in

La mattina di un disoccupato…

Passare dall’edicolante e guardare le locandine dei quotidiani. Guardare le vetrine dei negozi, ancora chiusi. Guardare le macchine messe in divieto di sosta per qualche minuto, ma su cui tutti transigono perché i proprietari sono appena andati al bar a fare colazione. Mettersi a guardare le finestre che danno sulla piazza, scorgere qualcuno che vi si affaccia, intravedere qualche segno di vita. Passare dalla Misericordia e vedere chi è morto. Andare al bar e fermarsi a prendere un caffè. Guardare gli studenti che scendono dagli autobus. Intravedere il seno, il gluteo, le cosce ben fatte di una commessa. Osservare la vita che riprende nel primo mattino, che brulica nella cittadina e si concentra nel corso. Pensare che ognuno è chiuso in sé, nel proprio microcosmo. Pensare che forse mi trovo male perché non riesco a sintonizzarmi con altre menti. Ascoltare un vocio, quindi il rumore di un clacson. Starnutire, soffiare il naso e accorgersi che ci siamo svegliati con il rischio alla gola. Guardare allo specchietto se siamo pettinati e accorgersi che un anno fa la nostra barba non era assolutamente bianca, mentre ora qualche pelo ispido lo è. Ricordarsi di farsi tagliare i capelli con la macchinetta da mio padre, farseli tagliare quasi a zero per non andare dal barbiere e perché in questo modo si vede meno la calvizie incipiente. Parlare con mio padre. Guardare per un attimo la prima pagina del giornale, che prende mio padre, ma non aprirlo perché il rito vuole che sia lui a farlo. Vedere nella prima pagina che un ex campione di tennis ha fatto bancarotta fraudolenta e andrà in prigione. Ascoltare la radio. Sentire le ultime notizie sulla guerra in Ucraina, sentire che la diplomazia è ancora in alto mare, quindi distrarsi ascoltando “Year of the cat” di Al Stewart per l’ennesima volta, ma accorgersi che ogni volta è sempre un piacere. Passare dalla stazione e osservare il giro che c’è. Poi andare a lavare la macchina. Svolgere piccole commissioni come comprare il pane. Chiedere i piselli, ma non trovarli e poi ascoltare la negoziante che ci dice che oramai tutti li vogliono già sgranati. Fermarsi a un negozio per sentire se ci ripareranno il divano oppure se hanno troppo lavoro e se dovremo rivolgerci a qualcun altro. Cercare un altro negozio di divani al cellulare. Digitare su Google “produzione divani Perignano”. Quindi mio padre non è contento. Allora cercare “tappezziere Ponsacco”. Ma neanche allora i risultati lo soddisfano. Quindi provare con “creazione divani Pontedera”, ma niente di fatto. Infine tornare a casa perché mio padre deve prepararsi, dato che ha un pranzo (un evento a cui non può mancare, vero mix di dovere, piacere, formalità, rimembranza). Cosa altro c’è da fare questa mattina? Non c’è niente da pensare. È un giorno come altri. Questo giorno non ha niente di speciale come me, come la mia vita del resto. Pranzo presto. Mangio due uova al tegamino e un tramezzino al tonno. Mi rendo conto che la lampadina della camera è fulminata. Sono con poco passato e mi resta pochissimo avvenire, forse. Questa mattina è stata solitaria come me del resto o quasi. Mi chiedo se sono io nevrotico, se è nevrotica la mia condizione o se addirittura è nevrotico il mondo. Torno a pensare che in Italia c’è gente che non sa per niente la differenza tra psicologia e psichiatria. Comunque basta accendere la televisione per sorbirsi pessimi esempi di psicologi e psichiatri. E dire che quelli vengono chiamati lì perché sono ritenuti i migliori! Però ci sono esperti della psiche preparati e umani. Alla televisione vanno i narcisisti e gli arrivisti: è una selezione antidarwiniana a mio avviso. Io sono matto ma forse ognuno a suo modo è matto. Ci sono solo pazzie più o meno accettabili socialmente: ecco tutto! Un tale mi ha scritto che lui non ci crede che nella mia vita non succeda mai nulla, che sia tutto così noioso, che sia così solo. Non ho risposto. Non mi interessa essere creduto. Mi interessa piuttosto che alcune persone sentano quello che io provo tramite i miei scritti. Mi vengono in mente dei flashback. Poi mi metto a pensare che non ho mai avuto una comitiva con cui fare un falò sulla spiaggia, passare dei giorni in una baita o in una casa di campagna. La mia vita è sempre uguale. Ogni giorno sembra la replica di una replica dei giorni passati. Ma forse sono io il replicante dei miei giorni o forse il destino. D’altronde sono anche mie le colpe se a cinquanta anni o quasi non ho ancora trovato la mia strada e non ho ancora una mia vita, come si usa dire banalmente, comunemente. Poi mi dico perché qui da noi le persone si vogliono perdere per ritrovarsi, forse hanno sbagliato tutto perché bisogna ritrovarsi per perdersi di nuovo e ricominciare tutto da capo. Penso al film di ieri di Bridget Jones. Sarà pure vero che Bridget Jones e Sex and the city sono le due facce della stessa medaglia, cioè di New York, ovvero divertimento sfrenato e alienazione, sesso a go go e solitudine. Ma sarei un pesce fuor d’acqua oramai se mi trasferissi là. Probabilmente finirei a fare il barbone e non avrei nemmeno la copertura sanitaria. Insomma l’America è un sogno irraggiungibile e totalmente irrealizzabile. Dovevo andare da giovane. Come si suol dire non è un paese per vecchi. Invece l’Italia è un paese di anziani. Devo solo aspettare il mio turno. Passo in rassegna i momenti felici e quelli infelici, ma è un esercizio inutile oltre che ingannevole perché ora non è il momento di tirare le somme. Io sono chi non sono, io non sono chi sono: questo è il mio senso di disappartenenza, di identità dislocata, quasi rovesciata. Ma forse è un gioco di parole anche questo. Una delle stronzate che mi passano nella mente. E a voi passano solo idee geniali per la testa? Siete tutti di geni voi? Non scrivo per rappresentare me stesso, ma per essere me stesso. Forse l’unico luogo dove sono me stesso sono questo campionario ristretto di parole. Le parole non servono, ma sono l’unica cosa che ho, che mi appartiene. Ma ne sono davvero sicuro? Le parole sono puttane: sono di tutti e di nessuno. La realtà è che niente in questa vita ci appartiene, neanche le cose, le qualità, i cari che sentiamo davvero nostri e saremmo pronti a fare uno sfacelo se ce li portassero via in un modo che tutti noi sentiremmo come ingiusto. Comunque ritornando alle parole, sia ben chiara una cosa: io scrivo così perché mi piace scrivere così, perché mi ritrovo in questa modalità di scrittura, che non definirei stile; non sono come uno che, se gli chiedono di disegnare qualcosa a piacere, disegna sempre lo stesso albero perché è l’unica cosa che sa fare. Io voglio scrivere queste cose perché mi riguardano direttamente. Una volta pensavo che non volevo diventare me stesso sia perché non ne avevo il coraggio sia perché significava che io ero ancora troppo altro da me. Guardo passare un treno. È da anni che non ne prendo uno. Mi basterebbe un treno regionale. Mi accontenterei. Mi dico che dovrei accettare dei compromessi, che in fondo anche uno perennemente contro come il grande Luciano Bianciardi dedicò “La vita agra” a Carlo Ripa di Meana, rispettabilissima e stimabilissima persona, però nell’ottica del sistema. Ma poi mi dico che io oramai sono come il poeta Attilio Lolini: anche se cercassi di vendere la mia onestà nessun potere la comprerebbe. Infatti chi se ne fa qualcosa di me, giunto a questa età? Insomma è anche un bel dire vendersi; bisogna sapersi vendere e trovare qualcuno disposto a comprarci. Essere disposti a vendersi è troppo poco. Potrei solo raccogliere i miei scritti e pubblicarli a pagamento. In fondo l’editoria a pagamento è rispettabile perché è un business anche quello e chi pubblica in quel modo fa girare l’economia. Penso che basta pubblicare a pagamento uno o due ebook sulle solite piattaforme digitali per essere considerati da Google degli “autori”. Pubblicazioni di questo tipo non risolverebbero i miei problemi. Sarei lo stesso identico di prima, anzi con degli euro in meno. Che cosa ne ho fatto della mia vita? Che cosa è rimasto della mia esistenza? È solo un compendio di frasi smozzicate, di respiri affannosi, di sguardi clandestini, di contatti formali e sporadici. Insomma la mia vita è fatta di niente o poco più, si basa su niente o poco più. I miei giorni sono la quintessenza del niente. Ma forse dovrei essere contento che Dio o chi per lui ha ridotto la mia vita all’essenziale. A volte però mi dico che il Creatore mi ha tolto l’essenziale o quello che sembra essenziale a molti. Dovrei scopare alla mia età. La maggioranza indica che scopare è salutare. Il sesso è la via più facile, più appagante per essere felici per qualche istante. Poi però si ritorna con i soliti problemi, ma almeno uno per qualche momento è evaso dai soliti guai. Spesso il sesso crea altri guai, ma le persone spesso dicono: “ad averne di questi problemi” oppure “almeno mi sono tolto una soddisfazione” oppure “è stata una vera goduria!”. Insomma regna l’incoscienza. Comunque nessuna ci sta con me. Nessuna fa niente per niente. Forse si potrebbe sintetizzare tutto così. Dovrei uscire almeno con una tipa e scoparla. Invece non ho nessuna disponibile. Alle 9 di sera sono già in pigiama a dormire. Mi alzo la mattina molto presto. Alle 5 del mattino sono già vestito. Come al solito do da mangiare al cane. Se dovesse finire ora la mia vita sarebbe una vita lasciata a metà o forse lasciata ancor prima della metà: una vita sprecata nella noia, buttata via, trasandata, tralasciata, dimenticata in un angolo, data quasi per scontata, sopportata a mala pena e a denti stretti, come la vita di molti. Un tempo quando avevo 16 anni pensavo che fare soldi avrebbe risolto i miei problemi. Pensavo che avrei fabbricato cessi a poltrona. In fondo doveva continuare l’evoluzione dei cessi. Prima c’erano i bagni turchi e poi erano migliorati. Oggi dopo più di trent’anni questa evoluzione non è ancora avvenuta, i tempi oggi non sono ancora pronti. Una donna ha brevettato l’idea ma nessuno l’ha ancora realizzata. Nessuna ditta ha messo in commercio cessi a poltrone. Sono sempre stato troppo avanti. Importante è sapersi accontentare di poco, anche di niente. Ma accontentarsi di vivere dovrebbe essere il minimo, altrimenti si è solo degli ingrati nei confronti di Dio. E poi tempo qualche anno o forse ancora prima e saremo pronti per la tomba! Si ha comunque un bel dire a dire “dolce far niente”. Talvolta invece la vita è quasi intollerabile quando non c’è niente da fare. Ma questo molti non lo capiscono o non lo vogliono capire perché mi ripetono: “io qualcosa da fare lo troverei. Io non sto con le mani in mano. Io non mi annoio mai nel tempo libero. Stanne tranquillo”. Il problema vero però è quando il tempo libero diventa tutto il tempo e la sola occupazione.

Cosa ne pensi?

1 Blop
Blop

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Miniracconto disadorno…

Oggi ho sbagliato…