Storie recenti

  • in

    Storie Per Non Dormire 03 – On The Road

    Ejay Ivan LacSTORIE PER NON DORMIREON THE ROADCapitolo 1On The RoadAlessandro e Mirko stavano percorrendo in auto una buia strada di montagna, erano circa le dieci di sera di Ottobre e la pioggia aveva appena smesso di cadere.Erano diretti verso un piccolo paesino, entrambi appassionati di ufologia, sapevano che da quelle parti molte persone raccontavano di misteriose luci nel cielo. Incuriositi s... Altro...

    Ejay Ivan LacSTORIE PER NON DORMIRE

    ON THE ROADCapitolo 1

    On The Road

    Alessandro e Mirko stavano percorrendo in auto una buia strada di montagna, erano circa le dieci di sera di Ottobre e la pioggia aveva appena smesso di cadere.

    Erano diretti verso un piccolo paesino, entrambi appassionati di ufologia, sapevano che da quelle parti molte persone raccontavano di misteriose luci nel cielo. Incuriositi si misero in viaggio per soggiornare quattro giorni a Pontechianale.

    La strada era molto deserta, la nebbia cominciava a scendere limitando la visuale. Alessandro accese i fari fendinebbia rallentando l'auto: "Porca miseria, non si vede niente, pazzesco".

    Mirko: "Quanto dovrebbe mancare alla destinazione?"

    Alessandro: "Circa quarantacinque minuti, ma con questa andatura anche settanta"

    Mirko: "Il navigatore continua a dare quarantacinque"

    Alessandro: "Sembra che non si stia muovendo di una virgola. Ma si è bloccato?"

    Mirko: "Ok aspetta, provo a riavviarlo", provò a reimpostare il navigatore ma il segnale era totalmente assente, la fitta nebbia divenne sempre più intensa, la luce dei fari era come se stessero puntando contro ad un muro bianco.

    Alessandro fermò l'auto non credendo ai suoi occhi, la nebbia era così compatta che era quasi come se fossero sommersi sotto una montagna di neve.

    Alessandro: "Pazzesco!!! ma che sta succedendo? non si vede proprio niente"

    Mirko: "Ma è nebbia? sembra quasi fumo o roba simile"

    Alessandro: "Dici che sta andado a fuoco qualcosa, i boschi? Non sento odore di bruciato"

    Mirko: "Aspetta sento qualcosa, sembra quasi come se la strada stesse vibrando"

    Alessandro: "Starà passando un tir? Il motore dell'auto è spento"

    La nebbia cominciò a dissolversi, la strada ritornò ad essere visibile. Alessandro accese l'auto e rimise i fari fendinebbia, riprendendo il percorso. Anche il navigatore ritornò a funzionare indicando cinquantanove minuti all'arrivo. Ma qualcosa incuriosì Mirko, il suo orologio segnava la mezzanotte, provò a controllare il suo smartphone e anche li segnava la mezzanotte, così come il navigatore.

    Guardò il suo amico e gli chiese di controllare l'orologio: "Hey Ale, anche il tuo orologio segna la mezzanotte?". Alessandro controllò e anche il suo segnava lo stesso orario.

    Alessandro: "Come è possibile? Sicuro che erano le dieci prima che ci fermassimo?"

    Mirko: "Certo, erano esattamente le dieci, posso esserne sicuro. Che diavolo sta succedendo?"

    Improvvisamente uscirono dalla nebbia, la strada finalmente era limpida. Alessandro vide una sosta di emergenza al lato della strada e si fermò lì, cercando di capire cosa sia successo.

    Alessandro: "Qualcosa è successo, quella nebbia ci ha tenuti li dentro dalle dieci a mezzanotte, senza che ci accorgessimo di nulla"

    Mirko: "Cosa sarà stata quella vibrazione?"

    Alessandro: "Aspetta, guarda la, in fondo alla strada... c'è qualcosa". Indicò il fondo della strada dove si trovava la figura in lontananza di un uomo, con un lampione che lampeggiava sopra di lui. Mirko prese la videocamera e filmò, Alessandro provò ad accendere la macchina ma Mirko lo fermò: "No!!! non facciamoci notare, c'è qualcosa di strano in questa storia".

    Mirko: "Aspetta... aspetta un secondo. Questa persona è nuda..."

    Alessandro: "Nuda? Senza vestiti?"

    Mirko: "Si ho fatto lo zoom, non porta i vestiti ed è girato di spalle"

    Dalla videocamera videro la testa dell'uomo girarsi completamente di scatto verso di loro sorridendo. Cominciò a camminare all'indietro con la testa girata e il passo molto veloce. Alessandro cercò di mettere in moto, mentre Mirko anche se spaventato continuava a filmare.

    Gridò ad Alessandro di sbrigarsi, l'uomo era sempre più vicino alla loro auto, riuscì ad accenderla accelerando verso di lui per poi schivarlo, si allontanarono velocemente da lui per proseguire la loro strada.

    Mirko: "Cosa? Cosa cazzo abbiamo visto... ma che cos'era?"

    Alessandro: "C'è qualcosa di paranormale in questa zona e noi ci siamo finiti dentro".

    Continua la lettura gratuita sul sito ufficiale di Storie Per Non Dormire: ENTRA

    Lascia un commento

    Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

  • in

    Una dolce casa abbandonata – Storie per non dormire 01

    Ejay Ivan LacSTORIE PER NON DORMIREUNA DOLCE CASA ABBANDONATACAPITOLO 1UNA DOLCE CASETTALuna, Marta e Mauro, erano tre amici appassionati di paranormale. Gestivano un canale Youtube dedicato ai misteri e apparizioni paranormali, infatti nel fine settimana invece di andare per locali con amici preferivano visitare i luoghi più strani e girare i loro video, da pubblicare sopra il loro canale.Luna a... Altro...

    Ejay Ivan LacSTORIE PER NON DORMIREUNA DOLCE CASA ABBANDONATACAPITOLO 1

    UNA DOLCE CASETTA

    Luna, Marta e Mauro, erano tre amici appassionati di paranormale. Gestivano un canale Youtube dedicato ai misteri e apparizioni paranormali, infatti nel fine settimana invece di andare per locali con amici preferivano visitare i luoghi più strani e girare i loro video, da pubblicare sopra il loro canale.

    Luna aveva appena compiuto i 28 anni, stava guidando l'auto per arrivare ad una destinazione molto curiosa. Marta, che era la sua migliore amica, le aveva regalato la sera del suo compleanno un mini registratore EVP, capace di catturare le presunti "voci bianche" degli spiriti.

    Mauro era seduto dietro con il suo computer portatile e leggeva qualche curiosità sul luogo in cui si stavano dirigendo.

    Mauro: "Ho trovato qualche informazione importante riguardo alla casa che stiamo andando a visitare, Luna non so se sei già informata sulla sua storia"

    Luna: "Hm? Ho solo letto che i contadini che si avvicinano a questa casa, spesso fuggono via perché si accorgono di vedere persone correre al suo interno. Alcuni affermano anche di aver sentito la campana suonare"

    Marta nel frattempo stava mangiando un pacchetto di patatine al formaggio: "Scusate una cosa, forse non ho capito bene o sono completamente ignorante. Ma è una casa o una chiesa? Cosa ci fa una campana?"

    Mauro: "Altro che campana, quella casa ha un vero e proprio campanile"

    Marta: "Un campanile in una casa? Perché?"

    Mauro: "Ve lo dico io il perché, sempre se Luna non lo sappia già. Nel 1890 i proprietari di quella casa hanno lasciato delle pagine scritte nel salotto principale, come una sorta di avviso. Le stesse parole sono incise anche sul muro del salone principale. A quanto pare si dice che il campanile sia stato costruito da loro perché era l'unico modo per tenere lontane delle creature chiamate Zorbs"

    Luna: "Chiamate come?"

    Marta con le patatine in bocca rispose: "Zorbs... ha detto mi sembra Zorbs"

    Continua a leggere gratis dal sito ufficiale di Storie Per Non Dormire

    Lascia un commento

    Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

  • in

    Cream Funny

    Serata affollata al fast food Smile Time, un nuovo gelato industriale è pronto a sfamare migliaia di persone. Carol insieme ai suoi colleghi sarà impegnata ad affrontare una serata piena, per cercare di vendere i nuovi gelati ad una folla di centinaia di persone curiose.Ma la situazione diventerà molto più complicata di quanto sembra. Gli effetti di quel nuovo gelato inizieranno a manifestarsi... Altro...

    Serata affollata al fast food Smile Time, un nuovo gelato industriale è pronto a sfamare migliaia di persone. Carol insieme ai suoi colleghi sarà impegnata ad affrontare una serata piena, per cercare di vendere i nuovi gelati ad una folla di centinaia di persone curiose.

    Ma la situazione diventerà molto più complicata di quanto sembra. Gli effetti di quel nuovo gelato inizieranno a manifestarsi tra i consumatori, trascinando lo Smile Time nell'inferno più totale.

    Leggilo ora gratuitamente dal blog ufficiale: Cream Funny

    Lascia un commento

    Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

  • in

    Terrore Di Natale (Racconto gratuito)

    [caption class="snax-figure" align="aligncenter" width="662"][/caption]Il natale si avvicina e la scelta del regalo diventa l'ansia dei giorni festivi. Cindy lo sa bene, lavorando per un negozio di giocattoli, si troverà alle prese con uno strano pupazzo, un orsetto rosso chiamato Little Bear. Pare sia la moda del momento, ma quel grazioso orsetto rosso diventerà la fonte di una serata movimenta... Altro...

    [caption class="snax-figure" align="aligncenter" width="662"][/caption]

    Il natale si avvicina e la scelta del regalo diventa l'ansia dei giorni festivi. Cindy lo sa bene, lavorando per un negozio di giocattoli, si troverà alle prese con uno strano pupazzo, un orsetto rosso chiamato Little Bear. Pare sia la moda del momento, ma quel grazioso orsetto rosso diventerà la fonte di una serata movimentata all'interno del negozio.

    Puoi leggerlo ora gratuitamente, dal mio blog ufficiale... Buone feste a tutti! Terrore Di Natale

    Lascia un commento

    Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

  • in

    quarantadue

    Il freddo mi pungeva l'interno delle narici. Mi sfregai il naso con violenza, facevo sempre così per far andare via il gelo. Una ragazzina snob mi guardò con sdegno. Bambinetta del cazzo, le feci un versaccio dei miei, e quella scappò. Mi incamminai compiaciuto, stavolta la parte del maiale mi era venuto proprio bene. Era uno di quei versacci che avrebbero fatto ridere Ingrid. Sono convinto che... Altro...

    Il freddo mi pungeva l'interno delle narici. Mi sfregai il naso con violenza, facevo sempre così per far andare via il gelo. Una ragazzina snob mi guardò con sdegno. Bambinetta del cazzo, le feci un versaccio dei miei, e quella scappò. Mi incamminai compiaciuto, stavolta la parte del maiale mi era venuto proprio bene. Era uno di quei versacci che avrebbero fatto ridere Ingrid. Sono convinto che buona parte dei suoi clienti siano tali per la sua quinta di reggiseno e nient'altro. A dire il vero neanche a me dispiace. Rimuginando e facendo pensieri sporchi sulla cameriera del Crown ero già di ritorno al mio appartamento.«casa dolce casa!» mi venne da ridere. Che posto di merda.«neanche stavolta hai pulito le zone comuni! Non so più come dirtelo Edward, dobbiamo collaborare. Collaborare!» mi aggredì così Francis senza neanche farmi vomitare una parola. Ma cosa credeva quel perfettino? Che se avessi sistemato tutta casa sarebbe diventata una reggia? Avremmo fatto una vita da principi? Il sangue mi arrivò alla testa e sbraitai«da dove esce questo caratterino? Torna lavare i piatti da brava mogliettina» risi e mi chiusi in camera.«reagisci sempre così! Quando ti mettono di fronte qualcosa che ti fa paura ti incazzi, e sfoghi tutto sugli altri. Sei un frustrato Edward!» strillò Francis battendo i pugni contro la porta marcia. Non ci badai. Si sarebbe calmato dopo una mezz'oretta come suo solito. Nel frattempo, mi sarei fumato una cicca, la trentanovesima del giorno. Non perché le contassi, tutt'altro, le fumavo senza badarci, mi aiutavano a smaltire lo stress. Ma sapevo che quella era la trentanovesima sigaretta perché ne avanzava solo una nel pacchetto.«devo uscire a comprare le sigarette» dichiarai a voce piena. Come fosse un fatto di stato. Francis mi guardò con gli occhi languidi, e portò le braccia conserte a snodarsi, e ad appoggiare una mano sul fianco e l'altra con l'indice puntato verso di me e mi ammonì dicendo«ma quante ne hai fumate oggi? Ti verrà qualcosa un giorno, smettila una volta per tutte!» era tornato il Francis premuroso di sempre. La rabbia mi sbollì in un attimo. Gli poggiai la mano sulla spalla e sussurra nel suo orecchio«con questa sono quaranta, e fatti gli affaracci tuoi» sbattei la porta e uscii«tanto lo so che ti fa piacere che qualcuno si preoccupi per te sotto sotto!»Non ci badai. Quello stronzo credeva di conoscermi come le sue tasche. Peccato che le mie tasche sono da sempre state bucate. Altrimenti come mi sarei ridotto a vivere in quell'appartamento con lui? Dovrei essere stato matto da legare. Compra la mia stecca. Quella con la scritta verde al lato, come al solito, le più economiche. “Il fumo è un vizio non un lusso” dissi a me stesso come se fossi un estraneo a parlare con un io interiore. Camminavo lungo la solita stradina che puzzava di piscio, sembrava tutto normale, ma tra l'alternarsi di luce e ombra dei vecchi lampioni della strada, pusher, maniaci, e forse anche venditori di organi umani, notai una luce accecante, rossa. Bingo. Erano due anni che non ci entravo. Una donna uscì dal locale, aveva tacco a spillo su cui camminava male, una borsa rossa e rossetto sbavato, le feci un fischio e le urlai che era proprio una donna d'alto borgo. Ma sotto sotto mi fece tenerezza. Mi ricordava la mia ex moglie. Ricordo quando mi lasciò. Eravamo in cucina a lanciarci piatti, lei afferrò quello dalle venature dorate, forse la cosa più lussuosa che possedevano e me lo scagliò contro. Mi accusò di essere un fallito che giocava tutto a poker, "fossi almeno stato bravo" mi ripeteva. Ma io ero bravo, ero fottutamente bravo. E glielo avrei dimostrato, il sangue mi arrivò ancora alla testa. Il bingo sotto casa era un chiaro segno del destino che potevo avere la mia rivincita nella vita. Non che ci credessi, al destino dico. Siamo tutti delle merde, chi più chi meno. A qualcuno tocca la vita da signore, ad altri una vita di merda, letteralmente. Ma restiamo sterco, tutti noi umani. Tutto è causale, tutto è inutile. Il cuore mi batteva a mille, forse avrei potuto cambiare la mia vita in meglio. Entrai nel locale.

    Uscì dopo quattro ore piene. Avevo perso anche quei pochi dollari che avevo portato con me. Porto sempre tutti i miei soldi quando esco, sono più al sicuro con me che in casa. “Che posto di merda” dissi al mio vecchio io ubriacone. Trascinai le scarpe scollate fino a casa, aprii la porta, e Francis non c'era. Quel bastardo non era mai uscito di casa. Mai in due anni. Possibile che se ne fosse andato proprio adesso? Ora che avevo bisogno di una spalla su cui piangere. Ma cosa dovevo aspettarmi? Francis non era mio amico, anche se lui si considerava tale. Lo cercai per l'intero appartamento di quaranta metri quadri. Niente, si era dileguato. Ma tutte le sue cose erano lì. Che incosciente. Ora erano mie. Andai in camera sua, forzai il cassetto che teneva con un sigillo, trovai soldi, tanti soldi. Pensai subito che avevo un altra possibilità per vincere a poker. Sollevato lo scatolo con i soldi trovai una mia fotografia ingiallita. Ma cos'era un maniaco? La raccolsi con le mani che tremavano, girati la foto e con calligrafia elegante lessi«questi sono i soldi che non hai giocato a poker in questi due anni. Ho già sottratto il prezzo di tutte le stecche di sigarette che hai fumato.»Era uno scherzo? Chissene fotteva. Avevo guadagnato cinquecentoventisei dollari e trentacinque centesimi. Andai verso la porta, pronto ad immergermi nel mio mondo. Ma la porta era bloccata, come se fosse stata chiusa a chiave. Che strano, non avevo chiuso a chiave ne ero certo. Ma le mie chiavi dov'erano? Le avevo perse nel caos generale che avevo creato nella mia catapecchia.«karma» dissi sornione. Tanto nessuno poteva sentirmi, parlavo nuovamente al mio io sporcaccione. Ero tornato ad essere solo come un cane. Forse avrei dovuto pensare a prendere uno, di cane intendo. Sarei passato da essere solo come un cane, ad essere solo con un cane. Un gran passo avanti mi sembra. Risi di gusto. Tanto chi poteva saperlo? La solitudine mi piaceva, era l'unico modo che avevo di dar sfogo alla parte di me che più mi piaceva, quella vera e grezza, come un diamante. Ma a pensarci ero sempre stato solo, anche con Francis. Motivo per cui ero libero e rude anche con lui. Facevo uscire il meglio di me. Scartai la stecca di sigarette. Gettai la carta sul pavimento e afferrai una sigaretta, la quarantunesima, del giorno. Avvertì un vuoto in quel momento, come se mi mancasse qualcosa. Ma non era qualcosa di fisico, ma qualcosa di immateriale, ma non riuscivo a capire cosa. Passarono i giorni, e quel senso di turbamento aumentava, non toccai più una cicca da quel giorno. Mi ero addirittura scordato del mio vizio. Di tanto in tanto uscivo a fare la spesa, di solito se ne occupava Francis, era l’unico motivo per cui usciva di casa. Ma dove si era cacciato quel figlio di puttana? La casa mi sembrava più vissuta con tutto il mio casino trai piedi, ma più vuota. Paradossale. Che mi mancasse quel tipo strano? Dovevo cominciando a metterlo in considerazione. Un martedì pomeriggio tornai a casa dopo essere stato da Ingrid. Mi ero scolato una bottiglia di vodka da solo. Ero fradicio. Aprii la porta, e scoppiai a piangere.«dove sei? Perché mi hai lasciato con me stesso?»Gridai. Vidi la dirimpettaia che mi spiava da una tenda. E proprio da una tenda, spunto Francis.«sei sempre stato solo Edward. Tutto il resto è stato fantasia»«mi dici cosa vuoi da me? Io non avevo bisogno di nessuno. Ma tu. Con le tue attenzioni mi hai fatto credere di avere il lusso di non essere solo»«stare in compagnia è un vizio non un lusso, è come il fumo» ammiccò Francis.«ma come fai a sapere questa cosa che ho pensato? Tu, tu non c'eri»«io ci sono sempre stato, sono io quell’io sporcaccione. Ma da quando hai scelto di rigiocare lo stipendio a poker, il mio ruolo è finito, io ho fallito»«dimmi chi sei» Urali afferrando la lampada in vetro sul davanzale e puntandogliela gliela contro.«io sono l'ordine nella tua testa che non vuoi accettare, la premura che nessuno ti ha mai dato. Sono la parte buona di te»«spiegami perché hai fallito tu e non io» avanzai poggiando la lampada sul tavolo«Siamo una cosa sola Ed, abbiamo fallito entrambi. Tu sei ricaduto nella spirale che ti ha quasi portato alla bancarotta, io sono caduto perché mi sono lasciato calpestare da te»«puoi aiutarmi?» singhiozzai piangendo a dirotto«ma smettila di parlare da solo, sei folle?» intervenne la dirimpettaia con una risata sguaiata. La vecchia mi aveva distratto, rivolsi nuovamente lo sguardo di fronte a me, e Francis non c'era più.

    Quarantaduesima sigaretta.

    Lascia un commento

    Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

  • in

    UN NATALE SENZA…

    La neve era scesa tutta la notte e aveva imbiancato l’intero circondario, ma d’altra parte a Rovaniemi la faceva da padrona. Quella vigilia l’aria era diversa però, vento di novità soffiava sulla Lapponia, atmosfera frizzante, di quelle che predicono una grande notizia. Mamma Natale stava ultimando le ultime leccornie per il classico cenone della Vigilia. Ogni anno, prima di partire, il... Altro...
    La neve era scesa tutta la notte e aveva imbiancato l’intero circondario, ma d’altra parte a Rovaniemi la faceva da padrona. Quella vigilia l’aria era diversa però, vento di novità soffiava sulla Lapponia, atmosfera frizzante, di quelle che predicono una grande notizia. Mamma Natale stava ultimando le ultime leccornie per il classico cenone della Vigilia. Ogni anno, prima di partire, il marito degustava, insieme a tutti i suoi elfi, piatti da tutto il mondo, preparandosi al grande viaggio con una bella abbuffata. Questo lo rendeva più umano, riusciva ad immergersi nei sentimenti di chi lo aspettava tutta la notte. Il grande salone era già pronto, gli elfi e tutti gli abitanti di Rovaniemi trepidavano per la cena, molto affamati dopo aver passato l’ultimo mese ad incartare regali più disparati per bambini di tutto il mondo. Grandi ghirlande ornavano le finestre, mentre l’enorme sempreverde illuminava la stanza con le sue mille lucine. Colori sgargianti, oro, rosso, argento, blu…Le decorazioni della famiglia Natale esulavano dalla moda del momento, da sempre amavano utilizzare tutti i colori disponibili. Sul grande tavolo i segnaposti erano sistemati, Babbo Natale amava chiamare per nome – e li conosceva tutti – ogni suo aiutante. Ghirlande anche sulle sedie, sparso ovunque vischio per permettere a chiunque di diffondere amore durante quella grande festa. Quella mattina Babbo Natale aveva radunato tutta la famiglia, mamma e figli Natale, elfi e folletti e fatine, e aveva comunicato:  “Questa sera ci sarà una grande novità per tutti voi, quello che vedrete non si ripeterà per anni. State in guardia miei cari Elfi, resterete esterrefatti”.  Si guardarono tutti, allibiti, non c’era mai stato spazio per le novità a Rovaniemi, tutto era dominato dalla tradizione, ogni anno. Il primo dicembre si iniziava l’incartamento, il 24 si sellavano le renne e la sera si cenava alla grande mensa, a mezzanotte tutti salutavano il vecchio Natale, mentre Mastro Tempo rallentava il grande orologio per permettere al signore in rosso di consegnare ogni regalo. L’aria era frizzante, tutti parlottavano tra loro immaginandosi il grande annuncio.  “Secondo me va in pensione”  ”NON andrà mai in pensione, i figli non sono ancora pronti per sostituirlo” Insomma un gran vociare di idee, ognuno aveva la propria.                                                                           DRIIIIN la campanella della cena aveva suonato. Tutti presero posto rapidamente, le pesanti tende cremisi si aprirono e lui uscì col volto coperto da un foulard rosso come il suo abito. Si sedette a tavola, a capo tavola, sorrise con gli occhi a tutti i suoi commensali e calò un silenzio tombale. Trepidazione, ansia e curiosità dominavano l'atmosfera del grande salone. Ma Babbo Natale non aveva fretta. "Salve a tutti cari commensali, vi starete chiedendo come mai porto questo sciallè intorno al mento. Presto lo scoprirete!" "Dai Babbo Natale, parlaci della novità, siamo tutti in attesa del grande annuncio" "Non è un annuncio quel che devo farvi, cari miei. Quel che vedrete vi stupirà, renderà questo Natale memorabile e vi farà comprendere una grande lezione: spesso, per migliorarci, dobbiamo sottrarre e non aggiungere" Mamma Natale e gli elfi cuochi iniziarono a servire il pasto, ma Natale restava a volto coperto. Serviti tutti si pronunciò nuovamente: "È giunto il momento di svelarvi questo segreto". Pian piano si tolse il velo che gli copriva il mento, con movimenti lenti e perentori…Un grande “ooooooooohhhhhhhhhh” invase la sala Babbo Natale si era tagliato la barba e mostrava a tutti il suo viso nudo.

    Lascia un commento

    Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

  • in

    L'uomo con il libro

    Monte-Carlo, aprile 2022Ogni mattina alle 9h10 saliva sul bus numero 1 alla fermata del Park Palace e scendeva a quella della Place d'Armes qualche minuto dopo. Non ci sarebbe stato nulla di strano se non fosse che tra le mani aveva, assieme al telefono, un libro, ogni giorno diverso. La curiosità di leggere il titolo era diventata la sfida quotidiana della pensionata che si appostava sui sedili ... Altro...

    Monte-Carlo, aprile 2022

    Ogni mattina alle 9h10 saliva sul bus numero 1 alla fermata del Park Palace e scendeva a quella della Place d'Armes qualche minuto dopo. Non ci sarebbe stato nulla di strano se non fosse che tra le mani aveva, assieme al telefono, un libro, ogni giorno diverso. La curiosità di leggere il titolo era diventata la sfida quotidiana della pensionata che si appostava sui sedili in controsenso di marcia, perché l'uomo restava in piedi in fondo al veicolo pubblico e sfogliava a circa metà libro due o tre pagine durante il tragitto. Lei che aveva fatto la maestra per tantissimi anni, capiva l'intensità con la quale l'uomo aveva piacere della lettura e lo ammirava per questo. Immaginava che potesse essere un poeta, oppure un attore, oppure un insegnante che preparava la lezione, o un volontario che leggeva ad alta voce nella casa di riposo proprio adiacente alla piazza della fermata alla quale lui scendeva. Le supposizioni erano tante e la curiosità cresceva. Al quinto giorno la donna riuscì finalmente a leggere il titolo del libro che l'uomo aveva appena chiuso davanti a lei, si fece coraggio e gli disse che lei adorava Voltaire. "L’Ingenuo" era davvero uno dei suoi libri preferiti. Nel romanzo filosofico del 1767, si narrava dell'innocenza di un uomo libero dalle convenzioni della società e aveva indotto la maestra a parecchie riflessioni riguardo l’insegnamento. In fondo il protagonista di quel libro era come uno dei suoi allievi prima di tutta la pedagogia di cui anche lei per tanto tempo era stata parte. Ora, mentre  come ogni mattina, la donna si recava a fare la spesa al mercato colorato del quartiere della Condamine, con il suo cestino di vimini che le evitava di rientrare a casa con plastica inutile e dannosa per l'ambiente, stava per rompere l'incantesimo che l'aveva intrigata per tutta la settimana. Se non lo avesse fatto sarebbe stato meglio. Avrebbe goduto di quel mistero letterario, magari per sempre, visto che quello era proprio l'ultimo giorno dell'atelier di origami con i libri, al quale l'uomo si era iscritto su consiglio del fisioterapista della sua mano appena operata.

    Lascia un commento

    Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

  • in

    IT'S A JOKE FOR U?

    Dove posso trovare la serenità?Chiese all’alba l'uomo dai mille sogni infranti.Il cielo tramontò... Il passante teneva stretto un ramo di lucetra le labbra, lo riconsegnò alla ricca terra, indicò col dito un castagno e disse: “Prima di arrivare all’albero,troverai un sentiero più diroccato della speranza umana, dove le salite sono montagne e le discese precipizi... p... Altro...

    Dove posso trovare la serenità?

    Chiese all’alba l'uomo dai mille sogni infranti.

    Il cielo tramontò... 

    Il passante teneva stretto un ramo di luce

    tra le labbra, lo riconsegnò alla ricca terra, 

    indicò col dito un castagno e disse: 

    “Prima di arrivare all’albero,

    troverai un sentiero più diroccato della speranza umana, dove le salite sono montagne e le discese precipizi... 

    prosegui fino in fondo appena oltre l’adolescenza, verrai attirato verso il fiore della solitudine, sii forte e fermati due passi prima a guardare i rottami, è tutto ciò che rimarrà quando deciderai di distruggere tutto quello che credevi essere... 

    Nell’intimità della nuova consapevolezza sentirai un fruscio: 

    vedrai un bambino arrampicarsi sull’alto castagno, in grado di distinguere la rabbia dall'insicurezza... 

    chiedi a lui dove puoi trovare la serenità..."

    Lascia un commento

    Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

  • in

    RACCONTO DI UN PROFUGO

    Un medico di nazionalità curda, ricorda ancora le bombe, gli aerei di guerra sempre in volo, la paura di suo padre che non andava a lavorare ma si nascondeva perché temeva di essere reclutato per andare a combattere contro l’Iran, in una guerra senza senso. Dice che i bambini non la capiscono mai, la guerra, ma imparano a combatterla, a loro modo, prima sopravvivendo, poi impegnandosi in qualc... Altro...
    Un medico di nazionalità curda, ricorda ancora le bombe, gli aerei di guerra sempre in volo, la paura di suo padre che non andava a lavorare ma si nascondeva perché temeva di essere reclutato per andare a combattere contro l’Iran, in una guerra senza senso. Dice che i bambini non la capiscono mai, la guerra, ma imparano a combatterla, a loro modo, prima sopravvivendo, poi impegnandosi in qualche causa. Ed è vero, il dottor Goder parla della sua terra e della sua gente con l’orgoglio di chi non si tira indietro: in questa nuova devastante guerra, i curdi combattono il terrorismo dello Stato islamico in nome di tutto l’occidente. Goder, combatte questa guerra a modo suo: attivandosi per la pace e la salvezza dei suoi fratelli. Attende che il fato gli affidi un pezzo di campo profughi dignitoso, dove le persone possono almeno nutrirsi e dormire. Un angolo anche buio e sporco ma pur sempre un posto dignitoso per quei bambini costretti al nomadismo e alle privazioni, un momento di scuola dove trovarsi, e volersi bene.

     

    "Non posso dimenticare il pianto di bambini migranti... lì sul limbo serbo dopo aver attraversato la rotta balcanica.

    Ho visto adulti e bambini ammalarsi, e morire di fame e di freddo.

    Ho fatto migliaia di chilometri a piedi, per arrivare sino a qui, con quei pochi soldi risparmiati in tutta una vita: denaro raccolto facendo le collette davanti alle chiese; ho venduto la casa che mi aveva lasciato mia madre e gli animali.

    Ora non ho più paura, il freddo è il meno che mi possa capitare.  

    Voglio andare avanti, come gran parte dei profughi afghani e pakistani accampati dentro le stazioni, ho attraversato mari e montagne in Iran e Turchia, mi sono fermato nei centri di accoglienza greci, bulgari, macedoni, prima di raggiungere Belgrado.

    Vorrei che qualcuno mi aiutasse, e aiutasse la nostra gente.

    In verità io penso che la gente non sia così stupida, ha solo bisogno di verità la gente come me...

    Mi sento completamente disarmato di fronte a tanta sofferenza.

    Siamo poveri e spogli di tutto e tanto sporchi di fango, ma quello che mi fa più male è il fango della loro indifferenza. L’indifferenza di chi sta meglio di noi, di chi non capisce e non può capire perché ha avuto una vita più facile della nostra.

    Oh Dio, quanto vorrei trovare un pezzo di terra! Un pezzo di campo profughi dignitoso, di attesa, dove le persone possono almeno nutrirsi e dormire. Un angolo anche buio e sporco ma pur sempre un posto per questi bambini costretti al nomadismo e alle privazioni, un momento di scuola dove trovarsi.

    Cammino dentro la Storia. Una parte di Storia che non avrei mai voluto vivere.

    Dio, come sono straordinari quei bambini sfortunati, e nei loro occhi s’intravedono ancora le fiamme dell’inferno. Hanno ancora i segni di quelle fiamme, li portano anche sul viso, sulle braccia, sui piedini scalzi.

    Le mie parole si perdono oltre la sconfinata vallata.

    Perché è facile parlare di guerra senza averla mai vista, senza saperne nulla, senza conoscerne gli effetti devastanti sulla vita – ma quando ti ci trovi davanti, capisci che le parole giuste, in realtà, non esistono.

    Esistono, al più, silenzi giusti, e forse, in taluni casi, neanche quelli.

    Decine di centinaia di famiglie siriane sono fuggite dal clamore della guerra, nascoste in silenzio in casolari, stalle, garage abbandonati di questa splendida, meravigliosa città di frontiera.

    Rifugi abbandonati da chi, prima di loro, è fuggito dal fragore dei missili, dalla certezza della morte.

     Da questo confine sono verosimilmente passati più di quattro milioni di profughi.

    Un'intera generazione di bambini siriani sta crescendo senza avere mai conosciuto la pace.

    Non c’è stata pace per noi. La mia infanzia era scandita da bombe e morti, mio padre restava nascosto in casa per non essere preso e mandato a combattere contro gli iraniani in una guerra non nostra.

    La mia, era una bella famiglia, ricca delle cose essenziali, amore e cultura; amavo la musica e i miei mi fecero studiare pianoforte.

    Non potendo mai uscire da casa per la guerra, suonavo tutto il giorno la pianola... poi un giorno, decisi di scappare.

    Ben presto, però l’invasione irachena spezza ogni sogno e ci costringe a un esodo biblico: tra le colonne interminabili che s’inerpicano sulle montagne desertiche, c’è anche il mio piccolo fratello Omar.

    L’arrivo in campo profughi, il freddo, la calca tra bambini per afferrare cibo e acqua dai camion di aiuti rende la nostra casa, un sogno lontano, pensavo alla mia pianola, che non l’avrei più rivista... eravamo nudi e senza niente.

    Ho sofferto come un cane, per non poter donare il mio aiuto agli altri, cosa potevo dare ai miei sfortunati fratelli se io stesso non avevo nulla... neanche il fiato per respirare, e neanche più gli occhi per piangere.

    È stato allora che, decisi di diventare medico.

    Volevo offrire qualcosa al mio popolo innocente e disgraziato. Noi curdi chiedevamo solo pace, ma nei secoli siamo sempre stati aggrediti e martoriati.

    Anche oggi, siamo in guerra contro Isis. Sono stati anni duri, a causa dell’embargo e della nuova guerra tra Usa e Iraq; mancava la corrente e studiavo con la boccetta di petrolio accesa sui libri, ma non demordevo, e i miei genitori fecero di tutto perché io e mio fratello minore avessimo un’istruzione.

    Avrei voluto conquistare almeno la dignità di essere riconosciuto come un essere umano e il diritto di sognare un futuro per me e per gli altri. Che poi è l’unica ragione che muove il mondo, e lo rinnova.

    Il mondo è abbastanza grande da accogliere tutti quanti noi, apriamo le porte, costruiamo i ponti, edifichiamo la pace. Perché malattie e morte ce ne sono state abbastanza... e non serve solo odiare e condannare.

    Bisogna trovare la forza per unirsi contro la barbarie e la violenza, non solo per garantire e difendere la democrazia, minacciata da forze oscurantiste d’inusitata mostruosità.

    È da condannare ogni silenzio nei confronti di queste tragedie e bisogna invece sostenere chi da sempre è impegnato in prima linea per il dialogo tra le religioni e le culture e per lo sviluppo dei principi di pluralismo e rispetto della libertà.

    È stata una giornata molto intensa.

    Affiora la stanchezza e sono tanti i sentimenti che ho accumulato in tutte le visite che ho fatto. Davanti ai miei occhi scorrono gli occhi di tutte le bambine e i bambini che ho incontrato, abbracciato e ascoltato.

    Gli occhi appassionati degli operatori sanitari che ho ammirato.

    Qualcuno di noi cede e da spazio alle lacrime: è giusto così, non si riesce a tenere tutto dentro, non è umano. Come è disumana questa guerra, anche se è, voluta da uomini.

    Oggi Sento forte l'orgoglio di lavorare per chi ha bisogno.

    Oggi sono un medico del mondo, sono il soccorritore dei poveri e dei miseri.

    Il lavoro che faccio sul campo è indispensabile ed efficace allo stesso tempo.

    Sì, perché... mentre tu hai una cosa, può esserti tolta. Ma quando tu dai, ecco, l’hai data. Nessun ladro te la può rubare.

    E allora è tua per sempre.” Il silenzio e l’indifferenza, certe volte, fanno più danno delle bombe.”

    Teresa Averta

     

    Lascia un commento

    Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

  • in

    Sul caso e gli amori (piccola prosa)

    Il caso è qualcosa che ci trascende. È ciò che sfugge alla nostra logica, ai nostri modelli, al nostro ordine. Il caso è sempre relativo perché è ciò che sfugge alla nostra volontà e razionalità. Questo implica che ci sia invece un range del nostro arbitrio e del nostro ordine. Il caso è tutto ciò che sta al di fuori di esso. Il caso è tutto ciò che non ha senso né legge. Può darsi ... Altro...

    Il caso è qualcosa che ci trascende. È ciò che sfugge alla nostra logica, ai nostri modelli, al nostro ordine. Il caso è sempre relativo perché è ciò che sfugge alla nostra volontà e razionalità. Questo implica che ci sia invece un range del nostro arbitrio e del nostro ordine. Il caso è tutto ciò che sta al di fuori di esso. Il caso è tutto ciò che non ha senso né legge. Può darsi che un giorno vi troveremo un senso e una legge, ma per il momento ci sono sconosciuti. Nella scienza è casuale ciò che è indipendente da tutto. Ad esempio i dadi sono indipendenti dai giocatori e il loro lancio è casuale. Resta da stabilire nella vita chi sono i dadi e chi i giocatori. Anche il lancio di una moneta è un evento casuale. Il moto browniano dipende dal caso. E se la nostra vita fosse una continua roulette russa? Che probabilità c’era di nascere? La probabilità era di gran lunga minore di vincere alla lotteria. Nella scienza ci sono gli errori casuali, che a loro volta si suddividono in errori sistematici (dovuti a strumenti difettosi e perciò ad errori di misurazione) e in errori riguardanti i fenomeni esterni aleatori (come la variabilità della materia, delle sostanze, eccetera). Ma esiste anche un terzo tipo di errore e perciò di inconoscibilità dovuta alla interazione non definita tra i due aspetti (intrinseci ed estrinseci) e che dipende dal principio di indeterminazione di Heisenberg, secondo cui non si può conoscere simultaneamente velocità e posizione di una particella. Non solo ma il principio di indeterminazione ci dice che esistono delle perturbazioni, che fanno in modo che l’osservatore interagisca e modifichi l’osservato. La scienza è una grande osservazione partecipante. Ogni volta che uno osserva entra in gioco, comincia a far parte della realtà, la modifica in modo più o meno marginale. Nessuno può escludere questa difettosità insita nella natura, ontologica, direi. Il caso può determinare catastrofi, che ci prendono totalmente alla sprovvista. E se le nostre fossero solo vane razionalizzazioni e se la nostra logica fosse solo apparente ed inutile? Gli scienziati si chiedono, studiando il caso ed il caos nell’universo, come fa la vita a sconfiggere quotidianamente l’entropia e poi si chiedono come può, nonostante il problema del disordine cosmico, aver avuto inizio la vita. Ci può essere una eterogenesi dei fini negativa come positiva. Di solo questo squilibrio tra input ed output chiamato eterogenesi dei fini è la rivelazione che le nostre intenzioni sono ben poca cosa e che il sistema ci travalica. A scuola ci insegnano che i vizi privati causano pubbliche virtù e che esiste l’eterogenesi dei fini positiva. A volte questo accade anche nella realtà. Successe anche nella scienza con l’interferometro. Cercavano con esso l’etere, una sorta di mare in cui si sarebbe dovuta propagare la luce, ed invece trovarono che la velocità della luce era costante e che la relatività galileiana non valeva per la luce. Einstein colse a pieno il senso di queste premesse e formulò la teoria della relatività. Intendiamoci: non sono un fisico, non so come funzionava l’interferometro con esattezza, ma so che questa è la sostanza. Ma in fondo il big bang dipende da Dio o dal caso. Forse è il caso/caos che ci governa. Ogni nuova informazione accresce la conoscenza, l’ordine e diminuisce l’incertezza. Einstein disse che Dio non giocava a dadi con l’universo. Ma le prove fino ad ora raccolte dai fisici sembrano non dargli ragione. Hawking ha dichiarato pochi anni fa che non solo Dio gioca a dadi con l’universo ma li lancia talvolta dove noi non possiamo vederli. Ancora una volta siamo noi che soggettivamente non sappiamo. Se invece fosse vero che nessuna intelligenza superiore potrebbe capire il caso allora ciò significherebbe che questo ultimo è Dio o ne fa le veci. Nessuno però sa con certezza se l’inconoscibilità è soggettiva, cioè riguarda i nostri limiti mentali, oppure se è oggettiva e nessuno può farci niente. Forse aveva ragione Kant. C’è un limite oltre cui non si può conoscere, un orizzonte conoscitivo, la cosa in sé, il noumeno. Chiamatelo come vi pare. Spero di essermi espresso bene. Nel mio piccolo penso che non solo il caso ci sovrasti, per quanto noi cerchiamo di studiare il numero di eventi possibili e il numero di eventi simili, ma che la nostra logica sia totalmente inadeguata. A livello microscopico la scienza ci dice che tutto è indeterminato, mentre noi a livello reale vediamo spesso solo determinismo. Chi non si è mai fatto tentare dal determinismo biologico o dal determinismo economico? Non dicono spesso biologi, psicologi e medici: “siamo molto più determinati di quello che si pensava un tempo”? Forse il nostro modello è inadeguato come io da bambino che alla fine della vacanza insieme ad un mio amico sotterravamo a mezzo metro di profondità due lattine vicine ai nostri ombrelloni e pensavamo di trovarle lì un anno dopo, sapendo i numeri degli ombrelloni, ma non considerando che i bagnini avrebbero lavorato con la sabbia, l’avrebbero ripulita con i rastrelli e le reti, avrebbero tolto gli ombrelloni, poi cambiato la loro sistemazione, piantandoli di nuovo. Avevamo 4 o 5 anni e questi fattori ci erano sconosciuti. Allora quando ci ritrovavamo un anno dopo e constatavamo che le lattine non c’erano davamo la colpa alla marea. Fattore improbabile, comunque uno dei tanti, perché avevamo gli ombrelloni dove non arrivavano le onde. E se il genere umano fosse un bambino, che spesso fa teorie strampalate? Io sono un uomo comune ma talvolta mi pongo questi interrogativi e mi sembra, più passa il tempo, di essere come il mio cane che da giovane faceva la caccia alle lucertole e le catturava, mentre ora non ne cattura più nessuna perché è invecchiato e gli mancano i riflessi. Forse ora anche a me mancano i riflessi per cogliere a pieno la realtà. Passanti, compagne di viaggio in treno, compagne di studi, colleghe di lavoro sono determinate dal caso nella stragrande maggioranza dei casi. Le amiche, le amanti, le fidanzate e le mogli invece vengono scelte. Ci sarebbe da chiedere se siamo noi che scegliamo oppure se siamo scelti. Per quel che mi riguarda ora sono solo. Sorvolo sulle passanti, che talvolta da giovane causavano rapimenti estatici, ma finiva sempre tutto lì. Rarissimamente c’era una intesa di sguardi perché non sono un tipo piacente. Mi vorrei soffermare sulle compagne di viaggio. Nella stragrande maggioranza dei casi il viaggio finiva con un nulla di fatto, sebbene io molti anni fa non lasciassi nulla di intentato. Cercavo di conversare, di attaccare bottone, aspettavo il momento propizio (il ritardo del treno, lo sciopero dei controllori, una giornata di brutto tempo, l’aria condizionata che non funzionava se eravamo su un rapido… insomma ogni scusa era buona). Ricordo che conobbi una delle ultime punk italiane. Era una bella ragazza e passai tutto il viaggio a sorbirmi tutte le motivazioni possibili ed immaginabili della scomparsa del movimento dark, di cosa significava essere dark, degli equivoci di varia natura riguardo ai dark, eccetera eccetera. A me non importava nulla, ma speravo che mi fosse data una possibilità (sarei diventato dark anche io) ed invece era già fidanzata, naturalmente con un dark. Ricordo che conobbi una ragazza di Firenze, che era disoccupata e che aveva lavorato come maschera in vari cinema di Londra per diversi anni. Era fidanzata. Ricordo che conobbi di ritorno da Pisa una ragazza di Cascina, che lavorava alla Piaggio come operaia. Qualche scambio di battute ma anche lei aveva il ragazzo! Ricordo che conobbi una ragazza di Castelfranco Veneto, che era titolare di una azienda agricola. Diceva che i dipendenti non la rispettavano perché c’era molto maschilismo. Naturalmente si stava recando a Bologna per andare a trovare il suo ragazzo. Ricordo una ragazza di Torino che faceva l’impiegata per un istituto di ricerche araldiche. Diceva che non ne poteva più di zoticoni ricchi che volevano avere il sangue blu. Io le risposi che non è la stirpe che nobilita l’uomo, ma l’uomo che nobilita la stirpe. Però mi sembrava un poco ossessiva e problematica. Forse era solo una mia impressione errata, ma decisi di non rivederla più. Ricordo che una volta a Bologna conobbi una ragazza di Arezzo. Ci scambiamo il numero di telefono. Se lo scambiò anche con un altro. Poi una volta che le telefonai mi disse che aveva scelto l’altro. Una volta sempre a Bologna conobbi una ragazza padovana, ma poi non mi considerò più perché si mise a parlare con un uomo romano. Lei era diretta a Roma e cercava una avventura con uno del posto. Io scesi a Firenze con le mani in mano. Ma quella che ricordo in modo più nitido è una ragazza che mi aveva rifiutato anni prima e casualmente si trovava nel mio stesso scompartimento. Leggevo il libro, anzi lo leggicchiavo tanto per passare il tempo. Prendevo tempo, guardavo fuori dal finestrino, poi ogni tanto la guardavo di sfuggita, di tanto in tanto mi cadeva l’occhio, osservavo in attesa che succedesse qualcosa. Ci ignorammo reciprocamente. Non ci dicemmo una parola. Lei aveva le cuffie e ascoltava musica come se io non esistessi. Io fingevo indifferenza, ma ero in tumulto, anzi ribollivo. Era passato del tempo ma non mi lasciava ancora indifferente. Il caso me l’aveva ripresentata davanti. Nemmeno ci salutammo. Sono sicuro che se le chiedessero di me ora neanche si ricorderebbe chi sono. Per lei ero una nullità assoluta. Ah gli amori sognati e trasognati! Ah gli amori non ricambiati ed inappagati! Secondo il taoismo dovevo lasciare che le cose scorressero, che gli eventi accadessero. Dovevo lasciarmi andare, dovevo consegnarmi in balia della corrente degli accidenti e degli imprevisti? Oppure dovevo ritrovarmi nelle piccole cose quotidiane? Scelsi la seconda via, non prendendo per anni più il treno e riscoprendomi stanziale, senza più cercare l’amore a tutti i costi. Cercai di nascondermi il più possibile dal caso e ci riuscii benissimo. Ma ogni tanto mi fermavo a guardare i treni. Rimanevo lì alcuni minuti attonito, pensando che forse anche la mia osservazione avrebbe modificato in modo marginale la nascita o la fine di un amore su uno di quei treni.

    Lascia un commento

    Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

  • in

    L'anziano signore (racconto brevissimo)

    L'anziano signore qualche giorno prima aveva parlato col medico. Doveva essere operato urgentemente. Il dottore aveva detto che c'erano diverse probabilità che l'intervento non andasse bene, tuttavia era necessario intervenire. Non si poteva fare altrimenti. L'anziano poteva morire sotto i ferri. Non si sarebbe accorto di niente. Sarebbe passato dall'anestesia alla morte. Il signore era come sosp... Altro...

    L'anziano signore qualche giorno prima aveva parlato col medico. Doveva essere operato urgentemente. Il dottore aveva detto che c'erano diverse probabilità che l'intervento non andasse bene, tuttavia era necessario intervenire. Non si poteva fare altrimenti. L'anziano poteva morire sotto i ferri. Non si sarebbe accorto di niente. Sarebbe passato dall'anestesia alla morte. Il signore era come sospeso in un limbo. Era ansioso oltremodo. Era spaventato. Aveva una grande paura di morire. Era sempre stato bene fino ad allora e non aveva mai pensato seriamente alla dipartita. Si preparò, si vestì, preparò la borsa e si incamminò per recarsi all'ospedale.  Durante il tragitto cercò di non pensare a niente, ma la grande preoccupazione continuava a gravare sulla sua psiche. Aveva dei dolori diffusi in tutto il corpo ma riusciva ancora a passeggiare, seppur lentamente. L'importante era non inciampare. Quindi si mise a riflettere che quel giorno poteva essere il suo ultimo giorno, che doveva pregare, che si doveva confessare al frate che passava di camera in camera. Meditò anche sul fatto che anche se fosse morto nessuno si sarebbe addolorato veramente, nessuno avrebbe versato lacrime. Nessuno avrebbe aspettato di sapere l'esito dell'operazione in sala di attesa. Nessuno si preoccupava per lui. Nessuno aveva a cuore la sua sorte. Da un lato era un bene perché nessuno avrebbe sofferto in quanto era un uomo solo. Dall'altro lato nessuno lo avrebbe ricordato. Quel percorso da casa sua all'ospedale lo aveva fatto per decenni quando voleva prendere una boccata di aria fresca e sgranchirsi le gambe. Ricordò che un tempo portava in quella zona anche il cane al guinzaglio e quel quadrupede era morto da tempo immemorabile di vecchiaia. Guardò il cielo completamente limpido che non rispecchiava in alcun modo il suo stato d'animo. Per la maggioranza degli uomini quel giorno era uno come un altro. La maggioranza degli uomini nemmeno si sarebbe ricordata minimamente di quel giorno. Per lui era un giorno fatale, decisivo, cruciale. Osservò le case, le strade, i palazzi, gli alberelli, le fratte, le foglie marce a terra. Niente e nessuno sembrava partecipe dell'inferno terreno per il momento che stava vivendo. Conosceva ogni buca dei marciapiedi. Conosceva ogni rigonfiamento del suolo per le radici dei pini. Cercò degli spiccioli. Li contò. Entrò nel solito bar. Era un avventore abitudinario. Ordinò il solito cappuccino. La barista giovane e bella lo guardò intensamente. La ragazza notò come una luce strana nel fondo degli occhi del suo anziano cliente. Avrebbe voluto iniziare a discorrere con lui, era da due anni che lo vedeva ma si era sempre peritata. In fondo a volte bastava poco per rallegrare la giornata di un anziano. Bastava scambiare due parole, anche solo due frasi di circostanza. Il signore la squadrò dalla testa ai piedi. La ragazza era molto avvenente. Pensò che gli sarebbe piaciuto scambiare due chiacchiere con lei, ma ormai quel che era fatto era fatto. Ormai era troppo tardi. Non era era per secondi fini o perché aveva delle mire espansionistiche. Era un modo come un altro per rompere la solitudine. Come tutte le altre volte però entrambi rimasero in silenzio e vinse ancora una volta il non detto. Si pulì le labbra con una salvietta, si tolse i residui di schiuma. Voleva essere presentabile di fronte al medico e alle infermiere. Oramai non gli restava che quello. Non gli restava che preoccuparsi di questi dettagli insignificanti. Purtroppo il suo destino era tutto nelle mani altrui. Meditò anche sulla defecatio post mortem. Pensò al cattivo odore che avrebbe emanato se fosse morto. Era un fenomeno imbarazzante, ma era ciò che avveniva a quasi tutti. In fondo il personale sanitario c'era abituato a certe cose e poi una volta morti si deve rendere conto solo al Creatore, se esiste, non di certo agli uomini. Quindi pagò il conto. Sorrise alla ragazza. Si avviò verso l'ospedale. L'operazione poi non andò a buon fine. La ragazza per mesi si chiese che fine avesse fatto quel signore così gentile, quindi si mise l'animo in pace. Non ebbe alcuna notizia del signore, anche perché non sapeva minimamente chi fosse: lo conosceva solo di vista. In poco tempo si dimenticò per sempre di quell'anziano signore. 

    Lascia un commento

    Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

  • in

    Conosci te stesso (gnōthi seautón)

    La luna, quella sera, brillava nel cielo in tutto il suo chiarore, riflettendo la sua luce sulle colonne di pietra rosa. Tutti brindavano intorno al fuoco, tranne me. Preferivo starmene in disparte, sui gradini dell’anfiteatro, ad ascoltare l’eco dei sassi che lanciavo un po’ per gioco, un po’ per rompere il silenzio e smaltire il mio malumore. Mi chiedevo per quanto tempo avrei dovuto viv... Altro...

    La luna, quella sera, brillava nel cielo in tutto il suo chiarore, riflettendo la sua luce sulle colonne di pietra rosa. Tutti brindavano intorno al fuoco, tranne me. Preferivo starmene in disparte, sui gradini dell’anfiteatro, ad ascoltare l’eco dei sassi che lanciavo un po’ per gioco, un po’ per rompere il silenzio e smaltire il mio malumore. Mi chiedevo per quanto tempo avrei dovuto vivere in quel tumulto di speranze e timori, di domande senza risposte, di silenzi  imposti dalla sorte. E fu in quella miscellanea di sensazioni che sentii  balenarmi nel cuore un guizzo, una scintilla, una grande verità: non avrei mollato.

    Passeggiando sotto il porticato, i miei occhi si posarono su una iscrizione incisa su una vecchia fontana “Ricordati di osare”.

     Tra le ombre della sera, sgattaiolai di soppiatto verso casa con quel passo veloce e leggero che assumevo quando sentivo scorrermi nel petto il fiume della speranza. Con un balzo deciso superai il muretto a secco, imbrigliando il lembo del vestito attorno alle radici sporgenti degli ulivi. A quanto pare la mia ombra si allungò più del dovuto, stagliandosi sulla fiamma dei falò. Tutti si girarono verso di me, fissandomi con aria di sfida. D’improvviso mi sentii diversa, ed una fiamma ardente divampò nel petto, illuminando il mio sguardo. Non avevo più paura.

    Il progetto era pronto, sulla carta, sulla pietra, nei miei sensi, nei miei pensieri. Desideravo con tutta me stessa che quel lavoro, a cui  stavo dedicandomi con tanta passione, fosse preso in considerazione dal capo progettista. Avevo costruito qualcosa di meraviglioso e rivoluzionario, e di questo ne andavo fiera. Ma l’ostacolo più grande da superare era il pregiudizio degli uomini, che spesso schernivano le mie idee, non apprezzavano, non consideravano, non capivano.

    Persino mio padre mi aveva relegata al difficile e subalterno ruolo di donna di casa, remissiva ed ubbidiente, a cui era concesso di uscire di casa soltanto in caso di matrimonio, festa religiosa o nascita di un figlio, (possibilmente maschio!) donna a cui era concesso soltanto di suonare il cimbalo, la cetra e l’aulos, o  al massimo, di tessere  tutto il giorno la tela, senza poter  mai discutere  di nient’altro che non fosse strettamente legato alle mura domestiche. Socrate, mio amico da sempre, più volte mi aveva invitata a riflettere che la bravura non appartiene solo agli uomini ma anche alle donne, alle persone tutte, senza alcuna distinzione, come amava spesso dichiarare, sorridendomi fiducioso.

    “ Il nous, l’intelletto, è un dono che non va represso ma coltivato, come una pianta che deve affiorare in superficie, altrimenti la terra tutta ne soffrirebbe ”  soleva ripetere a tutta l’assemblea. La filosofia della maieutica mi aveva aiutata a scoprirmi coraggiosa ed autentica, a formarmi e a capire cosa volessi veramente dalla vita.

    Il tiranno Pericle aveva bandito una gara  rivolta a tutti gli artisti ed architetti del Peloponneso: chi fosse riuscito ad impreziosire il tempio della dea Atena con statue, bassorilievi o colonnati di gran pregio, avrebbe vinto una parte del tesoro di Delo. Inoltre al vincitore sarebbe stato conferito il titolo di “artista ufficiale della città di Atene e del Peloponneso”,  tra  grandi onori e rami di lauro d’oro.

    Il tiranno non si fece attendere, ed un giorno, quando nessuno se lo aspettava,

    piombò con i suoi uomini presso il cantiere del tempio. Tutti gli artisti, architetti e progettisti mostrarono con orgoglio i loro disegni, che Pericle osservò con  grande perizia. Guardai la scena da lontano, seduta in fondo ai gradini  dell’anfiteatro e, pur non volendo, ascoltai i discorsi di Prassitele e Fidia. I due  stavano confabulando qualcosa di poco chiaro; notai che il loro tono di voce  all’improvviso si fece  sommesso. Avvicinandomi con circospezione appurai ciò che stavano complottando:

      il giorno dopo  avrebbero posizionato sei  giganteschi telamoni, all’insaputa di tutti coloro che partecipavano alla gara d’appalto. In un primo momento fui assalita da un senso di rabbia e di sconforto. Tuttavia sentii salirmi lentamente nell’animo una piacevole sensazione di rivalsa.  Mi  era appena balenata un’idea che avrebbe ribaltato la situazione  a mio favore…

    Tempo prima avevo nascosto il mio lavoro nei depositi sotteranei del laboratorio di scultura di Prassitele, dove lavoravo oramai da anni, all’insaputa di tutti, tranne del capomastro; lì, avevo disposto trecento pezzi da assemblare in un  certo ordine numerico, tale da ottenere uno spettacolare risultato, unico nel suo genere. Si trattava, tuttavia, di una tecnica sperimentale, mai utilizzata prima, di cui  mi assumevo il rischio, con tutte le conseguenze del caso. Avevo, però, bisogno di  numerosi collaboratori per poter montare i pezzi ed ottenere il risultato sperato. Dovevo agire subito, per poter battere sul tempo tutti quelli che pensavano di avere ormai la vittoria  in pugno.

    Alcune ore prima, Pericle ed il Consiglio dei Sette Savi si erano riuniti in gran segreto, per decretare il vincitore della gara. Il filosofo Socrate, con tono fermo ed imperturbabile,  fece qualche velato riferimento ad un interessante progetto  portato avanti da una donna.  Da subito, il Consiglio,  andò su tutte le furie; l’idea fu giudicata scandalosa ed inconcepibile, da insabbiare quanto prima.

     Pericle impose perentoriamente che nessuno in futuro avrebbe dovuto più parlarne, pena l’esclusione sociale o l’esilio.

    Appresa la notizia, capii che non era più tempo di pensare ma era giunta l’ora di agire. Decisi allora di chiedere aiuto a Socrate, l’unico uomo che credesse in me e nelle mie capacità. Unendo le nostre forze, riuscimmo a dare inizio ad una grande catena solidarietà, radunando, nel giro di una notte,  tutte le donne di Atene, Sparta, Micene, Carie, Coos, Argo, Gortyna, Lindos e Larissa. Il buio fu d’improvviso illuminato da una lunga fiaccolata, intensa come un fiume, ed ardente come la voglia di riscatto di tutte le donne ghettizzate e sottostimate dal contesto maschilista, accecato da pregiudizi ed innata supremazia. Ci mobilitammo insieme, e con l’utilizzo di  funi, carrucole, ganci  e tronchi d’albero, riuscimmo a spostare e sollevare tutti i  blocchi di pietra presenti nel deposito. Lavorammo con solerzia, ma sempre con il sorriso e la consapevolezza di chi sta per cambiare il corso della Storia. Seguendo un ordine metodico e preciso riuscimmo, pian piano, ad assemblare i vari pezzi come in un minuzioso mosaico che, ultimato, mostrò la sorprendente immagine di sei imponenti ed incantevoli statue, che, per la prima volta, riproducevano l’immagine femminile. Non più colonne e capitelli, ma donne orgogliose, libere, fiere di essere, di esistere, di brillare per bellezza e proporzioni, per armonia e semplicità, con il viso rivolto all’eternità e le gambe poste, l’una verso il presente, e l’altra  verso il futuro. Donne con lo sguardo orientato alle nuove generazioni, a cui sarebbe giunto il loro messaggio di dignità, forza ed intensa solidarietà femminile. Volli chiamarle Cariatidi, in onore delle ‘donne di Carie’, città del Peloponneso, in cui vivevano solo donne in situazione di schiavitù:  per questo ritenni opportuno che  venissero raffigurate finalmente  come simbolo di ritrovata libertà.

     Il giorno dopo ognuno, contemplando la maestosità dell’opera, pensò ad un evento soprannaturale e al prodigioso intervento della dea Atena. Il buon Socrate, in cuor suo, pensò che era giunto il momento di  rivelare a Pericle la reale versione dei fatti: che proprio Tyche, la sua seconda e ribelle figlia, aveva realizzato le sei Cariatidi che reggevano ed adornavano l’Eretteo del tempio della dea Atena!

    Di fronte a tale verità, il mio tirannico padre rimase fortemente perplesso sulle mie reali potenzialità, avendomi, da sempre, considerata  “solo una donna.”

    Dopo lunga riflessione e dettagliate indagini sulla faccenda, mio padre fu costretto ad ammettere che anche noi donne siamo in grado di realizzare grandi sogni. Fu così che decise di offrirci maggiore possibilità d’espressione, di  tutelarci con leggi capaci di restituirci quella tanto ambita dignità, e quell’agognato decoro, negato in secoli di oblio. Da quel momento, egli, si aprì ad idee innovative, più moderne e coraggiose, a metodi politici meno restrittivi e poco autoritari.

    Inoltre decise di liberare dalla schiavitù tutte le donne della città di Carie, a cui si aggiunsero  molte  altre città- stato e colonie sotto la  sua egemonia.

     Infine organizzò una grande cerimonia, in cui fui da lui stesso incoronata  “artista ufficiale del Peloponneso”. Gran parte del tesoro di Delo, ricevuto in dono, volli destinarlo all’Associazione “Amiche solidali nella Libertà”.

    Per la prima volta nella mia vita  mi sentii finalmente soddisfatta, e libera di poter  essere semplicemente me stessa.

    Tuttavia c’era ancora qualcosa che mancava al puzzle per poter essere completo, qualcosa che nel cuore brulicava facendo rumore. Un rumore che  aveva un nome ben preciso: riconoscenza.  Per questa ragione, decisi di donare a  Socrate il Lauro d’Oro, poiché  senza di lui non  sarei mai riuscita a realizzare una impresa  tanto complessa ed ardua.

    Ma lui, con la sua innata umiltà non tardò ad affermare: “Questo Lauro lo meriti pienamente, perché vale più di ciò che rappresenta. Non è soltanto un premio alla tua creatività, ma soprattutto al tuo coraggio, alla tenacia dimostrata, all’amore per le idee, all’inizio di un nuovo e luminoso percorso in nome della libertà e  della parità dei diritti tra uomini e donne. Ma il dono più grande che il Cielo e questi preziosi rami ti hanno concesso è quello di amare e conoscere te stessa”.

    Lascia un commento

    Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *