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Sul protocollo di Kyoto…

Il protocollo di Kyoto è stato un accordo tra paesi industrializzati per ridurre inizialmente del 5% circa le emissioni dei gas ad effetto serra rispetto al 1990 e per contrastare di conseguenza tutti i cambiamenti climatici derivanti dai gas suddetti (ad esempio il surriscaldamento globale). Ricordo che i raggi del sole vengono riflessi dalla superficie e ritornano nell’atmosfera sotto forma di radiazioni infrarosse, che vengono assorbite dai gas ad effetto serra. Quindi più cresce la concentrazione di questi gas, e più aumenta la temperatura del pianeta. Però questo trattato è stato presentato nel 1997 e solo nel novembre del 2004 è entrato in vigore perché solo allora con l’adesione della Russia è stata raggiunta la quota di quei 55 paesi firmatari, che producevano più del 55% delle sostanze inquinanti. Le nazioni che hanno aderito alla fine sono state 192. Gli Stati Uniti – molto probabilmente per tutti i costi che avrebbero dovuto sorbirsi per il principio di responsabilità – hanno firmato ma poi non hanno ratificato l’accordo e da sole producono il 36% delle emissioni. E’ alquanto paradossale che gli Stati Uniti, che vogliono fare i gendarmi del mondo, non vogliano dimostrarsi responsabili per quanto riguarda l’ambiente e il pianeta che lasceranno alle nuove generazioni. Nel frattempo i resoconti dell’IPCC (International Panel on Climate Change) sono drammatici. Secondo le loro ricerche si è registrato un aumento notevole di CO2 nell’atmosfera e un riscaldamento globale del clima del pianeta di 1,4 gradi negli ultimi cinquanta anni. Che cosa fare? Dovrebbe essere combattuta la deforestazione, dovrebbero essere ridotti i clorofluorocarburi (il liquido refrigerante di condizionatori d’aria e frigoriferi, ma questa sostanza viene anche utilizzata dagli aerei) e dovrebbero essere sostenute e promosse nuove forme di energia. La conferenza di Nairobi non è stata altro che una somma di rinvii. La stampa nazionale non ha dato molto risalto a questa situazione di stallo tra paesi industrializzati. Perfino le organizzazioni che si occupano della tutela dell’ambiente – come il Wwf , Legambiente, Greenpeace – si sono accontentate dei modesti passi in avanti fatti da queste nazioni piuttosto che criticare le titubanze, le omissioni e le colpe di questi paesi. Potremmo tranquillamente affermare perciò che il protocollo di Kyoto fino ad oggi ha avuto il merito di sensibilizzare i cittadini per quanto concerne i folli cambiamenti climatici della Terra invece di fornire soluzioni adeguate del problema. Ma tutto quello che è stato fatto finora è insufficiente. In definitiva il protocollo di Kyoto non ha conseguito finora nessun risultato apprezzabile e tangibile. Ma non è solo questa la questione. Il protocollo di Kyoto finora è stato un accordo tra paesi industrializzati. I potenti della Terra hanno voluto lasciare fuori i paesi più poveri perché hanno ritenuto che questa serie di restrizioni previste (ma mai attuate finora) avrebbe potuto arrestare lo sviluppo di queste nazioni. Paesi come Cina, India e Brasile hanno aderito ma non hanno rispettato il protocollo in quanto ritenute in fase di sviluppo. A Doha più recentemente 220 Paesi hanno firmato l’estensione fino al 2020 del protocollo di Kyoto, che obbliga a ridurre le emissioni di gas serra rispetto ai livelli del 1990.  Speriamo in qualcosa di meglio in futuro. Però il cambiamento di rotta dovrebbe riguardare concretamente tutte le nazioni del mondo e tutti i governanti del pianeta. Non voglio essere apocalittico né catastrofico, ma molto probabilmente i potenti della Terra si accingeranno a fare qualcosa, quando sarà troppo tardi e non ci sarà più niente da fare: quando oramai non ci saranno più non solo le mezze stagioni, ma anche le stagioni e i tumori alla pelle ci devasteranno i volti e i corpi. Fino ad allora il termine “sviluppo sostenibile” sarà un’espressione teorica ed astratta. Eppure le avvisaglie sono sotto gli occhi di tutti: i fiumi sono secchi d’estate e molti ghiacciai si sono sciolti. Io ritengo che siano già sufficienti le catastrofi della Natura non provocate in alcun modo dall’uomo. A tal riguardo bisognerebbe rileggersi le pagine di Voltaire sul terremoto di Lisbona o le Operette morali di Leopardi. Se i governi non inizieranno realmente a limitare i danni delle loro attività sulla natura, molto probabilmente l’uomo moderno sarà costretto e condannato a vagare e a errare continuamente per fuggire la Natura come quell’islandese descritto dal grande poeta recanatese. Leopardi ci ha insegnato che la Natura è sia produzione che distruzione, che il mondo non è stato creato solo a causa dell’uomo. Forse sarebbe l’ora di essere meno antropocentrici e di pensare più all’ecosistema, purché se così non sarà fatto ci dovremmo accollare tutti i rischi di una Natura vendicativa, che più che produrre distrugge. È questione di lungimiranza, di buon senso oltre che della famosa etica della responsabilità di Jonas.

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