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Ho solo bisogno di una birra…

Tra i venti e i trent’anni andavo a caccia di ragazze. Ci provavo con tutte o quasi. Ogni scusa era buona. Gli approcci erano i più vari e disparati. Mi confidavo allora, senza entrare nei dettagli intimi, a un mio amico, gli raccontavo le mie delusioni sentimentali, i tanti rifiuti subiti, ma anche le mie conquiste. Le mie erano avventure da poco, ma non fraintendetemi, non lo scrivo in senso spregiativo ma solo in senso diminutivo perché erano nella stragrande maggioranza dei casi sveltine in camporella,  nella macchina della malcapitata, in un angolo di strada poco illuminato, in un cortile di un palazzo, in una casa abbandonata e fatiscente, addirittura tra le fratte. Avvertivo il rischio, il pericolo di essere guardato, scoperto, punito per questi momenti frugali, per questi istanti dove il testosterone e l’adrenalina erano a mille. Qualche volta con più calma lo facevamo a casa mia quando non c’erano i coinquilini o a casa della ragazza quando non c’erano le coinquiline.  Talvolta c’era anche l’incognita delle affittacamere spilorce, moraliste che evadevano totalmente le tasse e non volevano ospiti nei loro appartamenti. Non vi venga in mente che fossi un playboy. Ero uno sfigato, che raccoglieva pochissimo rispetto a tutti i tentativi fatti. Ma per il calcolo delle probabilità qualcuna alla fine ci stava, perché le facevo pena, per pietà umana, per mancanza di opportunità migliori o anche solo per sfinimento. A ogni modo io ero sempre pronto con le sigarette e i preservativi nelle tasche.  Spesso in amore si tratta di cogliere l’opportunità,  il momento propizio, come scriveva Montaigne. Io allora Montaigne non sapevo neanche chi fosse, ma questo aspetto della vita  lo avevo ben presente, lo conoscevo abbastanza per esperienza.  Allora comunque avevo tutti i capelli e tutti i denti. Avevo meno scoliosi. Avevo le mie carte da giocare e sprigionavo energia da tutti i pori. Cercavo di avere più avventure possibili.  Non tenevo mica la contabilità.  Andavo a memoria. Rimuginavo sempre le mie fantasie erotiche, ero sempre alla ricerca. Pensavo che il mio problema con le donne un giorno si sarebbe risolto. Invece sono passati molti anni e sono punto e a capo. Sono forse lo stesso, solo invecchiato, inacidito e immalinconito. A quei tempi imitavo un mio amico di scuola, che da adolescente aveva diverse storielle.  Così io mi ero dato al libertinismo tra i venti e i trent’anni. Ero stufo di aspettare la mia ragazza ideale. Il mio amico con cui mi confidavo in realtà allora faceva il moralista, era represso sessualmente e forse mi invidiava. Era in lotta con sé stesso. Il suo era un combattimento interiore senza tregua probabilmente. Poi ci siamo persi di vista, abbiamo litigato per niente. Insomma erano quisquilie,  bagatelle. Lui concluse che eravamo troppo diversi e quando me lo disse mi rinfacciava il fatto che io andavo con troppe ragazze, che mi prendevo gioco di loro, che le prendevo in giro, che le sfruttavo. Due, tre decenni dopo lui è un uomo affermato professionalmente e io sono solo un disoccupato che per passare il tempo scribacchia nel web. Ho di che vivere per ora.  Per ora non muoio di fame. Ma nella vita al peggio non c’è mai fine. Adesso io è da un decennio che pratico l’astinenza sessuale. Negli ultimi dieci anni ho avuto solo due avventure. Non posso viaggiare perché non ho soldi per farlo. Non posso ospitare perché i miei non vogliono. Non ho la macchina perché sarebbe solo un costo ormai.  Sono troppo vecchio per andare in discoteca,  che tra l’altro ha anch’essa un costo. Quindi ormai le possibilità di conquista si riducono. Succede che io nei miei scritti accenni al sesso perché in fondo mi manca, anche se riesco a sopportare e a superare i momenti di crisi, che come tutti ho. Lui invece ha rinnegato il suo credo di un tempo. Non è più moralista. Gira il mondo in cerca di donne. Ha donne sparse per il mondo. Sono quasi sicuro che lui mi imita o meglio imita il me stesso di trenta anni fa. Ma io sono cambiato probabilmente sotto questo punto di vista. Io sono andato oltre.  Insomma non lo so se sono veramente cambiato o se fingo a me stesso, se il fuoco cova sotto la cenere. Oramai siamo ex amici. Non ci vediamo più da decenni. Abbiamo un amico in comune. Proprio quest’ultimo mi racconta di lui. Mi dice delle sue conquiste. Mi dice che addirittura filma nei momenti intimi le sue amanti. Una volta questo nostro amico in comune mi invia un suo filmato hard. Io cerco di desistere. La cosa non mi va. Non voglio vederlo. Ma la curiosità alla fine prevale, ha la meglio. Vedo che ha come protagonista una donna delle zone limitrofe di cui mi ero invaghito e che mi aveva rifiutato all’epoca. La cosa un tempo mi avrebbe ferito, forse nell’orgoglio più che nella sensibilità. Invece non rimango basito. Non sono esterrefatto. In definitiva sono solo fatti loro. Che vivano la loro sessualità come meglio credano! Mi raccomando con il mio amico che il filmato non venga diffuso pubblicamente perché la donna è sposata  e ha un figlio. Lui mi rassicura. Ma mi dice anche che la donna si eccita a farsi riprendere. Ribatto io che l’importante è che non venga diffuso, che è giustamente reato, che è perseguibile legalmente. Mi sento un imbecille ad aver accettato di vedere uno di questi filmati hard. Ma non sono minimamente ferito né deluso né depresso. Gli innamoramenti non corrisposti non possono essere considerati drammi. Considerarli drammi non dico che sia borghese: piuttosto è folle. Vengono considerati dei drammi solo dai giovani, ma da giovani come canta Guccini si ha la testa piena di balle. Ci si uccide per amore solo nei pessimi romanzi, dato che ci sono in giro antidepressivi molto efficaci. I drammi della vita sono altri, anche se le delusioni sentimentali fanno perdere tempo e sprecare energie. Poi penso di nuovo al sesso. Per Pasolini bisognava pronunciare cento volte la parola “sesso” per saperne il significato. Per Spencer il sesso era un trucco per perpetuare la specie. In ogni caso il sesso è un mistero. Esco fuori. È una bella giornata di sole. Il cielo è terso, limpido, libero, profondo, immenso. C’è solo una minuscola nuvola soffice e candida, che sembra fatta di panna. È primavera. Guardo i lavori alla scuola che procedono ininterrottamente. C’è un enorme braccio metallico che serve a pompare cemento, a fare gettate sul tetto. Passo la rotatoria. Imbocco una stradina. Ci sono due uomini nella strada fermi a guardare in alto il palazzo di fronte. Forse aspettano qualcuno. Forse guardano dei lavori in corso. Forse guardano un cane o un gatto su uno dei terrazzi degli appartamenti. Forse lì c’è una donna che esercita la più antica delle professioni. Forse si sono messi a guardare il cielo per chissà quale arcano motivo. Comunque non sono affari miei.  Forse uno dei due è un vecchio conoscente, ma lui non mi saluta, fa finta di niente e io tiro a diritto. È un imbarazzo reciproco che dura solo qualche secondo, giusto il tempo di passare e di togliermi d’impaccio. Il cielo oggi mi appare puro e incontaminato. Ammiro tutte le sue gradazioni di colore e mi perdo in quelle tonalità di azzurro. Ho ancora le braccia indolenzite e ho un leggero formicolio a esse perché sono stato troppo tempo seduto sul letto nella stessa posizione. Di solito trovo le solite persone, i soliti residenti, passeggiatori abitudinari oppure i soliti che portano il cane a fare un giro. Ma oggi non mi sono ancora imbattuto in nessuna faccia nota (sia ben chiaro che poi pur essendo note, viste di frequente, non le conosco e non mi scambio nemmeno la buonasera). Cammino perché mi fa bene alla circolazione, per sgranchirmi le gambe. Ma camminare è anche un modo per pensare tra me e me. Guardo di nuovo il cielo e penso per un attimo a quante impressioni e emozioni è riuscito a suscitare negli animi umani dalla notte dei tempi. Mi chiedo se il cielo riesce a evocare almeno delle sensazioni di stupore o delle emozioni estetiche/estatiche anche negli animali oppure se agli animali il cielo fa solo paura. Passo davanti agli uffici amministrativi della Sanità. Alcuni sono aperti al pubblico. In altri ci lavorano soltanto degli impiegati interni. Vedo che c’è gente che entra e che esce, che va e che viene. Ma non so minimamente chi sono i frequentatori occasionali e chi sono i lavoratori. In fondo non mi importa assolutamente. Tira vento. Domani il meteo dà la pioggia. Significa che questo vento porterà molte nuvole nere. Mia madre è andata dal parrucchiere oggi per evitare il brutto tempo, per evitare sorprese. Ma godiamoci il bel tempo di oggi. Vado al bar. Chiedo una spuma al cedro. La ragazza sta sistemando delle bottiglie d’acqua. Un avventore, suo amico, le dice che ha le guance rosse. È un momento tranquillo e sereno. La barista non ha voglia di parlare con me. Mi dà del lei, probabilmente per mettermi a distanza. Probabilmente le sto anche antipatico. Forse mi tollera a mala pena. Insomma se ne sta sulle sue o forse ha troppo da fare. Io non cerco di attaccare bottone, non cerco un pretesto qualsiasi per mettermi a chiacchiera. Vorrei solo dire alla barista che io sono un cliente che non cerca guai e che cerca di non dare problemi a nessuno. Guardo fuori dal bar le macchine che svoltano. C’è una ragazza che va di fretta, passa di lì. Ma io mi chiedo dove vada tanto di fretta se tanto alla fine l’attende la morte. Penso a Rino Gaetano e a un verso di una sua  canzone: “Penso che fra vent’anni finiranno i miei affanni”. Tra venti, al massimo tra trent’anni o poco più saremo morti tutti o reggeremo l’anima coi denti. Allora che senso ha affannarsi tanto? Che importa amare o essere amati se siamo prossimi alla fine? Che importa vincere o perdere? Io sono qui in un bar e tra qualche anno morirò. Forse anche prima. Nella vita non si sa mai. Voglio bene ai miei cari che tra qualche anno moriranno. Forse anche prima. Tutto è destinato alla fine. Ma la morte come la vita non è uguale per tutti: dipende dal tempo e dal modo. Inutile a mio avviso cercare di affermare il proprio io o la propria vitalità.  È come essere un pesce fuori d’acqua che si divincola inutilmente nella rete. Non vi venga in mente che queste siano le divagazioni di un illuminato o una persona colta. Sono solo uno sfigato attempato e frustrato, ma cerco di dimenticarmelo ogni giorno e di non pensarci. Le donne possono pure farsi fottere da chiunque: ne hanno tutta la libertà.  Il mondo vada pure a farsi fottere anch’esso: io ho solo bisogno di una birra. 

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