Ci siamo precipitati all’aeroporto intercontinentale di Fiumicino non appena si è diffusa la notizia del rientro a Roma del professor Se, reduce da Firenze (“capitale” della lingua) dove ha partecipato a un simposio di linguistica – incredibile ma vero – nelle vesti di “imputato”. Adempiute le formalità di rito, arriviamo subito al “dunque”.
– Allora, professore, come mai questo convegno straordinario dove lei è stato accusato di assolvere troppe funzioni in campo linguistico?
– Il nostro mondo è popolato di gente invidiosa dei successi altrui, di conseguenza, appena possono, cercano di troncarti le gambe; con me, però, non ci sono riusciti. Le funzioni che svolgo nel campo della lingua sono troppo importanti perché altri possano appropriarsene.
– Le spiacerebbe essere piú chiaro?
– Farò del mio meglio. Io posso essere sia congiunzione condizionale sia pronome di terza persona, tanto singolare quanto plurale. Naturalmente le mie “mansioni” mutano secondo i casi. Come pronome posso essere riferito solo al soggetto della proposizione: il padre vuole con sé i figli; diremo, invece, che il padre ha preteso che i figli andassero con lui. Come può vedere dagli esempi che le ho fatto, alcuni colleghi – approfittando del fatto che posso essere riferito solo al soggetto – vorrebbero prendere il mio posto sempre cosí, sostengono, si eviterebbe lo sforzo di “analizzarmi”. Ma hanno fatto male i conti! Ci sono delle norme ferree che regolano la nostra lingua, fortunatamente, e io non darò quartiere a nessuno. Le leggi vanno sempre rispettate; oltre tutto è un mio diritto.
– Abbiamo notato che i suoi colleghi, si fa per dire, Stesso e Medesimo, cercano sempre di “sminuirla” togliendole l’accento… Ci capita sovente di leggere sui giornali se stesso, se medesimo anziché sé stesso, sé medesimo…
– È una vecchia questione sulla quale non voglio piú tornare. Quando indosso le vesti di pronome voglio sempre l’accento, non ci sono argomentazioni logiche per sostenere il contrario. E come le ho detto, per me l’argomento è chiuso.
– Ci parli della sua funzione di congiunzione.
– Questo è un tema scottante, è stato il perno del mio “processo” al convegno.
– Ossia?
– Prima di rispondere mi preme fare alcune considerazioni – per onestà – su altri colleghi che hanno la mia stessa funzione di congiunzione condizionale: forse alcuni non lo sanno, ma anche Perché, Ove, Qualora e Quando possono essere adoperati come congiunzione indicante una condizione. Si può dire, indifferentemente: se uno si comporta onestamente non ha nulla da temere; quando uno si comporta onestamente… La congiunzione piú adoperata, però, sono io, Se. Ecco, quindi, uno dei motivi di invidia nei miei riguardi. Posso essere scritta con l’apostrofo solo davanti ai pronomi personali: s’egli mi amasse. In ogni altro caso preferisco non subire l’elisione: se anche; se una. A proposito, ricordate che se mi usate con alcuni avverbi, con i quali spesso mi accompagno, esigo il raddoppiamento della consonante: semmai; sennonché; seppure. E veniamo, ora, alla risposta alla sua domanda. Sono stato accusato di indurre in errore alcuni studenti “poco brillanti”. Quando introduco un periodo ipotetico il verbo che mi segue deve essere di modo indicativo se anche il verbo della proposizione principale è all’indicativo: se pensi ciò, sei in errore. Se, invece, il verbo della proposizione principale, chiamata apodosi, è al condizionale il verbo che mi segue deve essere di modo congiuntivo: se pensassi ciò, saresti in errore. Alcuni sono convinti – “complice” la scuola, forse – che chiamandomi congiunzione debba introdurre, per “assonanza”, solamente il congiuntivo. No, non è cosí, ci sono due casi in cui vado d’amore e d’accordo con il condizionale. Quando introduco una proposizione concessiva: anche se “potrei” aiutarti non voglio farlo.
– E l’altro?
– Quando sono “a capo” di una proposizione interrogativa indiretta.
– Può farci un esempio…
– Dal “processo” che ho appena subito sono uscito vincitore; non so, però, se “avrei” la forza morale per affrontarne un altro.
– È proprio il caso di dirlo, quindi, è stato assolto con… il condizionale.
(Dal libro “Un tesoro di lingua“)