Tra i vicoli di questo Borgo
memoria viva passeggia.
Fu come un vecchio sospiro
che la gioia improvvisa esplose dal mio petto.
Battiti e passi allo stesso ritmo sento
il sole bacia la terra e quell’ombre seguo da giorni.
Non ebbi io mai sì fatta felicità,
né averla ancora dalla vita spero.
Fanciulla e spensierata ero quella volta,
e ora malata sono di ignota nostalgia.
Tra le antiche strade del Borgo
il desiderio ardente mi strappa quel sospiro
che fan fatica anche i polmoni a respirare.
Libero la voglia nella dolce danza del tempo
d’infanzia e giovinezza, e vedo poche case sparse,
arrampicate sul corpo nudo della mia vecchia collina,
tra alberi folti e disadorni e profumate chiese d’incenso.
Lì sorge il mio antico Borgo prospero di storia e misteri,
pietra su pietra scolpita è la vita di tutti.
La fede e le campane squillano come il vino ed il pane,
come i bimbi e le donne si annidano così rondini e rondinelle.
Si amano il cielo e le stelle in questo borgo dove asciugo ancora il mio sudore.
In un cantuccio, ahimè, lasciavo al cuore azzurro spiraglio,
per contemplare presso di me, “il nuovo infinito”
l’inattesa e sospirata gioia di non esser più io,
d’essere soltanto: una creatura fra gli uomini, una donna.
Un essere umano che brama di viver come si vive.
Note di musica nuova o ritrovo di eco perduta
di pezzi di giovinezza smarrita per le vie del Borgo, mutate,
come mutato son io poeta d’altri tempi.
Sulle mura del castello vado scrivendo la storia che non cambia,
sulle vecchie e desolate case dipingo angeli senz’ali.
Sugli uomini e i mestieri, sui giardini e sui bambini
è scesa la polvere che avvolge le cose finite.
Le onde del mare si son fermate ad aspettare
il mio sospiro duro e lungo in un mondo che non è più il mio.
E morte m’attende in queste contrade
ma prima di rivedere l’alba eterna,
di giovinezza mi voglio vestire e chiedere il permesso a Dio
di respirare ancora il mio borgo natio.
T. Averta