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Alcuni testi di Impercezioni (1994-1997)…

1

Guardo di sbieco il muro. Appare

la coda bifida di una lucertola,

compare il dorso, rivestito di squame

e….negli interstizi della siepe

già non la vedo….come se con un

guizzo fulmineo, un lesto strascicare

di zampe si fosse divincolata in un

cunicolo; come se il crocicchio dei

colori lividi del tramonto, il riverbero

di un fievole sfarfallio di raggi l’avesse

resa invisibile. Forse è sgusciata in

una fessura, in un anello d’ombra,

in una zona morta dei miei occhi,

forse in una crepa nascosta, dove

cade l’intonaco e affiora la calce,

sfuggendo alla mia vista, ormai

inafferrabile.

2

Per un attimo ti sembra

di raggiungere il nervo delle cose.

Ma un battito di ciglia non è

un colpo d’ali che ti solleva

ed è vana ricerca aspirare

al sillogismo dell’esistenza.

Così ritorni nell’orbita della vita

come una favilla, ormai incasellata

in una goccia, come in un’impronta

di luce un tremito d’ombra.

3

Corsi in una processione

di luci, che volgevano altrove.

Sfiorai rami d’oro e ulivi color

argento. Poi passò il fischio

di un treno e ritornai nello

spazio di vuoto tra le cose

e mi chiamò una voce.

4

La natura immersa nella Primavera.

L’aria tersa e serena. La notte

ritornano le lucciole a colorare

spighe e roveti. Le stelle

dipingono angoli di campi, margini

di strade. E le trascorse stagioni

ritornano come le parole dei morti

nella memoria dei vivi distrattamente

sul far della sera.

5

L’oscurità invoca con le sue ombre

la voce di stagioni, che videro i morti

padri. E figli i nostri padri.

Ma ogni anno cambiano

le scritte sui muri, ogni generazione

crede ciecamente nei suoi miti

ed idoli. E le piazze di quei cortili,

i lidi di quegli arenili sono intrisi

di altri amori. Le vie hanno perduto

quegli odori.

6

Ho sognato città invisibili,

dove risiedevano solo artisti.

C’erano saltimbanchi, poeti, attori,

pittori, acrobati, contorsionisti, trampolieri,

mimi, ormai prossimi a firmare l’armistizio

con la realtà. E quando la loro penna

stava scrivendo ho sentito i singhiozzi

del cielo. Ho visto stelle cadere. Fermarsi

comete. Le maree ribellarsi alla luna.

Le strade senza nome battezzarsi l’un l’altra.

Ma avevano avuto fortuna. L’inchiostro era

simpatico. Si rinfrancarono gli artisti.

Si rinfrancò la luna.

7

Il riflesso della luna

è smosso dal flusso del fiume,

scalfito da acini di pioggia.

Pioggia, che scende sulle case,

incanalata in grondaie ossidate.

Vapore e nebbia. Qua e là indistintamente

calano grumi di lumi sul corpo della linfa,

sulle dita adunche dei rami.

E’ l’ora in cui gli insetti intravedono

in un’angusta fessura e gli uomini

in una scia d’aereo la fuga. E’ l’ora

in cui cresce la ferita di una ruga,

immaginando cento mondi di idee,

mille amori finiti nel dimenticatoio

o sbiaditi in un logoro matrimonio,

a onde di generazioni susseguitesi

tra loro.

8

E’ sfuggito irreprensibile

in un angolo morto del ricordo

il rossore del suo volto,

il timbro della sua voce,

il calore delle sue mani.

Ora la cerco inutilmente nelle stanze

della mia memoria.

Un tempo si sfiorarono

i nostri respiri. Si congiunsero

le nostre ombre.

Adesso non so se i suoi anni

piangono per amori mai nati,

se in lei vincono rimorsi o rimpianti.

Adesso non so quali tremiti astrali,

quali fremiti nei prati le sue parole

chiamano quasi amore.

9

Non sospirare mai sullo sguardo

di una passante, sul gioco di sponda

di sguardi incrociati dal finestrino

con la ragazza seduta sul treno

del binario parallelo. Non sospirare,

soffermandosi ad ogni bivio del passato,

pensando a ciò che poteva essere e non è stato.

Non chiedersi mai quale sarebbe stata la trama

del nostro destino in un luogo appena accennato,

dove il treno non ha sostato, o nelle città dai bei

gerani, che mai ci hanno visto, che mai ci vedranno.

Non chiedersi mai se lasceremo una traccia alla nostra

partenza. Non chiedersi mai quale mano d’angelo,

quale frammento del nostro sogno scacci l’ombra

della morte dal nostro sonno.

10

Traversai l’oscurità di una cannula,

il fragore mattutino di una pagliuzza.

Annodai ciglia, trapunsi con le mie dita

ali di farfalla. Mi specchiai in raggi di luna.

Venni rifranto dal cristallo. Fui vivisezionato

da un prisma. Fui equilibrista su un filo interdentale.

Adesso posso, esangue, disfarmi in un minuscolo

punto di inchiostro, su una finitura di un foglio;

questo mondo sempre in eterno mutamento, in

continua metamorfosi, non mi avrà mai.

Onda o corpuscolo ?

11

Nel silenzio di una città straniera.

Nel cuore di una notte quieta.

Noi, gravidi di gelo. I vestiti

modellati dal vento.

E fu il tepore di una luce trasversale,

il nitido chiarore emanato da lampare.

Celammo ognuno nel proprio animo

le parole amare ed avvelenate. Sostammo

appoggiati al parapetto del lungomare

senza parlare. I nostri occhi, senza rotta

né stella polare, erravano nel colore del mare.

Poi dicesti: ” Ho letto i poeti per cercare

un verso che potesse racchiudere la mia vita

e tutte le vite. Ma ho solo trovato conforto

dalle loro voci.”

Dopo in silenzio di nuovo a ricercare

in uno sfolgorio di luce, in un tono

vivo, uno slancio, che si accordasse

col chiaroscuro del nostro profondo.

12

Da un comignolo si leva il fumo.

I termometri segnano lo zero.

Un vecchio sfoglia il calendario dal barbiere.

Una vedova ferma sugli zigomi le lacrime.

Una ragazza al bar beve il caffè e fissa la testa

di un cinghiale imbalsamato.

Da un appartamento si diffonde musica classica.

Poi la puntina si ferma, il disco si incanta.

13

Un ago smagnetizzato,

un pettine sdentato,

un giocattolo rotto,

uno schioppo, un botto,

un infuso insipido,

la caduta di un nido,

il coccio di un guscio rotto di lumaca,

una radice aggrovigliata,

rinnovano il mistero del mondo.

Davide Morelli 

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