È solo il perbenismo di molti considerare accettabile e più piacevole andare a letto con una ragazza reputata seria che con una pornostar o una ragazza di nightclub. Se fossi più giovane, più libero mi piacerebbe sposare una prostituta e salvarla dalla strada, ammesso e non concesso che volesse essere salvata e da me poi. Vedo nella pornostar, nella ragazza di nightclub, nella prostituta un’onestà completa che altre donne non hanno. Molti vogliono il mistero in una donna, considerata seria, ma il mistero si può vedere in ogni donna, nessuna esclusa. Molti sono limitati dalla gelosia, dalla smania di possesso. Considerano una donna libertina come una “pubblica moglie”. La considerano inferiore. Nessuno però sa dove inizi la libertà e finisca la necessità in scelte del genere e anche se si trattasse di piena libertà sono scelte anch’esse rispettabili. Invece ci vuole rispetto perché la prostituta è sempre stata la fidanzata o la moglie di qualcuno , è la figlia o la madre di qualcun altro. Come non ricordare poi Maria Maddalena? E poi uomini ditemi quante volte avete usato e gettato via una donna, cioè l’avete trattata da puttana? E voi donne ditemi quante volte vi siete fatte usare e gettare via come una puttana? Io sono tra quelli che vedono in una prostituta un candore, una purezza che altre donne, considerate morigerate, non hanno. Ma non fate pensieri affrettati: non vado a puttane, anche perché non ho i soldi! E non pensate che tutte le donne dovrebbero essere più puttane secondo me o che consideri tutte le donne un poco puttane. Niente di più sbagliato! Come aveva capito De André però le prostitute non danno solo piacere, fanno molto di più per il prossimo.
Inutile giocare con gli intellettualismi. Alle volte è bene guardare in faccia la realtà, guardarsi allo specchio. Lo so che è sempre patetico fare dei bilanci esistenziali. È tutto tranquillo, ma qui il tempo potrebbe stringere. Inutili sono gli esercizi di stile. Inutile nascondersi e mentire a sé stessi. Sono qui; sono solo con me stesso e mi interrogo, interrogo me stesso. Sono domande comuni, ma mi stanno più a cuore di tanti sofismi. Le domande e le considerazioni che seguiranno saranno banali e scontate, ma pressano dentro me, vogliono uscire a tutti i costi; sento che devo comunicarle. Urgono dentro me. In tutta onestà cosa è rimasto? Cos’è rimasto di quel ragazzo? Cos’è rimasto di quel sedicenne insicuro, goffo, diffamato? Cos’è rimasto di quel sedicenne rifiutato dalle ragazze? E di quel diciottenne che faceva avanti e indietro da Firenze a casa per inseguire le sue coetanee? E di quel ventenne che cercava la sua generazione e provava l’amore durante un’occupazione? E di quello studente contestatore e svogliato? E di quel lettore accanito? E dei suoi amici? Delle ragazze che ci sono state? Di quelle che lo hanno rifiutato? Di quelle sbornie con gli amici pisani? E di quei pomeriggi noiosi nel suo negozio!? E di una passante che gli sorrideva, poi faceva sesso con tutti gli altri e non con lui? E di quell’epoca? Di quelle polemiche? Di quei dissapori? Cosa è rimasto di quegli incontri fugaci? Cos’è rimasto delle albe e dei tramonti visti? Degli incontri? Di tutti i visi e di tutte le voci? In tutta onestà mi chiedo, come Battiato in Mesopotamia, cosa rimarrà? La ascolto spesso quella canzone. È difficile trovare una canzone sia esistenziale che metafisica. Cosa rimarrà delle mie cose scritte? Delle parole dette? E poi mi chiedo a cosa è servita la mia vita? Si continua a vivere così ignorando il fine ultimo della vita. I giorni trascorrono brancolando nell’incertezza. L’umanità rifiuterà il mio lascito. Non sarà una vita degna di essere ricordata. Inutile essere troppo nostalgici e finire di cadere nel melenso. Oramai quel ragazzo è diventato un uomo attempato senza alcun ruolo. Un pover’uomo e per giunta solo. Lo so che c’è di peggio che sublimare piccole sofferenze interiori, disagi esistenziali, inadeguatezza, assurdità, solitudine. Non è però commiserazione ma la presa di coscienza di un dato di fatto. Di quel ragazzo, come di molti altri non resterà niente. Ma questo non è un dramma. Non è importante sapere cosa resterà, a cosa è servito, dove finirà questo giorno. Importante è averlo vissuto. Già avere questa consapevolezza esistenziale, questa accettazione del destino è abbastanza. Forse tutto passa e niente resta: ma anche questa è un’ipotesi tra le tante, anche se tra le più accreditate. In realtà non ne siamo sicuri. Importante comunque è esserci incontrati, aver sognato assieme, aver amato, aver cercato invano di lasciare una traccia nell’animo gli uni degli altri, aver cercato un senso, non averlo trovato e allora aver cercato di dare un senso. Importante è aver vissuto. Tutto questo non lo potrà togliere nessuno a quel ragazzo, a tutti quei ragazzi come lui. Tutto questo non ce lo potrà togliere nessuno. E quando me ne andrò, quando ce ne andremo ci saranno altri ragazzi con la stessa voglia di vivere e la stessa identica ricerca di assoluto. E poi altri ancora e poi di nuovo. Forse all’infinito.
Desiderare un nuovo pensiero o pensare un nuovo desiderio? Desiderare o pensare? Desiderare e pensare? Come è labile il confine. A riprova del fatto ci si ricordi che il fidanzato dice alla ragazza “ti ho pensato” che significa spesso “ti ho desiderato”, anche se non sempre. Forse il desiderio è solo un pensiero molto avventato e molti pensieri sono desideri più avveduti, ponderati, sorvegliati. Nella testa spesso è difficile trovare una linea di demarcazione perché tutto è ingarbugliato. Alcuni vorrebbero essere puristi e pensano che il desiderio avveleni il pensiero o viceversa. Eliot era onesto intellettualmente: lo scriveva a chiare lettere che c’era una confusione tra “memoria e desiderio”. Confessatelo anche voi, maestri dello spirito, che è difficile fare chiarezza, fare luce. Confessatelo almeno a voi stessi.
Vivo e cerco di continuare a vivere. Non basta?