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IL SENSO BREVE DELLA FORMA (Wabi-sabi)

Vedi Gregor come si sbricia

la pagina del tempo,

ti specchi nell’amore

nell’occhio che s’incurva,

si stenebra lo scheggio,

dell’inope vigliaccio

non resta che uno stocco,

questa estraneità della bellezza,

dell’armonia stravolta

in un catino di mondiglia.

E si affannava in petto

il suono della cetra,

il movimento di abscisse code,

nell’agoraio sparve un velario 

di cetonie;

alla pispillòria si oppose

il gracidio di raganelle,

al chiòccio un sommerso sibilo.

Non so se più sofferse

a conciliare il mortaio col pestello,

tùrbinava sul viale lo sfoglio 

della spera,

enfiava sul ciglio un mielato di lapilli,

neppure le radici s’avvitavano

al torpeo calcagno, ai rugginiti

corrimani, a chi s’illuse 

di trovare linfa

nelle lame di dubbiati arcani.

Non di rado nel carnet s’arresta 

la grammuffa del parolaio,

la gravezza della quiete

in bigie rubrìche,

in un pulviscolo di nomi

ti smemorò il serrato ghigno.

Sdruccioli greppi trafiggono

il tempo ed il suo giogo,

sortiva in esso un sogno

il  rostro del cappello sulla fronte;

l’arte non ritempra la gabola 

di stilèmi

lo svàrio di parole rare

nel folto della crepa,

non scevra il disgrammato peso

sullo sfondo,

il respiro denso della melitèa

sulla plafoniera.

Thea Matera ©️

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