Faccio il tampone alla farmacia e mentre aspetto il risultato penso e ricordo. Mia sorella è lì di fianco. Aspettiamo l’esito senza alcuna trepidazione. Vada come vada. In fondo stiamo bene. Poi il risultato è negativo. Vado alla biblioteca a vedere quanti libri ci sono in vendita a pochissimi euro, anche libri di qualità, ma nessuno li vuole perché sono usati e c’è la paura del contagio. Affretto il passo sulla strada del ritorno, mentre sono tutto sudato, per arrivare a casa a un’ora decente; c’è da sbrigare alcune faccende… Ricordarsi all’improvviso di pomeriggi afosi ed estivi in una stanza d’albergo in una località imprecisata del lago di Garda oppure di una delle tante sere sulla soglia dell’ingresso a guardare la vita della piazza in attesa di chiudere la cassa e il negozio. Ricordarsi all’improvviso di tutto il tempo perso a rigirarsi nel letto, rimuginando in un mix quasi letale fantasie erotiche e frustrazioni sessuali. Ricordarsi scene di vacanze da bambino o da adolescente sotto l’ombrellone a Cecina oppure al bagno Trieste a Rosignano. Ricordarsi da giovane delle mie notti brave e poi il tempo passato in sala di attesa ad aspettare il treno del mattino, che mi riportava a casa. Ricordarsi tutte le notti insonni e i giorni sonnambuli da giovane. Ricordarsi i viaggi di due/tre giorni fatti con mio padre, a giro per l’Italia e pensare che forse non andremo mai a visitare Matera o che non ritornerò più nelle Marche o all’Aquila. Ricordarsi le cene con gli amici in varie località d’Italia, amici persi, mai più rivisti. Ricordarsi i pochissimi amori, gli incontri fugaci e i tanti rifiuti, le delusioni cocenti. Ricordarsi le ore distratte a leggere libri da studiare e le lezioni frequentate svogliatamente. Ricordarsi il vocio indistinto di una strada principale del centro o il brusio in una osteria. Ricordarsi i viaggi in treno, le impressioni guardando fuori dal finestrino, le viaggiatrici nello stesso scompartimento, i giochi di sguardi, le conversazioni, i silenzi. Ricordarsi tutte le passanti che abbiamo guardato e che non ci consideravano minimamente. Ricordarsi le passeggiate col mio cane, con mia madre al parco dei Salici o alla Sozzifanti. Ricordarsi tutti i sogni, le aspirazioni, i voli pindarici, le albagie, le illusioni, alcuni dichiarati, altri mai minimamente confessati, tutti abbattuti dalla realtà, dalla ragione, dall’età. Ricordarsi tutti i viaggi, tutte le città che ho visto. Ricordarsi tutte le nostre metamorfosi, le nostre idee, i nostri sentimenti, la nostra rabbia, le nostre malinconie, i miti creduti. Ricordarsi tutti gli omicidi, le scene di violenza reali o fittizie a cui abbiamo assistito alla televisione o su Internet. Ricordarsi tutti i libri letti e accorgersi che è rimasto solo un senso implicito, una conoscenza implicita. Ricordarsi le astrazioni, gli intellettualismi che non servono a proteggersi dai colpi bassi della vita né a fare da schermo per non mettersi a nudo. Ricordarsi che nessuna opera d’arte rende la vita fedelmente così come è. Ricordarsi della maturità acquisita, della pochissima arte, della insipida e scontata saggezza. Ricordarsi della teoria che si fa esperienza di vita e dell’esperienza di vita che si fa teoria. Ricordarsi di tutte le nozioni apprese, interiorizzate e poi lasciate andare, perdute per sempre. Ricordarsi tutte le nostre conversazioni, le frasi dette agli amici, ai familiari, frasi di circostanza, spesso di convenienza e chiedersi quanto fosse di vero, di autentico in tutte le parole dette e scritte (ma solo io, nessun altro cretino, posso stabilire se siano autentiche o meno le mie parole e forse nel momento in cui le ho scritte o proferite erano autentiche). Ricordarsi tutte le persone sfiorate, intraviste e tutte le persone conosciute, apparentemente in modo profondo, ma che non abbiamo mai afferrato, mai colto totalmente. Ricordarsi e dopo aver fatto notevoli sforzi di memoria capire che probabilmente tutto ciò che era più importante ci è sfuggito, è passato dalle maglie della memoria, si è involato chissà dove. Quale archivio disordinato e immenso di cianfrusaglie, di cose squallide è la memoria di ognuno! Fatico a trovare un senso a tutto questo, anzi sarò più sincero: non lo trovo assolutamente. Lo smemorato di Collegno e il Funes di Borges sono due facce della stessa medaglia. L’ippocampo serve per l’apprendimento, ma poi ci vuole la reiterazione per conservare tutto a lungo termine. La memoria talvolta degenera fino alla malattia degenerativa, ma non mettetevi a fare i neurologi! Si può vivere senza ricordare? Ogni sera prima di addormentarci facciamo il riepilogo spesso del giorno trascorso. Si può ricordare senza vivere? Non ci si può limitare a ricordare senza più vivere perché ricordare non è vivere ma tutto al più rivivere. Memoria e vita sono legate a doppio filo, ma forse il loro impasto è sadico, crudele, eppure così raffinato. Alcuni perdono memoria e altri si perdono nella memoria. Ci vorrebbe un uso saggio della memoria per vivere! Ma non ci sono leggi certe perché ogni vita, ogni memoria hanno le loro regole. Aveva ragione Proust: la selezione, l’archiviazione, il richiamo della memoria è grosso modo involontario. Do ragione a Proust senza erigere una cattedrale della memoria come fece lui perché non ne avrei il genio né ne scorgerei la benché minima utilità: non frequentai la crema della crema della società come fece lui. Ho in mente solo piccoli ricordi, minuscoli pensieri, pronti a ogni evenienza, spesso adibiti a scacciare la noia. Francamente ammettiamolo pure: ognuno di noi nel profondo conserva una certa ossessività, ritornano nella sua mente, anche quando essa è libera di scorrazzare liberamente, sempre le solite immagini ricorrenti. Ognuno ha le sue fissazioni. E non ho alcuna voglia di andare da uno psicologo o da una psicologa per ripercorrere mentalmente la mia storia, disseminando gli omissis, renderla accettabile socialmente, per poi trovare un esperto o un’esperta della psiche che si arroga il diritto in modo molto grossolano e superficiale di stabilire con esattezza la linea di demarcazione tra il mio vero Sé e il mio falso Sé. Un’ultima cosa: a casa per ora, ringraziando Dio, stiamo tutti bene.