno di vicinanza.  Tra giornalisti o tra professori, in genere tra colleghi si danno del tu. C'è anche un tu paternalistico/autoritario più che di vicinanza come tanti medici che non hanno mai visto un ottantenne e appena fa una visita da loro gli danno subito del tu. La barista del bar a cui vado di solito a prendere un caffè il pomeriggio mi dà del lei per tenermi a distanza e/o perché le sto antipatico e/o perché non mi considera attraente. A ogni modo ci vado perché il bar è economico, i prezzi sono bassi, il caffè è buono. Del fatto che mi dia del lei me ne frego. Ci devo prendere un caffè.  Non me la devo mica portare a letto! Di solito le bariste danno del tu ai clienti per la strategia razionale di cui ho scritto sopra. Se una barista dà del tu a un cliente molto più anziano può essere perché fa così con tutti ed è una prassi consolidata, ma può essere anche un segno di disponibilità sessuale in quanto cerca un padre negli uomini più anziani e non ha ancora risolto il conflitto edipico. I motivi insomma del lei o del tu possono essere i più svariati. Ci sono persone che veramente per rispetto ed educazione non riescono a dare del tu a certi altri. Ma al giorno d'oggi è una cosa estremamente rara e succede in mondi lavorativi dove vige l'autorità e la gerarchia. Sono finiti i tempi di "com'è umano lei " di Fantozzi. Oggi non solo sul lavoro tra dirigenti e sottoposti si danno del tu ma talvolta anche a scuola alcuni insegnanti si fanno dare del tu dagli studenti adolescenti. In realtà per legge bisognerebbe dare del lei a ogni persona maggiorenne. In pratica, almeno qui in Toscana, viene dato del lei a chi ci sta antipatico o a chi è una persona autorevole/rispettabile. Su Facebook si danno tutti del tu. Io inizialmente do del lei alle persone su Facebook per non essere troppo invadente, entrante né risultare maleducato. Inoltre do del lei sui social alle donne per non generare equivoci né dare segno di essere un molestatore. Ma capisco che se una donna mi dà del lei non è per educazione ma perché anche sui social vuole mantenere le distanze. Darsi del lei, dare del lei non è una forma consona all'amicizia, tanto meno all'amore. Mi viene in mente una raccolta poetica di Vivian Lamarque,  ovvero "Poesie dando del lei", dove il dolore si amalgama all'ironia.  La persona amata è il suo analista a cui è costretta suo malgrado a dare del lei. Il lei in questo caso è una modalità deontologicamente corretta, ma sentimentalmente è la prova che si è consumata un'altra ingiustizia d'amore per la poetessa. 

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    Ho solo bisogno di una birra…

    Tra i venti e i trent'anni andavo a caccia di ragazze. Ci provavo con tutte o quasi. Ogni scusa era buona. Gli approcci erano i più vari e disparati. Mi confidavo allora, senza entrare nei dettagli intimi, a un mio amico, gli raccontavo le mie delusioni sentimentali, i tanti rifiuti subiti, ma anche le mie conquiste. Le mie erano avventure da poco, ma non fraintendetemi, non lo scrivo in senso sp... Altro...

    Tra i venti e i trent'anni andavo a caccia di ragazze. Ci provavo con tutte o quasi. Ogni scusa era buona. Gli approcci erano i più vari e disparati. Mi confidavo allora, senza entrare nei dettagli intimi, a un mio amico, gli raccontavo le mie delusioni sentimentali, i tanti rifiuti subiti, ma anche le mie conquiste. Le mie erano avventure da poco, ma non fraintendetemi, non lo scrivo in senso spregiativo ma solo in senso diminutivo perché erano nella stragrande maggioranza dei casi sveltine in camporella,  nella macchina della malcapitata, in un angolo di strada poco illuminato, in un cortile di un palazzo, in una casa abbandonata e fatiscente, addirittura tra le fratte. Avvertivo il rischio, il pericolo di essere guardato, scoperto, punito per questi momenti frugali, per questi istanti dove il testosterone e l'adrenalina erano a mille. Qualche volta con più calma lo facevamo a casa mia quando non c'erano i coinquilini o a casa della ragazza quando non c'erano le coinquiline.  Talvolta c'era anche l'incognita delle affittacamere spilorce, moraliste che evadevano totalmente le tasse e non volevano ospiti nei loro appartamenti. Non vi venga in mente che fossi un playboy. Ero uno sfigato, che raccoglieva pochissimo rispetto a tutti i tentativi fatti. Ma per il calcolo delle probabilità qualcuna alla fine ci stava, perché le facevo pena, per pietà umana, per mancanza di opportunità migliori o anche solo per sfinimento. A ogni modo io ero sempre pronto con le sigarette e i preservativi nelle tasche.  Spesso in amore si tratta di cogliere l'opportunità,  il momento propizio, come scriveva Montaigne. Io allora Montaigne non sapevo neanche chi fosse, ma questo aspetto della vita  lo avevo ben presente, lo conoscevo abbastanza per esperienza.  Allora comunque avevo tutti i capelli e tutti i denti. Avevo meno scoliosi. Avevo le mie carte da giocare e sprigionavo energia da tutti i pori. Cercavo di avere più avventure possibili.  Non tenevo mica la contabilità.  Andavo a memoria. Rimuginavo sempre le mie fantasie erotiche, ero sempre alla ricerca. Pensavo che il mio problema con le donne un giorno si sarebbe risolto. Invece sono passati molti anni e sono punto e a capo. Sono forse lo stesso, solo invecchiato, inacidito e immalinconito. A quei tempi imitavo un mio amico di scuola, che da adolescente aveva diverse storielle.  Così io mi ero dato al libertinismo tra i venti e i trent'anni. Ero stufo di aspettare la mia ragazza ideale. Il mio amico con cui mi confidavo in realtà allora faceva il moralista, era represso sessualmente e forse mi invidiava. Era in lotta con sé stesso. Il suo era un combattimento interiore senza tregua probabilmente. Poi ci siamo persi di vista, abbiamo litigato per niente. Insomma erano quisquilie,  bagatelle. Lui concluse che eravamo troppo diversi e quando me lo disse mi rinfacciava il fatto che io andavo con troppe ragazze, che mi prendevo gioco di loro, che le prendevo in giro, che le sfruttavo. Due, tre decenni dopo lui è un uomo affermato professionalmente e io sono solo un disoccupato che per passare il tempo scribacchia nel web. Ho di che vivere per ora.  Per ora non muoio di fame. Ma nella vita al peggio non c'è mai fine. Adesso io è da un decennio che pratico l'astinenza sessuale. Negli ultimi dieci anni ho avuto solo due avventure. Non posso viaggiare perché non ho soldi per farlo. Non posso ospitare perché i miei non vogliono. Non ho la macchina perché sarebbe solo un costo ormai.  Sono troppo vecchio per andare in discoteca,  che tra l'altro ha anch'essa un costo. Quindi ormai le possibilità di conquista si riducono. Succede che io nei miei scritti accenni al sesso perché in fondo mi manca, anche se riesco a sopportare e a superare i momenti di crisi, che come tutti ho. Lui invece ha rinnegato il suo credo di un tempo. Non è più moralista. Gira il mondo in cerca di donne. Ha donne sparse per il mondo. Sono quasi sicuro che lui mi imita o meglio imita il me stesso di trenta anni fa. Ma io sono cambiato probabilmente sotto questo punto di vista. Io sono andato oltre.  Insomma non lo so se sono veramente cambiato o se fingo a me stesso, se il fuoco cova sotto la cenere. Oramai siamo ex amici. Non ci vediamo più da decenni. Abbiamo un amico in comune. Proprio quest'ultimo mi racconta di lui. Mi dice delle sue conquiste. Mi dice che addirittura filma nei momenti intimi le sue amanti. Una volta questo nostro amico in comune mi invia un suo filmato hard. Io cerco di desistere. La cosa non mi va. Non voglio vederlo. Ma la curiosità alla fine prevale, ha la meglio. Vedo che ha come protagonista una donna delle zone limitrofe di cui mi ero invaghito e che mi aveva rifiutato all'epoca. La cosa un tempo mi avrebbe ferito, forse nell'orgoglio più che nella sensibilità. Invece non rimango basito. Non sono esterrefatto. In definitiva sono solo fatti loro. Che vivano la loro sessualità come meglio credano! Mi raccomando con il mio amico che il filmato non venga diffuso pubblicamente perché la donna è sposata  e ha un figlio. Lui mi rassicura. Ma mi dice anche che la donna si eccita a farsi riprendere. Ribatto io che l'importante è che non venga diffuso, che è giustamente reato, che è perseguibile legalmente. Mi sento un imbecille ad aver accettato di vedere uno di questi filmati hard. Ma non sono minimamente ferito né deluso né depresso. Gli innamoramenti non corrisposti non possono essere considerati drammi. Considerarli drammi non dico che sia borghese: piuttosto è folle. Vengono considerati dei drammi solo dai giovani, ma da giovani come canta Guccini si ha la testa piena di balle. Ci si uccide per amore solo nei pessimi romanzi, dato che ci sono in giro antidepressivi molto efficaci. I drammi della vita sono altri, anche se le delusioni sentimentali fanno perdere tempo e sprecare energie. Poi penso di nuovo al sesso. Per Pasolini bisognava pronunciare cento volte la parola "sesso" per saperne il significato. Per Spencer il sesso era un trucco per perpetuare la specie. In ogni caso il sesso è un mistero. Esco fuori. È una bella giornata di sole. Il cielo è terso, limpido, libero, profondo, immenso. C'è solo una minuscola nuvola soffice e candida, che sembra fatta di panna. È primavera. Guardo i lavori alla scuola che procedono ininterrottamente. C'è un enorme braccio metallico che serve a pompare cemento, a fare gettate sul tetto. Passo la rotatoria. Imbocco una stradina. Ci sono due uomini nella strada fermi a guardare in alto il palazzo di fronte. Forse aspettano qualcuno. Forse guardano dei lavori in corso. Forse guardano un cane o un gatto su uno dei terrazzi degli appartamenti. Forse lì c'è una donna che esercita la più antica delle professioni. Forse si sono messi a guardare il cielo per chissà quale arcano motivo. Comunque non sono affari miei.  Forse uno dei due è un vecchio conoscente, ma lui non mi saluta, fa finta di niente e io tiro a diritto. È un imbarazzo reciproco che dura solo qualche secondo, giusto il tempo di passare e di togliermi d'impaccio. Il cielo oggi mi appare puro e incontaminato. Ammiro tutte le sue gradazioni di colore e mi perdo in quelle tonalità di azzurro. Ho ancora le braccia indolenzite e ho un leggero formicolio a esse perché sono stato troppo tempo seduto sul letto nella stessa posizione. Di solito trovo le solite persone, i soliti residenti, passeggiatori abitudinari oppure i soliti che portano il cane a fare un giro. Ma oggi non mi sono ancora imbattuto in nessuna faccia nota (sia ben chiaro che poi pur essendo note, viste di frequente, non le conosco e non mi scambio nemmeno la buonasera). Cammino perché mi fa bene alla circolazione, per sgranchirmi le gambe. Ma camminare è anche un modo per pensare tra me e me. Guardo di nuovo il cielo e penso per un attimo a quante impressioni e emozioni è riuscito a suscitare negli animi umani dalla notte dei tempi. Mi chiedo se il cielo riesce a evocare almeno delle sensazioni di stupore o delle emozioni estetiche/estatiche anche negli animali oppure se agli animali il cielo fa solo paura. Passo davanti agli uffici amministrativi della Sanità. Alcuni sono aperti al pubblico. In altri ci lavorano soltanto degli impiegati interni. Vedo che c'è gente che entra e che esce, che va e che viene. Ma non so minimamente chi sono i frequentatori occasionali e chi sono i lavoratori. In fondo non mi importa assolutamente. Tira vento. Domani il meteo dà la pioggia. Significa che questo vento porterà molte nuvole nere. Mia madre è andata dal parrucchiere oggi per evitare il brutto tempo, per evitare sorprese. Ma godiamoci il bel tempo di oggi. Vado al bar. Chiedo una spuma al cedro. La ragazza sta sistemando delle bottiglie d'acqua. Un avventore, suo amico, le dice che ha le guance rosse. È un momento tranquillo e sereno. La barista non ha voglia di parlare con me. Mi dà del lei, probabilmente per mettermi a distanza. Probabilmente le sto anche antipatico. Forse mi tollera a mala pena. Insomma se ne sta sulle sue o forse ha troppo da fare. Io non cerco di attaccare bottone, non cerco un pretesto qualsiasi per mettermi a chiacchiera. Vorrei solo dire alla barista che io sono un cliente che non cerca guai e che cerca di non dare problemi a nessuno. Guardo fuori dal bar le macchine che svoltano. C'è una ragazza che va di fretta, passa di lì. Ma io mi chiedo dove vada tanto di fretta se tanto alla fine l'attende la morte. Penso a Rino Gaetano e a un verso di una sua  canzone: "Penso che fra vent'anni finiranno i miei affanni". Tra venti, al massimo tra trent'anni o poco più saremo morti tutti o reggeremo l'anima coi denti. Allora che senso ha affannarsi tanto? Che importa amare o essere amati se siamo prossimi alla fine? Che importa vincere o perdere? Io sono qui in un bar e tra qualche anno morirò. Forse anche prima. Nella vita non si sa mai. Voglio bene ai miei cari che tra qualche anno moriranno. Forse anche prima. Tutto è destinato alla fine. Ma la morte come la vita non è uguale per tutti: dipende dal tempo e dal modo. Inutile a mio avviso cercare di affermare il proprio io o la propria vitalità.  È come essere un pesce fuori d'acqua che si divincola inutilmente nella rete. Non vi venga in mente che queste siano le divagazioni di un illuminato o una persona colta. Sono solo uno sfigato attempato e frustrato, ma cerco di dimenticarmelo ogni giorno e di non pensarci. Le donne possono pure farsi fottere da chiunque: ne hanno tutta la libertà.  Il mondo vada pure a farsi fottere anch'esso: io ho solo bisogno di una birra. 

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    Una camminata come le altre…

    C'è una guerra in corso in cui non si riesce a sapere quanti sono fino a ora i morti. Non piove in Italia. Il Po è in secca. L'acqua salata nel fiume più grande d'Italia è arrivata fino a Piacenza e gli agricoltori là hanno difficoltà a annaffiare. Se esprimi un'opinione sulla guerra sei un guerrafondaio o un pacifista da divano. Se scherzi sui social ti scrivono che è fuoriluogo perché di... Altro...

    C'è una guerra in corso in cui non si riesce a sapere quanti sono fino a ora i morti. Non piove in Italia. Il Po è in secca. L'acqua salata nel fiume più grande d'Italia è arrivata fino a Piacenza e gli agricoltori là hanno difficoltà a annaffiare. Se esprimi un'opinione sulla guerra sei un guerrafondaio o un pacifista da divano. Se scherzi sui social ti scrivono che è fuoriluogo perché di questo periodo c'è davvero poco da stare allegri. Bisognerebbe stare perennemente in silenzio, bisognerebbe stare serissimi.  Qualcuno potrebbe dire che ci vorrebbe "silenzio e astuzia". Ma tutto ciò finirebbe per essere una posa ipocrita e scomposta, un atteggiamento falso. Parafrasando Eliot potrei affermare che il genere umano non può sopportare troppa serietà.  La mente umana vuole distrarsi nell'arco della giornata dalla tragedia della guerra, dal dramma del popolo ucraino. Non si può stare sempre seri e compunti, anche se c'è poco da ridere e anche se sappiamo l'orrore del contesto internazionale.  Nel frattempo c'è chi ti rende edotto, chi ti dice da che parte stare in genere politicamente e poi nella vita. Non puoi nemmeno sceglierti una tua identità o dei nemici. C'è chi vuole importeli dall'alto. Come al solito, come sempre. Cammino. Arrivo al bar. Prendo un caffè.  Mi viene controllato il green pass dalla barista. C'è un gruppetto di avventori seduti al tavolino. Ridono, scherzano.  Una donna mi guarda un attimo, mi guarda il green pass che ho posato sul banco; forse vuole vedere le mie generalità, forse non sapeva darmi un'età,  forse era incuriosita da me, quindi saluta la barista poi prende la sua birra e se ne va mano nella mano con un uomo più anziano. Bevo il caffè.  Sono le 6 del pomeriggio. Non mangerò stasera. Ho mangiato troppo oggi a pranzo. Ho preso anche il digestivo. I miei genitori sono andati a fare un giro in centro. Hanno detto che era quasi deserto. È un problema anche avere un'attività commerciale di questi tempi. È proprio il caso di dire che con questi chiari di luna è difficile sbarcare il lunario, scusate il gioco di parole. Devo ancora leggere un libro di storia. È lì che mi attende sul comodino. Rimando sempre ogni giorno.  L'ho pagato solo 6 euro.  Ogni giorno scrivo qualcosa, anche se pochissimi leggono e ancora meno forse apprezzano. Scrivere per me oltre che una piccola testimonianza è anche un piccolo segno di vita. Scrivo le mie opinioni, le mie impressioni,  i miei piccoli pensieri. Non lasceranno un segno nella storia, nella cultura, ma sono miei e forse un giorno potrò raccoglierli e farli leggere a una donna o a un amico. Dopo la mia morte resterà solo mia sorella minore probabilmente e dei parenti lontani. Mia sorella mi ha detto che quando uno è morto è morto ed è inutile conservarne in alcun modo memoria. Molto probabilmente mi farò anche cremare per togliere definitivamente il disturbo. Ma forse tutto è inutile. È inutile ed è vanità scrivere. Così come è inutile ed è vanità pensare di avere gloria postuma. E poi che me ne faccio della gloria da morto? Trovo che la gloria e il successo ormai sarebbero inutili anche da vivi, ormai. La mia vita è stata insignificante,  io sono insignificante. Ma ricordatevi che solo pochissimi lasceranno una traccia duratura. Io non sono un illuso. Mi accontento di qualche raro istante di felicità. Da giovani si pretende la luna, mille orgasmi, mille ragazze. Arrivati alla maturità ci si accontenta di non stare male, di vivere anche una vita molto noiosa, ma tutto sommato un minimo tollerabile. Certo una mezza idea di farsi una bella ragazza si presenta alle volte, ma l'importante è accettare il grigiore esistenziale e riuscire a scacciare la malinconia. Continuo a camminare. Passo davanti lo studio della mia dentista. Ad aprile devo prendere appuntamento per la pulizia dei denti. Ho usato il colluttorio recentemente. Guardo i palazzi. Mia madre mi ha raccontato di alcune beghe tra condomini in quei palazzi, veri e propri dispetti. Per esempio alcuni condomini non hanno voluto pagare la luce delle scale e un'anziana claudicante è costretta a farle al buio la sera. Attraverso sulle strisce. I vicini sono sulla soglia di casa. C'è la vicina con sua figlia e il suo nipote. Ci salutiamo. Chiedo loro quanti anni ha il cane. Mi rispondono che ha 15 anni e ormai non ci vede più. La figlia non mi aveva mai visto. Mi dice di salutare mia madre. Ci congediamo. Suono il campanello. Mi viene aperto. Il mio lagotto mi accoglie festoso. È una sera come le altre. Il sole sta tramontano là oltre le  pale eoliche. Osservo i colori lividi che intristiscono con delle striature il cielo. Mi chiedo se queste pennellate violacee sono uniche o sono destinate a ripetersi. Non saprò mai se le cose sono destinate o meno all'eterno ritorno. Aspettavo  di nuovo una telefonata di un mio amico, ma è troppo impegnato col lavoro. Eravamo al telefono ma a un certo punto mi ha messo in attesa perché lo stava chiamando un cliente.  Poi ho dovuto interrompere la telefonata perché mio padre voleva il telefono.  Allora ho preso il mio cellulare e sono andato fuori. C'è la guerra, ma ogni tanto bisogna guardare avanti. La speranza è che finisca quanto prima. Penso ai lavori in corso dell'edificio davanti casa. A settembre deve essere pronto. Dovranno fare gli impianti e arredare ad agosto. Sarà intitolato a un poeta locale, di cui ho letto diversi libri. C'è una guerra in corso, ma penso che è primavera,  che il susino dei vicini è in fiore e guardo oltre il muro di cinta i fiori bianchi degli alberi di biancospino nel parcheggio. 

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