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Sulla Cina…

Alcuni economisti ritengono che dalla Cina avremo dei problemi per qualche anno, ma poi alla fine la Cina sarà una grande opportunità. Questi esperti non fanno altro che ripeterci la solita cantilena: la Cina non è solo un paese che esporta, ma anche un immenso mercato emergente, un nuovo mercato d’espansione, il cui governo non vuole altro che attrarre investimenti e capitali esteri. Gli industriali cinesi non dovendo rispettare un qualsiasi statuto dei lavoratori, non dovendo pagare tfr, non avendo norme antinfortunistiche né diritti dei lavoratori da tutelare, hanno notevoli vantaggi competitivi rispetto al nostro Paese e a quello degli altri paesi europei. Non solo ma bisogna anche ricordarci che molte industrie cinesi sono dedite alla falsificazione dei marchi, per cui dovrebbe essere almeno creata una legge in materia di contraffazione, che al momento non esiste. Ci si deve ricordare anche che al momento attuale la Cina si sta avvicinando sempre più rapidamente ai nostri standard tecnologici, mentre lo stesso non si può dire per il livello di democrazia. In Cina è diffuso lo sfruttamento del lavoro minorile, c’è una scarsa tutela dei diritti dei lavoratori e pur essendo scomparso Mao, che voleva eliminare completamente la religione, non esistono ancora oggi garanzie per quel che riguarda la libertà di credo. Inoltre per la pandemia i cittadini cinesi sono diventati tutti dei sudditi telematici grazie al Social credit system, che controlla ogni cosa che fanno e determina la loro vita totalmente. Il politologo prof. Sartori era dell’opinione che a parità di tecnologia e con un costo del lavoro nettamente inferiore la Cina avrebbe determinato nei Paesi occidentali un elevato tasso di disoccupazione. Questo naturalmente qualche anno fa. Ma ecco alcuni dati: un operaio cinese lavora circa 2.300 ore all’anno, senza contare gli straordinari, contro le 1.670 di un operaio italiano. È vero i salari in Cina sono cresciuti rispetto ad un tempo, ma per quanto riguarda gli orari c’è la cosiddetta 996, ovvero lavorano dalle 9 di mattina alle 9 di sera per 6 giorni alla settimana. Non solo ma i cinesi sono 1 miliardo e 400000 circa. Sono un gigante economico. Il problema comunque non è solo salvaguardare la nostra economia ed i nostri lavoratori, ma tutelare anche quelli cinesi. Non voglio dire con questo che si possa esportare democrazia in altri Paesi con storie, tradizioni, culture completamente diverse rispetto alla nostra. Allo stesso tempo credo che Paesi con governi non democratici debbano essere aiutati ad autodeterminarsi, piuttosto che aspettare con enorme lentezza che si autodeterminino da soli. E’ del tutto legittimo quindi chiedere il rispetto di alcune regole elementari (come i diritti dei lavoratori) e applicare delle misure antidumping e dei dazi doganali flessibili (senza essere totalmente protezionisti) fino a quando non verranno rispettati i lavoratori cinesi. Il problema di base – a mio avviso- non è cercare di far diventare il semplice lavoratore cinese una sottospecie di consumatore italiano (che quindi compra prodotti italiani), ma un lavoratore simile a quello italiano per diritti inalienabili, per tutela e per sicurezza. Invece di fare ciò molti politici sono filocinesi, hanno scelto la via della seta. Attenti però a non stringere troppi accordi commerciali con i cinesi e a essere loro referenti! È vero che ci sono dietro interessi economici enormi, ma bisogna ponderare bene e vedere se conviene. Il rischio è quello di farsi dettare legge dai cinesi a casa nostra. La Cina detiene già il debito di molte nazioni occidentali. Non è forse giusto imporre dei diktat a casa degli altri, ma non è giusto neanche farsi condizionare troppo da potenze straniere. Questo è il rischio.

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